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Sandro Penna nasce a Perugia nel 1906 e muore a Roma nel 1977. Celebri i suoi
versi epigrammatici: "Io vivere vorrei addormentato entro il dolce rumore della vita". La
sua opera si muove nel mondo onirico e del sonnambulo, in una vita vissuta nel sonno,
non per questo sprecata. Vive una fanciullezza triste: la madre lo abbandona nel 1920,
il padre muore prematuramente, lasciando il figlio completamente solo. Secondo il
critico Garboli, Sandro Penna è un artista che amava stare solo, che fuggiva ogni
rapporto sociale, e che non sopportava i poeti laureati (come Montale e Saba). La sua
carriera non è molto conosciuta. La sua prima raccolta edita da Parenti, scritta con
Saba è del 1939 (anni del futurismo) ed è intitolata "Poesie"; nel 1950 abbiamo le
prose nella raccolta "Un po' di febbre", nel 1956 "Una strana gioia di vivere", e nel
1957 la raccolta di tutte le sue poesie riunite. Vince insieme a Pasolini il Premio
Viareggio. Un connotato della sua vita è la sua omosessualità, fattore ambivalente per
Penna, poiché è sopportato con fatica, ma che allo stesso tempo suscita felicità.
Penna era inoltre malato di piorrea, ricordiamo l'appello fatto da Elsa Morante e
Pasolini per un aiuto al poeta, che di quella malattia morirà. Mengaldo e Garboli sono i
suoi principali critici: lo considerano molto vicino alla poetica di palazzeschi, ed
affermano che Montale prese spunto proprio da Penna per i suoi "Mottetti".
La poesia per Sandro Penna è un dono biologico, espresso in un momento creativo
che scavalca la razionalità. È un poeta antiermetico, la sua poesia è poesia che
comunica a tutti, non solo a pochi eletti. Aspetto interessante della poesia di Penna è
l'uso della figura degli animali: l'uomo è uguale all'animale, solo che la naturalezza di
un animale è superiore a quella umana. Le sue poesie sono molto brevi, quasi aforismi
da epigrammi classici, limpidi e puliti, senza ridondanza, è presente una musicalità
essenziale e sobria; frequenti i salti analogici (ricordiamo la vita vissuta nel mondo
onirico). Il lettore si fa trasportare dalla sua poesia.
ANALISI: da "Stranezze", epigrammi senza titolo
L'intera poesia è connotata da un ritmo ascendente causato dalle interrogative. I primi
due versi sono endecasillabi, poi struttura a fisarmonica, ottonari e settenari alternati.
La poesia parla della dichiarazione di essere un poeta d'amore datagli dagli altri
(Penna ci crede) e ragionamento su un' amore facile, come la sua poesia e le sue rime
Questo amore è sì facile, ma anche irrequieto, all'interno della natura è poetico e
metapoetico. La natura è amore, una campagna ("città lontana"), le "nuvole calde"
sono simbolo di amore (amore-calore), i "suoni", percezione uditiva, sono simbolo di un
"amore che arde" (ancora amore-calore) e non si allontana (non c'è pericolo).
Quartine di endecasillabi accentati differentemente: "a majore" il primo e ultimo verso
(settenario+quinario), "a minore" i versi interni (quinario+settenario). Le rime sono facili
e giocano sul chiaroscuro ritmico, il dentro e fuori, esterno-interno; espressione di
sentimenti e del mondo onirico ("sono-sogno" essere nella realtà, immersa nel mondo
in più). Descrizione di un locale pieno "greve e nero" (endiadi), un interno pesante, nel
quale l'io è alienato e spaesato (dimensione onirica). Il "Ma" è l'elemento che compie il
salto analogico nella poesia, porta il lettore all'esterno, un esterno chiaro "sotto il sole",
dove l'io lirico è "assente", in un cimitero di un villaggio (elementi Pascoliani): un
esterno arioso oscurato dalla morte.
Epigramma politico. Riferimenti al fascismo con i cori "<<a noi!>> <<a noi!>>" e il
"nero". Presenza della figura degli "orinatoi" parola prima di tutto ironica e poi simbolo