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“EROS” E TEORESI PEDAGOGICA
Eros in greco significa la mancanza che spinge all’impossessamento. L’essere umano ha dei desideri perché
sente la mancanza di qualcosa. Questa esperienza della mancanza che spinge all’impossessamento è
sicuramente un’esperienza che scaturisce dal rapporto con l’alterità. Questa dinamica espone anche ad un
rischio molto grave: quello di annientare l’alterità. L’educazione è una relazione, è un rapporto che ha
anche una componente affettiva, nel senso che non è possibile educare qualcuno se questo qualcuno non ci
sta a cuore. “l’educazione è una questione di cuore” (Bosco).
Non si può essere educatori indifferenti. Un altro modo per interpretare il desiderio della persona è
l’agape: allude ad una ricchezza che porta a donare quello che si ha. Il problema del desiderio interpretato
come eros viene affrontato e risolto se riusciamo ad integrare l’eros con l’agape. L’educazione implica una
dinamica di tipo affettivo. Il pericolo è che l’affettività si possa esprimere nel voler ridurre a noi la persona
che stiamo educando. Dato che c’è in gioco il costituirsi della libertà dell’altro, il rapporto non deve
portare alla scissione dell’altro a me. L’agape bilancia l’eros.
L’eros e la pedagogia
La pedagogia è un sapere autonomo, non si può ricavare la conoscenza riguardante l’educazione da
concetti diversi; è sbagliato partire da un’ideologia per capire cosa accade quando si educa.
Tradizionalmente si pensava che dalla psicologia si poteva trarre la descrizione di pedagogia. Negli ultimi
decenni questo pensiero è stato abbandonato. Ci si è affidati alle scienze dell’educazione, ma l’equivoco che
si è creato è questo: si pensava che si potesse partire da questi pensieri per spiegare l’educazione. Inoltre,
nello spiegare la definizione di pedagogia, si partiva dalla descrizione psicologica della persona. Questo fu
un altro errore. La caratteristica dell’educazione è che il rapporto tra educatore ed educando permette a chi
sta crescendo di maturare la capacità dell’essere libero. Ci si può avvalere di saperi diversi, ma questi
devono essere finalizzati a far emergere il fatto che la persona maturi la sua singolarità, la sua capacità di
essere libera. CAPITOLO 3
IL CONCETTO DI “PHYSIS” COME NUCLEO DI UNA FILOSOFIA (METAFISICA)
DELL’EDUCAZIONE.
Il concetto tradizionale di physis
La parola physis significa natura, come termine fondamentale dentro la scienza pedagogica. Il termine
physis (natura) allude alla nascita in diversi sensi (pag.106). Innanzitutto nella concezione degli antichi la
natura connota ciò che è stato generato. La differenza tra la natura e la tecnica è che ciò che è naturale è
generato, ciò che è tecnico è prodotto. Oggi si discute sui limiti che bisogna porre alla tecnica quando
interferisce con la vita. Espone al rischio che la vita sia considerata come un prodotto. Abermas, tedesco
laico, afferma che se noi possiamo manipolare il menoma, quel qualcuno che nascerà ci potrà domandare la
ragione di quello che hanno fatto nei suoi confronti, perché si è intervenuti a modificare la natura umana. Si
potrà cercare di rispondere, ma ci sarà un problema fondamentale: questo processo è irreversibile; noi
abbiamo trattato questo qualcuno come una cosa e l’abbiamo manipolato. Se le ricerche vengono, per
esempio, fatte per intervenire su una malattia va bene perché lo scopo è quello si sanare la natura, ma se
l’intervento (es genetico) va a modificare i tratti di una persona in modo permanente il problema è che noi
interveniamo intenzionalmente; ed è l’irreversibilità del problema che ci fa paura.
Gli antichi distinguevano ciò che è naturale da ciò che viene prodotto artificialmente. Essi sottolineavano
come la natura (qualcuno o qualcosa si esprime per forza propria) è importante perché porta
manifestazione delle caratteristiche che accomunano tutti coloro che appartengono, ad esempio, alla stessa
famiglia naturale. Il fatto che l’essere umano si riproduce da se fa si che egli sia portatore di una natura
umana che non deve essere cambiata.
Circa 500 anni fa la capacità tecnica dell’essere umano spicca un salto formidabile. Si cominciano ad avere
invenzioni sempre più sofisticate per cambiare la realtà. È un cambiamento molto forte perché se io
considero che il mondo e i viventi siano una macchina, sono portato a definire che sia legittimo qualunque
intervento, qualunque cambiamento che faccia funzionare queste macchine. Si va quindi a toccare dei
caratteri dell’essere umano che sono immodificabili. Io rischio di trattare la natura e quindi l’essere umano
come una macchina e quindi pensare che posso trasformarlo liberamente.
Facciamo un’ipotesi: noi quando lavoriamo facciamo fatica, se ci fosse la possibilità di rimuovere la fatica,
siamo sicuri che quello che diventiamo sarebbe coerente con quello che siamo?
Non è vero che noi siamo macchine, noi siamo viventi ed essendo viventi siamo tenuti a fare i conti con un
qualcosa da cui dipendiamo. Non siamo completamente manipolabili, esiste l’intervento terapeutico che ha
lo scopo di curare la malattia, cioè di contenere un limite. L’equivoco può essere il ritenere che questo
intervento di mutazione possa essere indefinito. È quindi importante riconoscere che esiste una natura
umana, e verificare se l’essere umano può venire manipolato. In particolare, c’è un passaggio che va tenuto
presente. Si considera un’obiezione al concetto antico di natura: l’idea che la natura umana sia un principio
astratto da cui ricaviamo le caratteristiche di una persona. Questa obiezione è sbagliata perché, in realtà, il
riconoscimento che esiste una natura umana non è avvenuto a partire da un’idea astratta, ma osservando le
persone e, riconoscendo che c’è qualcosa di comune fra le diversità che abbiamo, ha permesso di
individuare qualcosa che è permanente al di là del compito originale di ciascuno. Questa è la natura
umana.
Da pag. 115 il problema riguarda il concetto di metodo. La cultura moderna si costituisce circa 500 anni fa
a partire da un formidabile intervento della capacità di trasformare la natura. Perché si verifica questo?
Ci si rende conto che le osservazioni relative a quello che avviene in natura possono essere tradotte in
espressioni matematiche. Tutte le leggi naturali scoperte nella modernità sono state tradotte in quantità
matematiche. Mentre gli antichi si limitavano ad osservare i fenomeni e a trovare le somiglianze, il fatto che
i moderni trasformino i fenomeni in espressioni matematiche, fa si che le osservazioni possano essere
comparate. Attraverso la comparazione si è arrivati a progettare strumenti sempre più sofisticati. I moderni
hanno quindi trovato un metodo per spiegare la realtà: la matematica. Hanno quindi avuto la convinzione
che si può arrivare ad avere risultati certi e maturano la convinzione che ciò sia possibile attraverso un
procedimento, che segue un metodo in maniera precisa.
Però non è possibile credere che si possa trovare un metodo praticante il quale siamo certi del risultato. Se
l’educazione è finalizzata a portare a manifestazione della libertà, vorrebbe dire che la libertà è un risultato
di riconoscimento meccanico, ma la libertà non può essere un risultato di un meccanismo; perchè non c’è
nulla di libero in un procedimento meccanico.
Il problematicismo ritiene che il problema di cui, in realtà, è portatrice sia un problema che va utilizzato e
che non va risolto. Il concetto di problematicismo è scettico, ritiene che la verità non esiste, o se anche
esistesse, non può essere riconosciuta. La problematicità richiede che sia possibile trovare le risposte,
anche se la ricerca non avrà mai fine, perché ad ogni risposta che troviamo sarà legato un qualche
problema nuovo. Oggi viviamo in una società che afferma che la verità non esiste, non è possibile
riconoscerla e quindi ci affidiamo a delle soluzioni tecniche. La problematicità riconosce la libertà. Ci può
essere una pratica educativa dove l’educatore si astiene nell’intervenire in maniera educativa rispetto
all’educando. CAPITOLO 4
DERIVA NARCISISTICA, NULLIFICAZIONE DELL’”ALTERITÀ” E CONCETTO DI ESSENZA IN
PEDAGOGIA.
Ecco il problema del narcisismo: il narcisista è colui che fa di se stesso la misura di tutto. Questo
atteggiamento è negativo dal punto di vista educativo perché è indizio di immaturità. La tendenza di mettersi
al centro, è tipica del bambino. Più il bambino è piccolo, più cercherà la soddisfazione dei propri bisogni.
Non si può essere adulti se si rimane narcisisti. Se diventiamo capaci di contenere questo richiamo
diventiamo anche capaci di costruire una relazione con gli altri. In un rapporto di coppia bisogna essere in
grado di contenere il narcisismo se no si ha la tendenza a ridurre l’altro a se.
Auschwitz: campo di concentramento in cui si mira a distruggere l’alterità. Lo scopo era quello di
cancellare l’altro. I prigionieri venivano rasati (la capigliatura concorre a dare un profilo originale alla
persona), venivano vestiti con una divisa comune e soprattutto veniva assegnato a ciascuno un numero. La
differenza tra il numero e il nome è evidente: il numero allude ad una condizione di assoluta impersonalità.
Campo di concentramento come immagine cruda di una prospettiva volta a cancellare l’alterità. Auschwitz
preso come modello della civiltà occidentale. Noi viviamo in occidente e se maturiamo l’idea che
l’occidente sia una civiltà negativa, che ha puntato a distruggere l’alterità. La nostra educazione diventa
impossibile. A pag. 168 tre autori, in modo diverso, affrontano il tema dell’alterità.
Buber: ebreo,l’essere umano diventa se stesso attraverso la relazione. Pone in luce una differenza
fondamentale: la relazione “io, tu” e la relazione “io, esso”. La prima è la relazione tra persone. È
attraverso la relazione con le altre persone che noi diventiamo adulti. La seconda relazione consiste nel
rapporto con le cose. Non c’è paragone tra i due destinatari (persona, cosa). Questo perché nel rapporto
con la persona noi ci confrontiamo con un nostro simile,