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scrittore nella metrica). Troviamo anche nella sintassi la difficoltà di Pasolini (come di
Gramsci) ad accettare la realtà, a trovare un accordo fra le famose passioni e
ideologie. Questa è la chiave di lettura per il testo, la sintassi contorta che allude alla
contortezza dell'animo. Il fine di Pasolini è il ricercare etica civile, passione per
l'umanità. La poesia è un esame di coscienza crudele. La prima strofa esprime "lo
scandalo del contraddirmi", la lacerazione fra passione e ideologia: è comunista nel
"cuore", ma nelle "viscere" sente di dover contraddire l'ideologia di Gramsci (parla a
lui come in una lettera). La seconda e terza strofa sono unite da un'enjambement;
siamo in una sintassi sospesa, un colloquio che non torna, pause, si parla della
"passione" per la vita del sottoproletariato. L'"allegria" della quarta strofa, è l'allegria di
naufragi ungarettiana, che disorienta, fa sentire soli, ed è la stessa provata dai
sottoproletari. Analogamente alle precedenti, anche la quinta strofa è legata con
l'enjambement alla quarta, su "la forza originaria" quella antica del popolo, ormai
"perduta", al di là di storia e tempo. Nella settima strofa abbiamo gli attacchi anaforici
dei versi in "come", modo di identificarsi con "i poveri", gli umili e speranzosi, che si
battono per vivere (coralità nell'intimità). La religione del popolo primitivo in cui
Pasolini credeva è stata minacciata dal progresso. L'ultima strofa trova la novità del
verso di Carducci (6+7 sillabe), da 14 o 13 sillabe. Si conclude con il verso isolato:
"ma a che serve la luce?", riferimento a Longhi e all'ideologia artistica dell'arte di
Caravaggio (modello per Longhi).
Pasolini chiude in sé una continua dualità, che lo porta ad una crisi di appartenenza:
impersona nelle opere la voce dell'IO (intimo) e allo stesso tempo quella del NOI
(corale); non si sente né del sottoproletariato, né un borghese. Questa sua
contraddizione interna lo porta a voler gestire la generazione precedente alla
rivoluzione della campagna rurale, con i suoi "Scritti Corsari" considerati scomodi e
con l'appoggio nei moti del 68 ai Celerini, veri figli del sottoproletariato, a differenza
dei borghesi "figli di papà" figli della borghesia (altra lacerazione di Pasolini).
Nel 1964 pubblica "Poesia in forma di Rosa" un'autobiografia corale
(contraddizione), composta attraverso il linguaggio filmico del cinema, un nuovo
modo di far poesia: come seguito da una macchiando presa l'io è inquadrato, i
dialoghi sono didascalie accompagnate da appunti e precisazioni in corsivo (tra
parentesi quadre […] le precisazioni, tra parentesi tonde (…) commenti per
l'interpretazione), la poesia è scritta come una sceneggiatura in versi, magma di
registri, uso dei dialetti e sintassi contorta (a seconda del personaggio che parla e
interpreta la sua parte). Il titolo della raccolta deriva dalla filosofia di Jung, il quale
vedeva la rosa come una madre, la prima poesia della raccolta è infatti "La ballata
delle madri". La figura della madre è però vista in senso lato, perché MADRE è anche
la terra, Roma ("Mamma Roma" il suo film), sua madre (nel "vangelo Secondo
Matteo" l'attrice che interpreta Maria è proprio sua madre), e la madre vergine dei miti
medievali, la quale rappresenta la salvezza. Inoltre la figura della rosa presenta petali
disposti circolarmente, a simboleggiare l'infinito e la possibile rigenerazione, il cerchio
(come la croce) è un simbolo ossessivo per Pasolini.
ANALISI: da "Una disperata vitalità", sezione di "Poesie in forma di Rosa"
Già il titolo della sezione è un ossimoro, che esprime la lacerazione interna dell'autore
-> disperazione del sottoproletariato in quegli anni + la voglia di viverli. La poesia è