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Sicilia era stata conquistata prima in parte poi interamente) che avrebbero svolto le funzioni
finanziarie affiancandosi a Verre, che però aveva la possibilità di dimetterli qualora non li
avesse reputati degni di fiducia. I legati esercitavano funzioni di assistenza e controllo, al di
sotto vi erano poi i prefetti che avevano funzioni di controllo militare e riscuotevano
forzatamente i tributi. Non mancavano certamente i sacerdoti, gli indovini, gli scrivani, gli
schiavi, ecc…, solo la moglie non poteva portarsi dietro perché le femmine erano ritenute
nocive per gli affari, ma Verre si consolò comunque a dispetto della legge. Di certo i
pubblicani, che avevano il compito di riscuotere i tributi, erano i servi più fedeli di Verre.
La Sicilia era stata conquistata durante la prima e la seconda guerra punica che l’avevano
vista sottratta ai cartaginesi. Ai tempi di Verre, l’isola era divisa in 68 province, tra di esse
Messina, Noto e Taormina erano indipendenti e alleate di Roma, altre città come Palermo
erano libere ma non godevano di nessun trattato, le altre 60 provincie dovevano pagare
regolarmente i tributi. Ogni comune aveva il proprio senato, i propri questori e i propri edili e
ogni 4 anni avveniva il censimento.
Nel momento in cui entrava in carica, il governatore emanava l’editto provinciale che
regolava il rapporto con la comunità e con i privati, le altre cose erano disciplinate dalla
legge provinciale. Il governatore comandava tutte le forze militari, controllava la giurisdizione
civile e penale, per la quale interveniva personalmente, e aveva diritto di decidere della vita
e della morte di tutti i suoi sottoposti. Egli era responsabile davanti a Roma di qualsiasi cosa
accadesse sul territorio. Per la giurisdizione civile, il governatore nominava un arbitro per
deliberare. Nel caso la diatriba si svolgesse nella stessa città ci pensavano i magistrati
locali, se avveniva tra città diverse il governatore estraeva un giudice a sorte che avrebbe
dovuto risolvere la questione, se accadeva tra un privato e la città si estraeva a sorte un
senato che non doveva essere di nessuna città delle parti.
Il territorio della provincia era dello Stato e ai cittadini spettava solo l’usufrutto e ciò
comportava il pagamento di diversi tributi, ma il semplice fatto che Verre e i suoi pubblicani
furono avidissimi portò questa popolazione ad essere letteralmente saccheggiata, anche se
teoricamente dovevano esserci leggi atte a tutelare i siciliani e a garantire vantaggi a Roma:
l’uno incrementava la sua cultura e il suo sapere mentre l’altro incrementava le proprie
entrate. Anche se Cicerone enfatizzò il caso di Verre, era comunque chiaro che i governatori
precedenti avevano dovuto aver spremuto l’isola solo a loro vantaggio, abituati al lusso e
alla corruzione. Il sistema tributario siciliano era diverso rispetto a quelli delle altre province:
le città non pagavano un tributo fisso, ma una somma stabilità dal proprio comune fornendo
anche milizie militari. L’imposta che maggiormente fruttava era la decima sul raccolto, a cui
erano esenti solo Messina e Taormina, un’imposta che però andava oltre il 10% di quel che
fa credere il suo nome poiché il governatore si metteva d’accordo con gli appaltatori per
ottenere sempre di più a discapito dei poveri lavoratori che non si ribellavano per paura di
andare in tribunale. Un altro 10% del raccolto veniva acquistato ad un prezzo fisso sempre a
discapito degli agricoltori che, per di più, dovevano anche approvvigionare il governatore ad
un prezzo fisso. Quando, come accadde con Verre, ci si approfittò della legge per arricchirsi,
gli agricoltori furono costretti ad abbandonare la terra perché non riuscivano a pagare le
tasse: con Verre nasceva il latifondo siciliano e l’isola cessò di essere il granaio di Roma.
Solo un secolo dopo si stabilirà una tassa fissa da pagare con denaro e non in natura allo
Stato, che nel frattempo si era costruita altri granai nel Mediterraneo.
Quando Verre si trovò sotto processo, non era per lui un momento favorevole: Silla era
morto e il senato combatteva con le pressioni militari esterne e con le pressioni popolari
interne che chiedevano l’abolizione della costituzione sillana. Il senato aveva parecchi
problemi: la guerra dei gladiatori guidata da Lepido, Sertorio che tenne a lungo sotto scacco
a Roma, le incursioni barbare, la sfortunata campagna contro Mitridate e la pirateria.
Pompeo, vincitore di Lepido e Sertorio, aspirava alla carica di console con Crasso
nonostante la costituzione sillana non lo permettesse. Pompeo promise la riforma giudiziaria
e la restaurazione del potere tribunizio e venne eletto. Poco dopo si dispose l’ineleggibilità
per 10 anni a chi avesse fatto ricorso alla corruzione elettorale: bisogna pensare che la
maggior parte dei senatori, per essere eletto, ricorreva a questo espediente. I censori
vennero rimessi in moto e il senato e i cavalieri vennero estromessi: era come se Silla non
fosse mai esistito. Non mancò la riforma dei tribunali, e il processo di Verre fu il momento
buono per attuarla. Quell’anno, Cicerone si era proposto come edile e trovo questo buon
modo per accaparrarsi le simpatie e i voti della gente che già aveva avuto modo di
ammirarlo per la sua condotta giusta e irreprensibile, aveva esperienza nel campo
giurisdizionale ed era molto conosciuto, ma era la prima volta che si proponeva in veste di
accusatore e non di difensore: si portava avanti come difensore dei più deboli contro i
prepotenti. Cicerone era convinto di vincere: fin da subito aveva zittito il principe del foro
difensore di Verre e i suoi saccheggi erano tanto documentati quanto testimoniati. D’altro
canto, se i senatori avessero assolto Verre, avrebbero nuovamente dimostrato la loro
disonestà e se invece l’avessero definito colpevole avrebbero comunque colpito la loro
casta, per questo tergiversarono nel tentativo di arrivare a nuove elezioni per portare il
processo a loro favore attendendo anche che si placassero gli animi. Se era giovato al
senato che aveva rafforzato il proprio potere sull’isola, lo stesso valeva per Cicerone che
era stato eletto unanimemente come edile nonostante gli imbrogli del senato. La sua abilità
di avvocato e la sua eloquenza fecero il resto. Il dibattito inizio in agosto, in breve non diede
scampo ai difensori e, più che parlar lui stesso, fece parlare i testimoni che svelarono tutte
le iniquità di Verre che fu condannato.
Cicerone fu furbo: non si scagliò mai apertamente contro il senato ma lo ruppe internamente
dividendo gli onesti dagli sleali e dicendo che per colpa di questi ultimi il senato era stato
disonorato e, per cancellare quest’onta, bisognava punire Verre altrimenti il popolo avrebbe
chiamato un’altra classe ad amministrare la giustizia. Poiché il processo si chiuse presto e
non poté concludere come avrebbe voluto, scrisse un libro in cui fingeva che l’udienza
continuasse: il processo di Verre, o le Verrine, in cui sostiene che scegliendo i giudizi con
giustizia nessun tribunale può essere migliore di quello senatorio. Cicerone non volle
compromettersi particolarmente nella causa di Pompeo e fondamentalmente restò dalla
parte dei senatori e quando fu il momento di difendere Fonteio, amico di Pompeo, dal reato
di concussione. Non può definirsi un voltafaccia, era semplicemente un avvocato.
Il processo di Verre non cambiò in alcun modo la disgraziata situazione siciliana.
Il nobile Verre non vantava grandi antenati, ma fu un abile politico guidato dalla lussuria,
dall’ingordigia, dall’avarizia e dalla disonestà, mentendo spudoratamente per avere sempre
più denaro e per salvare la propria carriera.
Cicerone si fece dunque portavoce del popolo siciliano, col quale si alleò per restituire
all’isola ciò che gli era stato sottratto. Si fece dare i registri con l’inventario dei beni rubati e i
vari registri degli acquisti e accusò Verre. Le Verrine accusano chiaramente Verre di aver
messo le mani su qualsiasi cosa gli sia piaciuta senza farsi scrupoli e sfruttando la sua ben
favorevole posizione, derubando la Sicilia di tutte le sue bellezze artistiche,
indifferentemente che queste siano sacre o profane, l’importante è che fossero belle agli
occhi dell’ingordo,basti pensare alla splendida dimora di Gaio Eio, simbolo dello splendore
di Messina, nel quale è rimasta solo una statua in legno che non ha soddisfatto i ricercati
gusti del governatore. Costui, con l’inganno, ha preso in prestito le bellezze delle dimore
private e dei luoghi pubblici, non restituendole mai e se ci sono stati consoli, governatori e
altra gente avara lui è certamente il peggiore poiché è stato talmente arrogante da definire
ogni cosa che gli piaceva sua. Cicerone non sopporta assolutamente le parole a difesa di
Verre “Ho comprato”, perché fin troppe persone possono testimoniare come sia falso e,
secondo l’oratore, Roma ha tentato di tener lontani i suoi cittadini dagli acquisti nelle
provincie perché più che un atto di compravendita sarebbe parsa una requisizione visto che
il prezzo sarebbe stato scelto dal cittadino romano ingiustamente. Cicerone non si
accanirebbe su Verre se un cittadino gli avesse realmente venduto qualcosa al suo prezzo,
ma innumerevoli testimoni possono dire che non è così. E un uomo ricco e benestante non
cederebbe le proprie divinità per inutile denaro, soprattutto se la somma ammonta ad una
miseria rispetto al valore reale dell’opera d’arte. Cicerone quindi fa capire che Gaio Eio è
stato costretto a scrivere nel proprio registro di aver ceduto a Verre per pochi sesterzi le
opere della sua cappella di famiglia. Effettivamente Eio , in qualità di rappresentate
dell’unica città siciliana che ama Verre, Messina, lo loda, ma in veste di uomo dice che non
avrebbe mai ceduto le sue amate divinità e, anche se gli è stato estorto del denaro non gli
importa: rivuole indietro solo il suo patrimonio di famiglia. Cicerone critica Verre per aver
provato ad interdire subito dopo il primo dibattito Eio, un’intera città non potrebbe mai
mentire nonostante sia l’unica sua alleata e luogo dove viene nascosta la sua refurtiva.
L’avvocato continua, accusandolo d’aver disonorato il senato con i suoi gesti. Chiede poi
come abbia potuto presentarsi in giudizio senza aver prima purificato il porto, che si rivela
adorno di una croce grondante sangue rivolta verso i reggini a cui invidia la cittadinanza
romana, come d’altronde la invidia ai cittadini romani residenti sul posto in quanto possono
parlargli guardandolo dall’alto in basso. Verre continua ad essere canzonato e da Cicerone
che lo ritiene un imbecille per aver rubato i drappi