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Sulla giurisdizione può essere chiamata a pronunziarsi la Corte di cassazione che su questo tema
si pronunzia, di norma, a sezioni unite.
Quali sono i percorsi attraverso i quali la Corte di cassazione può essere chiamata a giudicare
della giurisdizione? Possono essere vari.
1. Innanzitutto il regolamento di giurisdizione ai sensi dell’articolo 41: la corte di Cassazione
viene qui chiamata a giudicare della giurisdizione addirittura in via preventiva, cioè prima
che il giudice di merito emani una qualsiasi pronunzia;
2. La cassazione può essere chiamata a giudicare della giurisdizione all’esito del normale iter
del giudizio: vi è una pronunzia di primo grado sulla giurisdizione che viene appellata,
quindi del giudice d’appello sulla giurisdizione che può essere fatta oggetto di ricorso in
cassazione. Infatti l’articolo 360 cpc che elenca i motivi per i quali si può proporre un ricorso
ordinario in cassazione, nel numero 1 fa riferimento ai motivi attinenti alla giurisdizione.
Questa è l’ipotesi in cui la sentenza di primo grado o la sentenza d’appello, o pronunziata in
un unico grado di merito, vengono ricorse in Cassazione per motivi attinenti alla
giurisdizione;
3. Il terzo percorso attraverso il quale la decisione sulla giurisdizione perviene alla Cassazione
è quello dell’articolo 362 nella duplice possibilità che sia impugnata davanti alla corte di
cassazione una decisione sulla giurisdizione del Consiglio di Stato o delle Sezioni Centrali
della Corte dei Conti, cioè di un giudice speciale che si pronunzia in ultimo grado;
4. Ultimo percorso è ai sensi dell’articolo 362 l’ipotesi del conflitto virtuale oppure del conflitto
di attribuzione.
La decisione che la cassazione emana in materia di giurisdizione a differenza del giudice di merito
non è una decisione sulla propria giurisdizione ma regola la giurisdizione e, pertanto, vincola tutti
giudici dell’ordinamento, ordinari o speciali che essi siano. Di qui la differenza tra pronunzia che
decide sulla giurisdizione, assunta dal giudice di merito, e pronunzia che regola la
giurisdizione che è quella assunta dalle sezioni unite della Cassazione. Tali ultime decisioni
assumono la forma di ordinanza mentre, la forma del provvedimento col quale il giudice di merito,
in primo grado o in appello, decide sulla propria giurisdizione assume la forma della sentenza.
Importante è avere ben chiaro che la sentenza non vincola nessun altro al di fuori del
giudice che l’ha pronunziata mentre l’ordinanza che regola la giurisdizione vincola tutti
giudici dell’ordinamento.
Che cos’è la translatio iudicii?
E’ quel fenomeno processuale per cui due giudizi tra loro normalmente distinti vengono considerati
dall’ordinamento come continuativi, cioè come se fossero un unico giudizio. Nel caso che ci
riguarda, come pure in materia di competenza, cioè della giurisdizione, la translatio assume una
particolare importanza tutte le volte in cui la causa è stata instaurata davanti ad un giudice che non
aveva la giurisdizione e poi proseguita davanti al giudice che la giurisdizione ce l’ha. Il punto è:
questi due giudizi sono tra loro in continuità (quindi parte di un unico giudizio) oppure c’è una
censura netta tra i due giudizi?
La questione assume importanza per quanto riguarda la conservazione degli effetti della domanda:
la proposizione della domanda produce degli effetti processuali, genera la litispendenza; produce
degli effetti sostanziali (incidono sulla realtà giuridica sostanziale che si chiede al giudice di
dirimere): interrompe la prescrizione, impedisce la decadenza, consente la capitalizzazione degli
interessi sugli interessi già maturati etc.
E’ evidente che se i due giudizi di cui prima sono in continuità tra di loro, intesi dall’ordinamento
come un unico giudizio, gli effetti sostanziali della domanda giudiziale prendono data dalla prima
domanda giudiziale, cioè a partire dal processo iniziato davanti al giudice che non aveva la
giurisdizione. Se invece non sono in continuità tra loro il discorso cambia tutto: gli effetti sostanziali
della prima domanda non vengono conservati allorché il processo viene proseguito davanti al
giudice che abbia la giurisdizione.
La conseguenza è che se nel momento in cui il processo davanti al giudice che ha la giurisdizione
è pendente, il periodo di prescrizione si è già consumato, il diritto che viene azionato non è più
fruibile dal punto di vista sostanziale: l’errore sulla giurisdizione genererebbe un effetto molto più
grave della causa con la perdita di un diritto.
Il fenomeno della translatio iudicii è sempre stato considerato con una luce di particolare
delicatezza dalla giurisprudenza. Quest’ultima fino a qualche anno fa, fino al 2007, aveva adottato
una posizione di chiusura: “poiché non c’è una norma espressa che sancisca il principio di
continuità tra le giurisdizioni, allora se tu hai iniziato il processo davanti a un giudice che non ha la
giurisdizione e poi sei andato dal giudice che ce l’ha, tutto quello fatto davanti al primo fino a quel
momento è perduto”.
L’effetto di questo principio era particolarmente grave, almeno per 3 ragioni:
1. Faceva derivare dall’errore sul rito una conseguenza ben più grave in termini di azionabilità
del diritto;
2. Nel dubbio sulla giurisdizione da adire normalmente l’attore prudente finiva col rivolgersi sia
al giudice ordinario che speciale. Cioè proponeva la causa davanti a tutti e due i giudici per
non sbagliare. Questa prassi moltiplicava i giudizi con un effetto indiretto sulla ragionevole
durata del processo;
3. Vi era una chiara sperequazione tra il sistema della competenza ed il sistema della
giurisdizione perché quando parliamo di competenza, ci muoviamo all’interno di una
giurisdizione. In materia il codice di rito ha sempre garantito la continuità tra il processo
iniziato dinanzi al giudice incompetente ed il processo proseguito davanti al giudice
competente: in materia di competenza un problema di traslatio non si è mai posto poiché vi
è sempre stato con naturale conservazione degli effetti della domanda.
A partire dall’assenza della norma espressa, fino al 2007, la giurisprudenza ha negato la possibilità
di una traslatio tra diverse giurisdizioni. Nel 2007 entrano in scena 2 importanti pronunzie, una
della Cassazione e l’altra della Corte Costituzionale che, da angolature diverse, attaccano
quell’orientamento che in precedente aveva negato la traslatio tra le giurisdizioni fondando le
pronunce sul principio di ragionevole durata del processo. Non ha senso, dicono le corti nel 2007,
tenere distinte le giurisdizioni: bisogna garantire una continuità del processo nel passaggio da una
giurisdizione all’altra.
Questo principio alla fine del decennio scorso non era affatto pacifico: il legislatore costituente del
’48 aveva senz’altro privilegiato la giurisdizione ordinaria. L’aveva vista come l’unica giurisdizione
tant’è vero che la Costituzione prevede espressamente un divieto di istituire nuovi giudici speciali.
Se ci mettiamo nella prospettiva della unificazione delle giurisdizioni la conseguenza logica è che il
giudice amministrativo e contabile non possono esistere perché la giurisdizione sarebbe una sola.
Ma ciò crea delle fortissime resistenze perché i giudici speciali sono nell’ordinamento un potere
radicato, tanto è vero che il legislatore invece di diminuirne le competenze le ha addirittura
potenziate (vedi giudice amministrativo).
Non possiamo perciò parlare di unità delle giurisdizioni che, comunque, agevolerebbe molti
percorsi di formazione della decisione.
La giurisprudenza del 2007 assumono la questione come di particolare importanza e la risolve in
senso opposto a quello che fino ad allora era stato un orientamento consolidato, cioè l’esclusione
della traslatio.
E allora abbiamo le pronunce della Cassazione, della Corte Costituzionale e la legge 69 del 2009
che hanno introdotto il principio della traslatio iudicii, salutato con grande favore ed attenzione
poiché garantisce la continuità del processo ed il mantenimento degli effetti della domanda.
Come funziona il meccanismo? E’ spiegato nell’articolo 59 della legge n. 69 del 2009 che si
compone di vari commi.
LEGGE ART. 59 legge 69 del 2009: la norma parte dall’assunto che quando, in materia di
giurisdizione, si pronuncia la Cassazione essa regola la giurisdizione. Regolare la giurisdizione
vuol dire che la Cassazione dirà qual è il giudice investito della giurisdizione per decidere quella
controversia: quella decisione vincola tutti i giudici dell’ordinamento, ordinari o speciali che siano.
Vuol dire che se le parti, per ipotesi, propongono la controversia davanti al giudice che non ha la
giurisdizione, questi dovrà declinare la propria giurisdizione perché è vincolato a ciò che la
Cassazione ha affermato in tema di giurisdizione.
A differenza del valore del precedente sulle ipotesi di violazione o falsa applicazione della legge
nazionale che non vincolano il giudice di merito se non in termini di autorevolezza (cioè è libero di
discostarsi dagli orientamenti della Cassazione) il discorso qui è diverso. Qui non c’è nomofilachia:
l’ordinamento affida alla Cassazione il compito di regolare la giurisdizione e ciò prescinde dal fatto
che i giudici di merito siano d’accordo o meno con quella decisione: la decisione sulla giurisdizione
vincola tutti i giudici che non possono rifiutarla.
Il secondo presupposto da cui parte la legge 59 è che, quando a pronunciarsi sulla giurisdizione è
il giudice di merito, non basta che questi dichiara il difetto di giurisdizione ma deve anche
affermare qual è la giurisdizione che, a suo avviso, può decidere quella controversia. Dunque la
sentenza declinatoria della giurisdizione del giudice di merito si compone di due addendi:
1. Esplicitazione delle ragioni per le quali il giudice si ritiene non munito di giurisdizione;
2. Indicazione del giudice dotato della giurisdizione affinchè le parti abbiano la possibilità di
proseguire il processo davanti a questo giudice. L’indicazione è l’aggancio che viene fuori
da questa sentenza ad altra giurisdizione e consentire la “fusione” dei due processi.
Ma la pronunzia del giudice di merito sulla giurisdizione vincola solo lui! Non ha la stessa portata
della sentenza regolatrice della Corte di Cassazione.
Ciò comporta:
1. Le parti non sono vincolate alla decisione del giudice di merito, dunque possono contestare
tale statuizione con l&