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L’educatore è colui che predispone, progetta tempi-spazi, novità, occasioni in
cui l’altro riesca gradualmente a prendersi cura di sé e quindi ad organizzare il
suo progetto di vita e soprattutto il suo progetto esistenziale. È molto
importante che l’educatore sia esempio di esperienza, testimonianza, presenza
per l’altro, all’interno della relazione educativa è importante che l’educando,
riconosca l’educatore una certa autorevolezza, capisca e riconosca il valore del
suo ruolo e anche il suo agire e il suo operare pedagogico e didattico perché in
qualche modo tra educatore e educando è fondamentale attivare dei processi
di transfert e di contro transfert come avviene in psicanalisi quando ci deve
essere piena fiducia nel terapeuta; l’idea che la relazione di aiuto debba
diventare una relazione di accompagnamento e quindi deve diventare sempre
più “alla pari” proprio per cercare di favorire nell’altro adeguati livelli di
autostima. L’ascolto è il primo elemento quando parliamo di logiche di
accoglienza e quindi d’inclusione e di integrazione perché non esiste una
relazione di aiuto che diventi anche luogo inclusivo se non è basata su
dinamiche e processi di ascolto vero e autentico, dobbiamo avere rispetto, nei
confronti della storia dell’altro della complessità e della unicità dei suoi bisogni,
delle sue esigenze formative e quindi non solo delle parti difficoltose e
problematiche ma soprattutto delle sue potenzialità e delle sue capacità. Lo
scontro è anche attivo, l’educatore quando ascolta si mette in gioco, anche
nell’ascoltare c’è dentro la relazione perché comunque partecipa, si lascia
“contaminare” in maniera produttiva da un racconto dell’altro e quindi è
costretto in qualche modo a mettersi in discussione perché ogni ascolto vero ci
cambia, ci fa crescere, ci fa mettere appunto in gioco le nostre credenze e
nostre precedenti certezze e idee proprio per incontrare l’altro, per cui lo
scontro richiede umiltà, fatica, impegno, apertura mentale e anche emotiva
tenendo presente che l’apertura emotiva non deve risolversi in un
annullamento delle distanze perché comunque a volte i problemi gli aspetti
difficoltosi della vita dell’altro ci parlano, arrivano anche a noi, quindi non
riusciamo poi ad essere obiettivi e non riusciamo a gestire con la giusta
L’autorevolezza
distanza e autorevolezza il nostro intervento. un altro punto
fondamentale perché è giusto che l’educatore non sia autoritario direttivo ma è
anche giusto che sia l’altro a doverci dare un po’ alla volta darci fiducia e quindi
riconoscerci come professionisti autorevoli, come punti di riferimento sicuri.
l’equilibrio,
L’atteggiamento opposto, è questo far sì che l’altro si riconosca, noi
non dobbiamo imporci nel senso “io sono l’educatore e tu mi devi ascoltare”
questo è l’atteggiamento sbagliato, l’educatore è lo specialista della
complessità è agente mediatore di cambiamento, è veramente un
professionista della cura e dell’aiuto quando possiede gli strumenti per poter
mettere in pratica le sue idee e lo strumento principe è la progettazione. La
progettazione non è altro che, un organizzazione organizzata e organizzante;
non esiste una progettazione che non implichi l’elemento dell’organizzazione.
Personalizzare l’intervento educativo perché ogni relazione di aiuto e di cura è
un caso unico originale è irripetibile, ogni persona che incontriamo è una storia
un identità unica e originale, irripetibile fatta di punti di forza e punti di
debolezza e quindi dobbiamo calibrare il nostro intervento rendendolo su
misura come noi cerchiamo di dosare le energie e risorse. Non esiste un
intervento educativo che si possa fondare solo sulle esigenze dell’altro ma
deve anche fondarsi sull’intervento e la progettazione, deve essere molto
attenta a quelle che sono le risorse, la progettazione non esiste da sola ma va
sempre relazionata alle specifiche esigenze del contesto nel quale stiamo
vivendo, è chiaro che la relazione di aiuto e la relazione educativa di cura è una
relazione che implica costante azioni di adattamento reciproco e di
accomodamento. La relazione è mediazione, e richiede l’arte della
negoziazione altrimenti diventa negazione dell’altro, quindi l’adattamento,
l’accomodamento reciproci sono i processi che dobbiamo sempre individuare.
L’educatore è un mediatore, un professionista delle umane negazioni sia
all’interno della équipe che si occupa delle persone con disabilità ma anche
didattiche
proprio all’interno delle azioni quotidiane. l’educatore nelle
relazionali esplicite, deve dare delle priorità, deve decidere quello che deve
offrire all’altro prima o dopo, deve suscitare la rielaborazione dei vissuti della
persona e rilasciare qualcosa che vada oltre, deve mettere profondamente in
didattiche
crisi il vissuto della persona diversa, quando parliamo invece di
relazionali implicite parliamo di modi, le strategie, le tecniche, mediante cui
l’educatore organizza la sua progettazione: organizzare, osservare, progettare,
valutare e monitorare, che cosa va a organizzare ad esempio le risorse oppure
organizza i raccolti (operatori ASL, e extra-scuola), organizza e gestisce le
relazioni con enti e altre figure professionali, qui osserva i comportamenti, le
tracce, le storie di vita, le narrazioni dell’altro, fa autoanalisi, sa anche
osservare e raccogliere quelle tracce che permettono poi di decidere se
attivare una progettazione personalizzata e contestualizzata. C’è un raccolto
tra la didattica relazionale implicita e l’esplicita, didattica relazionale esplicita
che lavora sui contenuti sui saperi, vissuti emotivi, corporei, ecc., e poi
andiamo ad inserire nella didattica relazionale esplicita i contenuti, gli oggetti
di indagine del nostro progettare, lo strumento principe dell’educatore è la
progettualità si inserisce all’interno dell’insieme di modalità strategiche e
organizzative, tecniche delle didattiche relazionali implicite che permettono
l’accordo tra il contenuto e la forma, perché qui abbiamo i contenuti e qui
abbiamo i modi di organizzare forme, una progettazione che si rispetti è fatta di
contenuti per portarla avanti e organizzarla. Nella didattica relazionale implicita
non esiste una progettazione senza organizzazione, le risorse di varia natura,
l’ultima parte riguarda la verifica e l’autoverifica delle attività che abbiamo
composto per andare a monitorare l’efficacia del nostro progetto quindi una
sorta di “valutazione di giudizio” di quelle che sono stati i risultati e anche la
qualità del processo. Non esiste una didattica relazionale che sia solo esplicita
o solo implicita perché le parole si negano. Le competenze quindi delle
didattiche relazionali implicite sono legate all’osservazione, alla progettazione,
all’organizzazione delle risorse, mentre le competenze educative esplicite sono
quelle che intendono favorire la formazione, l’educazione, la prevenzione, le
didattiche relazionali esplicite richiedono un lavoro sulla popolarità delle
intelligenze attraverso una negoziazione e di mediazione mentre le didattiche
relazionali implicite richiedono l’esercizio la padronanza dei metodi e strumenti
e delle tecniche progettuali. Il lavoro educativo va sempre oltre
all’esistenzialismo è un lavoro soprattutto simbolico, metaforico, un laboratorio
rappresentazionale che richiede costantemente una ridefinizione di sé,
l’educazione coincide con la progettazione, relazione di aiuto e di cura dove la
parola chiave è lo scambio nella reciprocità, bisogna che l’educatore intervenga
per proiettare e provocare nell’altro nuove direzioni di senso e di significato,
soprattutto nell’ottica della progettazione essenziale futura, l’intervento
dell’educatore è polivalente e poliedrico perché media e si mette in relazione
con più esperti soprattutto quando entriamo nell’ottica dell’inclusione,
l’intervento educativo deve seguire i principi e le regole che
l’accompagnamento intende.
LEZIONE DEL 18.04.2018
Non esiste inclusione senza integrazione poiché l’integrazione di qualità dove ci
sono indicatori precisi, vigorosi sono la base per poter poi passare
all’inclusione. L’Integrazione di qualità anticipa l’inclusione, che prende tutte le
esperienze delle ricerche effettuate anche se si differenza dall’integrazione in
quando né critica alcuni punti. Ci devono essere trasformazioni nel contesto per
poter accogliere la diversità, vista come elemento esterno, questo elemento
deve omogeneizzarsi all’pre-esistente. Questa è la critica che viene fatta.
Includere è chiudere dentro, appartenere, essere. riconoscere e
valorizzare ogni categoria di differenza e diversità. Si focalizza
l’attenzione sui BES che comprende tante diversità.
Integrazione si è dentro e fuori, dentro un sistema già esistente.
facciamo riferimento a persone con disabilità.
Adattamento reciproco, c’è solo aggiustamente poiché accolgo,
traguardo migliore che possiamo aggiungere. Non c’è un radicale
modificazione del sistema, ma solo un aggiustamento che accoglie la
diversità, che però deve adattarsi alle idee dominanti della normale
funzionalità della didattica.
Quando parliamo di Inclusione, facciamo riferimento ad un documento
fondamentale, INDEX FOR INCLUSION, supera la prospettiva più
problematica dell’integrazione stessa poiché anche se ci sono stati tanti
traguardi ci sono anche lacune, ovvero la mancanza o scarsa formazione
personale. C’è bisogno di una formazione ricorrente. Un altro elemento
problematico del fallimento dell’integrazione è la presenza dei fenomeni di
delega, l’insegnante specializzato si prende in carico dell’educazione e
formazione dell’alunno con disabilità, questo compromette l’inclusione perché il
bambino a volte è portato al di fuori della classe, dunque da rivedere il
concetto di sostegno, da sostegno individuale a rete poliedrica di sostegni ed
aiuti diffusi all’interno della classe.
L’inclusione poggia su concetti importanti:
Piena partecipazione dell’alunno in classe.
Pieno diritto di cittadinanza: pari diri