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Estratto del documento

La funzione primaria del pretore era riferita peraltro alla sfera processuale e per questo è

indicata con un termine specifico: iuristictio, da ius dicere: <<dire diritto>>.

La sua iuristictio si sostanziò essenzialmente nel controllo delle procedure e nella verifica

delle leggitimità delle pretese in conformità a quello che era il diritto vigente. Secondo

quanto puntualizzano le fonti (Varr. de lingua Lat. 6.30), l'esercizio della iurisdictio si

manifestava nei tria verba praetoris: do, dico, e addico, che potevano esser pronunciati

solamente nei giorni fasti (dies fasti).

Nell'esercizio di questa sua competenza si dovette precocemente verificare un fenomeno che

avrebbe reso possibile una straordinaria evoluzione e maturazione delle forme processuali e

giuridiche romane: la separazione tra il ruolo del magistrato e la valutazione della verità dei

fatti materiali su cui si fondava l'opposta pretesa dei litiganti. Nel sistema processuale,

diviso in due parti, la sentenza che decideva della causa era lasciata ad un giudice privato, in

base al previo accertamento da parte sua dei fatti richiamati dalle parti. Il loro preliminare

inquadramento nell'ambito degli schemi giuridici su cui doveva fondarsi la decisione

giudiziale, tuttavia, non era di sua competenza, ma di stretta pertinenza del pretore.

Tale scissione era destinata a facilitare una sempre pù autonoma elaborazione delle categorie

giuridiche di riferimento da parte del magistrato giudicente. A condizione, tuttavia, che si

attenuasse la rigidità del più antico e unico sistema processuale per legis actiones. A partire

dalla seconda metà del III secolo, se non prima, vennero però creandosi nuovi spazi di

intevento per tale magistrato, che progressivamente potè emanciparsi dai vincoli delle legis

actiones, sino ad elaborare un sistema molto più elastico, a tutela di una più ampia gamma

di rapporti giuridici (ius honorarium) che si venne definendo in parallelo all'antico ius civile.

Nel tempo, i criteri sostanziali cui il pretore si atteneva in questa sua nuova attività

giurisdizionale, che aspiravano la soluzione di casi concreti e di situazioni nuove, vennere

coagulandosi in regole e prescrizioni generali. In effetti una delle facoltà proprie dei

magistrati superiori, cum imperio, era quella di emanare editti contenenti delle prescrizioni

notificate a tutta la popolazione, Così avvenne per le nuove forme di protezione giuridica: il

pretore unico prima, e poi i due pretori separatamente ( nel 243 a. C., accrescendosi il

numero delle relazioni giuridiche con stranieri o fra stranieri facenti capo a Roma, fu creato

il pretore peregrino, avente appunto la giurisdizione nei processi fra persone (per lo più

commercianti) di diversa nazionalità: sicché le elezioni cominciarono a farsi annualmente

per due pretori, salvo a ripartire fra i due eletti le competenze ciascuno con un proprio

)

editto, all'inizio dell'anno in carica, rendevano noto quali situazioni situazioni avrebbero

trovato tutela da parte loro, e in quale modo. Le previsioni introdotte dal pretore peregrino si

riferivano ad una molteplicità di situazioni giuridiche nuove e diverse dai diritti riconsciuti

dal ius civile. Essendo tale tutela aperta a tutti gli stranieri (peregrini), essa fu considerata

come espressione di un <<diritto di tutti gli uomini >> : ius gentium. Il quale però, fu esteso

rapidamente a tutti i cittadini per gli evidenti vantaggi assicurati da queste nuove e più

flessibili regole di condotta e dalle correlate situazioni giuridiche. Ne conseguì un nuovo

arricchimento del patrimonio giuridico romano integrato da questo nuovo ius gentium. E'

indubbio che incidenza ancora maggiore, sulla storia del diritto romano, ebbe la parallela

introduzione del processo formulare, basato esclusivamente sull'imperium del pretore, il

quale, come detto in precedenza, individua nell'editto emanato all'inzio dell'anno di carica,

anche le norme di diritto sostanziale che debbono essere applicate in tale processo. Già nel

IV sec. a.C. può, forse, porsi l'inizio di quegli sviluppi che avrebbero poi portato alla

creazione del processo formulare: secondo l'opinione che appare preferibile tale processo

sorge nella iutistictio peregrina, e cioè nel processo organizzato per venir incontro

all'esigenza di approntare una difesa giudiziaria ed una protezione sul piano del diritto

sostanziale per gli stranieri che si trovavano a Roma.

Il processo delle legis actiones era il processo dei cives Romani, e poteva aver luogo

soltanto se entrambe le parti godessero della cittadinanza romana: sembra che gli stessi

Latini prisci non fossero ammessi – secondo l'opinione a ragione dominante – ad usate di

tale formula processuale. A parte i problemi relativi ai Latini, l'espansione politica di Roma

ed il conseguente incremento dei traffici internazionali nella città ponevano già nella

seconda metà del IV sec. a.C. Il problema della tutela giurisdizionale dei rapporti in cui

almeno una delle parti non fosse civis Romanus. Questo problema non venne risolto in via

legislativa, bensì mediante l'esercizio del potere del magistrato giusdicente, e cioè

l'imperium. Si tratta del potere che spettava ai magistrati maggiori (dittatore, consoli,

pretori), e che presentava la caratteristica di non individuare in positivo le facoltà del

magistrato, ma di attribuirgli, invece, la possibilità di agire nel modo che ritenesse più

opportuno per gli interessi dello stato nell'ambito della sfera di competenza affidatagli ( la

provincia nel significato originario del termine), purchè venissero rispettati i pochi – seppur

importanti – limiti negativi fissati dall'ordinamento, come l'intercessio collegarum o

tribunorum ( il diritto di veto preventivo del collega o del tribuno della plebe ) e , per quanto

riguarda la possibilità di mettere a morte un civis, la provocatio ad populum.

A cavaliere fra il IV ed il III secolo a.C. La iuristictio era a Roma la sfera di competenza, la

provincia, del praetor urbanus, collega minore, dicevano i Romani, dei consoli. Ed è stato

nell'ambito di questo potere giurisdzionale che accanto alla iuristictio esercitata – nelle

forme prestabilite dal ius civile – nei confronti dei cives ( quella che sarebbe stata, di poi,

designata col nome di iuristictio urbana ), l'unico pretore cominciò ad esercitarne un'altra

nelle controversie in cui almeno una delle due parti fosse straniera (la iuristictio peregrina ).

Così, come detto in precedenza, nel 242 a.C. Si duplicò la carica di pretore, ed il secondo

pretore venne detto pretor peregrinus, poiché ad esso veniva, di regola, affidata tale

iurisdictio peregrina.

Già prima del 242 a.C., dunque, l'unico pretore cominciò a provvedere alla tutela

giurisdizionale dello straniero. Tale compito venne assolto, indipendentemente da qualsiasi

provvedimento legislativo, sulla base dei poteri fondati sull'imperium che egli possedeva. I

processi rilevanti della iurisdictio peregrina venivano organizzati del pretore mediante

l'impiego dei poteri coercitivi che rientravano nell'imperium stesso, in base ai quali il

magistrato assicurava lo svolgimento del giudizio e l'osservanza del giudicato.

Nella iurisdictio peregrina , oltre a garentire l'osservanza del giudizio, il pretore doveva,

però, individuare anche il diritto sostanziale in base al quale risolvere le controversie. Come

già affermato, le norme giuridiche da applicare nei rapporti con gli stranieri non erano

determinate in funzione del principio della nazionalità del diritto, all'applicazione del quale,

sul piano pratico, ostava la circostanza che le parti appartenevano – nella grande

maggioranza dei casi – a comunità diverse. Anche il diritto sostanziale da applicare era,

dunque, individuato dal pretore sulla base del suo imperium, ed in questa attività normativa

e giurisdizionale al tempo stesso va trovata la matrice storica del diritto onorario.

Il modo in cui si sviluppò – sul piano del diritto sostanziale – questa attività del pretore è

strettamente collegato con le forme procedurali in cui veniva esercitata la iurisdictio

peregrina. Era impossibile che verso la fine del IV sec. a.C il pretore potesse decidere in

proprio codeste controversie; rientrava, quindi, nell'ordine naturale delle cose che, anche

nella iurisdictio peregrina, il pretore affidasse ad altri il compito di risolvere la controversia

a lui impostata. Ciò trovava corrispondenza nella prassi del commercio internazionale, dove

vìerano diffusi collegi arbitrali composti di un numero pari di giudici scelti dall'uno e

dall'altro dei contendenti e presieduti da un terzo imparziale.

Al giudice od agli arbitri scelti dalle parti il pretore fissava, con un programma scritto, i

criteri sostanziali in base ai quali doveva essere risolta la controversia: programma che era

necessario proprio perchè, nell'assenza di un ordinamento comune, soltanto il magistrato

giusdicente poteva indicare quali regole si dovessere applicare. Questo programma è la

matrice della formula del processo romano dell'epoca classica, la quale è venuta

sviluppando, senza soluzioni di continuità, dalla primitiva prassi della iuristictio peregrina.

Dopo il 242 a.C., anno in cui fu creato il praetor peregrinus ( principalmente in seguito

all'aumento delle cause in cui erano coinvolti gli stranieri ), si accellerò lo sviluppo dei

quello che sarebbe diventato il processo formulare. A questo punto doveva già aver

esercitato il suo influsso il processo di tipizzazione, caratteristico del diritto in quanto tale: il

che ha avuto una particolare importanza sul modo in cui dalle istruzioni date dal pretore si

sono sviluppate le formulae. Si può immaginare che, agli inizi, le istruzioni da dare agli

arbitri o ai giudici venissero di volta in volta stilate dal pretore, il che lasciava adito a

divergenze sostanziali o formali in casi, invece, analoghi: un simile modo di procedere

dovette lasciare, però, ben presto il campo alla individuazione di tipi di istruzioni o di

programmi che venivano adoperati, come schemi, nei casi analoghi, il che prefigura ormai

molto da vicino le formulae del processo classico. Si viene, così, a creare un

<<patrimonio>> di schemi che, nonostante l'indipendenza del singolo magistrato nei

confronti dei suoi predecessori , si tramanda da pretore a pretore. Si enuclea così un insieme

di formulae, e cioè di programmi-tipo da rilasciare al giudice per la risoluzione di

controversie, che, nell'ambito della iurisdictio peregrina, fissano i termini della protezione

giudiziaria offerta alle singole fattispecie.

A questo pu

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A.A. 2014-2015
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SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Samael di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università del Salento o del prof Buongiorno Pierangelo.