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Vi sono tre tipi di violenza:
la violenza diretta
1. la violenza strutturale
2. la violenza culturale
3.
La violenza diretta ha carattere di evento e può esprimersi
attraverso canali di fisici,verbali e non solo;
La violenza strutturale ha carattere di processo e si traduce in
rapporti di sfruttamento e marginalizzazione;
La violenza culturale si caratterizza per la sua permanenza e il
suo diffondersi e si manifesta con il dominio sulla collettività;
Simmel, Goffman e Galtung sono avvicinati dall’idea che il concetto
di relazione sia legato a quello della trasformazione. Per Simmel,lo
scambio tra attori sociali genera necessariamente un cambiamento
sia nella relazione che negli attori;
Goffman evidenzia la necessità che un soggetto ha di modificare
l’ambiente e modificarsi lui stesso;
Per Galtung, la trasformazione significa darsi la possibilità di
essere creativi nella gestione dei conflitti;
L’approccio olistico di Carl Rogers, oggi è alla base di molti
percorsi di formazione delle professioni di cura e parte dal
presupposto che il cliente sappia la risposta alle proprie domande e
la soluzione ai problemi.
Nel processo di integrazione sono rilevanti anche le abilità
relazionali e la storia dei singoli soggetti che entrano in gioco.
L’interazione tra la componente soggettiva dell’utente/immigrato e
quella dell’operatore sociale assume un valore importante per la
riuscita del processo stesso. Gli operatori sociali necessitano di un
controllo periodico per essere poi pronti a sostenere la relazione di
cura di una persona, a maggior ragione se dall’altra parte è
presente uno straniero, dove vi è una difficoltà maggiore nel
confrontarsi. Marco Mazzetti trae dall’ambiente sanitario due
esempi interessanti:
La Sindrome di General Hospital
1. La Sindrome di Salgari.
2.
La Sindrome di General Hospital si riferisce alle fantasie che a
volte i pazienti stranieri hanno riguardo alle caratteristiche
miracolistiche della ipertecnologica medicina occidentale.
La Sindrome di Salgari colpisce quegli operatori sanitari che di
fronte al paziente straniero si lasciano affascinare dall’esotico e
vanno alla ricerca di patologie strane, tropicali, mai viste prima.
Per Robert E. Park, The marginal man è lo straniero che vive
sempre in conflitto, vive il suo stato di ambivalenza e di transizione.
La possibilità che un percorso di integrazione vada a buon fine
cresce se si parte da una reale consapevolezza culturale dei
soggetti presenti. Un locus of control culturale facilita i processi
di autodeterminazione culturale limitando il pericolo di performance
break down, di rottura delle performance comunicative. Gli spazi di
dialogo devono essere contesti piacevoli, con la capacità di
ascoltare la storia dell’altro e gestire la relazione in modo efficace.
Mettendo a confronto il livello di integrazione dello straniero e
quello dei residenti sul territorio è stato registrato come ad una
possibilità di integrazione non sempre corrisponda un pari livello di
integrazione degli immigrati.
Ad esempio confrontando il sud e il nord, il grado di integrazione al
sud è basso mentre al nord è alto.
Secondo Berger l’ opportunità di scegliere e giudicare è legata alla
necessità di esercitarsi a ricordare, perché con la perdita di
memoria si perde anche la continuità di significato e giudizio.
La propria capacità di mettersi in discussione ,di prevedere la
possibilità di conflitto con chi ha una visione diversa dalla propria
acquista una valore nella società.
Il concetto di conflitto spesso si associa con quello di guerra e
violenza, e spesso si pensa che per vivere in maniera tranquilla
bisogna negare e non avere nessun tipo di conflitto con nessuno.
“la pace come assenza di conflitto, come armonia inalterata
assomiglia ad una quiete priva di vitalità”, questo è quanto
afferma Danilo Dolci.
La logica della quiete: Ci si illude che per vivere serenamente
ogni soggetto ha un pensiero diverso dall’altro.
Secondo Pierpaolo Donati la politica pubblica del
multiculturalismo tende a negare la diversità proiettando la
relazione sociale su un terreno neutro dove non vi è conflitto.
Per Proust il vero viaggio il vero viaggio di scoperta non consiste
nel cercare nuove terre ma nell’ avere nuovi occhi. Ogni viaggio
indica un passaggio da un mondo conosciuto ad uno estraneo.
Albert Schutz spiega come il mondo intersoggettivo della vita di
ogni giorno sia fondato su sistemi di segni e di simboli che rendono
possibile la comunicazione solo attraverso l’uso di un codice
condiviso. Ogni persona nel proprio quotidiano uniforma sé stesso e
le proprie azioni,aspettandosi che ogni altro individuo si comporti
allo stesso modo.
Nel romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino, nella città di
Ipazia, il viaggiatore si trova a vivere un conflitto con se stesso e
con tutto ciò che lo circonda.L’ampliamento e la differenziazione del
target dei servizi che riguardano i fenomeni migratori richiede loro
una capacità di adattamento su diversi fronti, come quello
legislativo, quello dei rapporti con il proprio ente e quello del sapere
professionale.La relazione assume un ruolo fondamentale nel
settore dei servizi sociali.Possono strutturarsi relazioni asimmetriche
in cui il professionista detiene il potere esclusivo di diagnosticare un
problema e indicarne la soluzione, o al contrario nelle relazioni
simmetriche dove il paziente viene restituito il potere di diagnosi sul
proprio problema.Nel caso della professione dell’assistente sociale,
la cura della relazione con l’utente è talmente difficile che si ha la
paura di non riuscire a stabilire una relazione serena e quindi
manifestarsi in un disagio e sconfitta professionale.
L’ontologia del servizio sociale dovrebbe basarsi su delle
caratteristiche particolari, quali:
La tridimensionalità,che richiede continue sinergie;
• La globalità e la giusta relazione dell’approccio ai problemi;
• La concezione della persona come “solutore dei problemi” in
• situazioni di difficoltà;
Il ruolo dell’operatore come accompagnatore nei processi di
• autodeterminazione e di sviluppo di autonomia sulla realizzazione
di progetti di soluzione condivisi;
Dalle testimonianze di alcuni operatori socio-assistenziali emerge la
difficoltà che incontrano nel loro lavoro per il modo in cui esso viene
condotto nei servizi.Spesso l’operatore si sente in difficoltà davanti
alle scelte del mandato istituzionale che quasi sempre è in
disaccordo con il mandato sociale e professionale. L’operatore ha le
mani legate, vuole fare di più ma non può perché mancano i mezzi,
e vai a scontrarti con la burocrazia.
Alcuni operatori affermano che molto dipende dalle esigenze del
territorio, dal personale che si ha a disposizione e noi dipendiamo
da questo. C’ è la libertà di scelta di fare,decidere, ma non è sempre
così, non è sempre possibile. Professionalmente a livello umano e
personale questo lavoro ti dà molto, ma nello stesso tempo lo stato
di insoddisfazione è tanto perché non facile inserire queste persone
in questa realtà difficile e tanto povera. Malgrado la volontà di
aiutare a tutti i costi e di scavalcare le difficoltà istituzionali molti
assistenti sociali soffrono la propria impossibilità di agire, di non
poter fare nulla.
Germana e Tania,due operatrici sociali,descrivono il conflitto tra
ciò che vorrebbero fare e ciò che riescono a fare, in relazione alla
possibilità di soddisfare le richieste di aiuto. Wilma, un’altra
operatrice afferma che c’è poca attenzione verso lo studio e le
esperienze. Affrontare un’ emergenza dopo l’altra genera momenti
di stanchezza emotiva. La supervisione potrebbe contenere il rischio
di burn-out , dove gli operatori lavorano senza intervalli tra una
relazione di aiuto e altre. Nel paradigma relazionale studiato da
Donati e Colozzi, vengono messe da parte le elaborazioni dell’
identità secondo i criteri di omogeneità o per negazione.Nel settore
dei servizi sociale sarebbe gradito giungere ad un sistema di
Community Care, in cui la relazione è utilizzata come condizione
sostanziale dell’intervento stesso: se l’obbiettivo è il benessere
dell’utente, gli operatori sociali dovrebbero pensare al benessere
come relazione sociale.Il mandato sociale dell’assistente sociale si
può sintetizzare nella promozione e valorizzazione delle azioni di
cambiamento dei soggetti-utenti.
L’articolo 6 del codice deontologico dell’assistente sociale recita
che:
La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi,
delle comunità e delle diverse aggregazioni sociali per contribuire al
loro sviluppo;ne valorizza l’autonomia, la soggettività, la capacità di
assunzione di responsabilità;li sostiene nell’uso delle risorse proprie
e della società nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di
disagio e nel promuovere ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di
emarginazione.
All’università di Messina, nel corso di laurea magistrale in servizio
sociale si sperimenta la metodologia dell’osservazione diretta.
L’addestramento alla pratica osservativa richiede un periodo di
tirocinio che aiuta gli studenti a creare spazi di confronto con i
colleghi. Molti assistenti sociali dopo il percorso di tirocinio,
dichiarano di riuscire a potenziare le proprie capacità di ascolto.
L’organizzazione è presente in quasi tutta la storia di vita
professionale e viene adottata come cornice utile ad una prima e
immediata presentazione all’ esterno del proprio essere
professionista. La maggior parte delle assistenti sociali intervistate
ha iniziato la
carriera nell’istituzione in cui opera: le loro esperienze lavorative
formative sono state veicolate e offerte da questa stessa istituzione.
In alcuni casi le assistenti sociali hanno la percezione di scomparire
dietro l’istituzione che rappresentano.
Diverso è il caso degli intervistati che lavorano presso gli uffici del
Ministero di Grazia e giustizia, che evidenziano come sia più facile,
per loro, venire riconosciuti come professionisti.
L’assistente sociale nella struttura è una figura amorfa, è poco
presente perché è burocratica.
Tania, trent’anni di servizio, di cui venti in un consultorio