Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
GIUSEPPE MONGERI
Giuseppe Mongeri è uno storico di formazione letteraria e riassume la questione del dibattito
milanese in un saggio per l’istituto lombardo di scienze, lettere e arti nel 1878.
L'anno precedente, infatti, il senato discute una legge sulla conservazione dei monumenti, degli
oggetti d’arte e d’archeologia; si tratta della proposta di una prima legge organica finalizzata alla
tutela, anche se poi non venne approvata. Mongeri ritiene questa proposta di legge troppo generica,
inoltre afferma che è necessario un dibattito per trovare le linee di tendenza che lo stato, attraverso i
suoi organismi, deve rendere attuali; è lo stato che deve farsi promotore del modo corretto di
tutelare e di restaurare.
Mongeri è il primo a porsi la domanda di che cosa sia il restauro, egli parte da un'analisi storica
degli interventi dall'antichità sino al XVIII secolo ed osserva come sia mancato il senso storico, in
modo particolare nell'architettura del XVIII secolo nella quale mancava il senso degli oggetti d'arte
antica, della storia, del passato e della cultura antica. Nel XIX secolo nasce il concetto di restauro
accogliendo l'arte di tutti i tempi (dimensione diacronica) ed in tutte le sue forme (dimensione
sincronica). La scienza, si pone il problema dell’apprezzamento del passato attraverso il documento;
il documento deve essere apprezzato nella condizione originaria. Esso può presentarsi integro,
oppure depurato o modificato da ciò che nel tempo si può essere depositato. La scienza non tollera
l’ingiuria del tempo e l’incuria degli uomini e considera il restauro come un'opera di necessità
suprema quando la custodia oculata (manutenzione) non è più sufficiente. Il restauro si presenta,
dunque, come una conservazione riparatrice: la salvaguardia di un valore che può essere ottenuto
anche attraverso una riparazione. L'intervento di restauro è costituito dalla scienza e dall’arte del
restauratore; la scienza dell'antico ha il compito di determinare i modi ed i metodi del restauro. I
compiti del restauratore sono:
- la conservazione integrale di quanto e’ pervenuto (custodia oculata);
- il restauro delle sole parti guaste o mancanti;
- non sostituire le parti originali;
- restituire l'aspetto dell'opera quale sarebbe stata se fosse giunta incolume attraverso gli anni,
ossia, togliere le trasformazioni e mantenere ciò che il tempo naturalmente avrebbe prodotto
(come, ad esempio, la patina che permette di percepire l’antichità del documento).
Giuseppe Mongeri cerca di rendere l’opera ricomposta fin dove è possibile nei suoi elementi
originari, di poter vedere l’opera nel suo aspetto e nelle sue manifestazioni particolari e di godere
dello spirito della scienza. La scienza, però, è essa stessa unità e armonia e non può accettare ciò
che è disorganico; la scienza, nella ricerca della verità, non può che aderire al ritrovamento
dell'unità formale. Il restauratore sotto la spinta della scienza storica rinuncia al restauro di
completamento, quando non è supportato da verità scientifiche, e, in caso contrario, attraverso il
restauro analogico. Mongeri stabilisce quali siano i compiti del restauratore nei vari ambiti: in
architettura, in scultura ed in pittura.
Per quanto riguarda l'architettura, premesso che l'architettura è opera dell'architetto e il muratore ne
è solo esecutore, l’opera architettonica è un composto di elementi svariatissimi: di scienza e arte, di
stile e metodologie costruttive. Il restauratore deve porvi mano con
- con la mente estetica, che risponda al caso;
- con la mente dell’archeologo, per poter usare mezzi scientifici;
- e con senso dell’arte, per restituire l'unitarietà dell'immagine.
Per quanto riguarda i monumenti archeologici, Mongeri ritiene necessario che esso debba essere
deve essere conservato così come si trova, senza nessuna aggiunta (restauro statico con interventi
nascosti); mentre per i monumenti ancora in uso, egli distingue gli interventi di restauro piccoli (di
manutenzione) da quelli grandi (restituire l'aspetto dell'opera quale sarebbe stata se fosse giunta
incolume attraverso gli anni). Riguardo alle amputazioni da eseguire durante i lavori di restauro,
ALFREDO D'ANDRADE
Alfredo D'Andrade, di origini portoghesi, si presenta per la prima volta sulla scena italiana nel 1882
come membro della Commissione d'arte per l'esposizione generale di Torino del 1884. Il tema è la
realizzazione di una mostra d'arte antica per costruire una storia degli stili dal Medioevo all'epoca
moderna, attraverso vari edifici; ma a causa dell'eccessiva ampiezza del periodo storico, si dovette
rivedere il programma. D'Andrade formulò un'ipotesi di intervento per la realizzazione del Borgo e
della Rocca medioevale del Valentino; il suo progetto riproduceva fedelmente un villaggio
medioevale piemontese del XV secolo sovrastato dal castello, e venne approvato dalla
Commissione. Camillo Boito celebrò il suo lavoro e, la notorietà che conseguì con quest'opera gli
valse, nel 1884, un nuovo incarico: fu nominato membro della Commissione per il restauro di
Palazzo Madama. Il monumento, a partire dall'epoca romana, aveva subito notevoli trasformazioni,
in modo particolare nel XV e nel XVII secolo con la costruzione della facciata secondo il progetto
dell'architetto Filippo Juvarra. Sulla base di un accurato studio storiografico e di un rilievo della
fabbrica, corredato da schizzi ed annotazioni che evidenziano la struttura originaria e le diverse
stratificazioni storiche, D'Andrade propose di mettere in luce, dove era ancora possibile, le rovine
delle costruzioni primitive e di restituire al palazzo l'immagine del XV secolo. Il progetto, dunque,
assume il carattere di un restauro in stile, anche se rigorosamente scientifico, perché fondato su
principi filologici e sopratutto documentato. Rispetto ai contemporanei, la sua esperienza culturale
ed operativa rappresenta l'unica chiave di lettura per comprendere un personaggio che sembra
assumere il ruolo prevalente di spettatore. La mancanza di una produzione letteraria e di un
contributo scientifico che attraverso l'enunciazione di principi teorici chiarisca la posizione del
restauratore, non ha consentito alla cultura ufficiale di valutare appieno la figura di D'Andrade. Solo
dalla seconda metà del '900 si è avviata un'analisi critica ed interpretativa del suo ruolo di
restauratore nell'evoluzione della disciplina. L'interesse per la ricerca analitica e filologica è alla
base del suo rapporto diretto con l'architettura e, pur operando ricostruzioni in stile, non compie mai
arbitrari invenzioni; il restauro di D'Andrade è, infatti, il risultato di una profonda attenzione per la
storia artistica e costruttiva della fabbrica. Lontano dalla cultura dominante del periodo che mirava
alla reintegrazione dell'immagine del monumento attraverso il restauro stilistico legittimato o
storicamente o analogicamente, egli propone di recuperare l'unità figurativa controllando ogni scelta
operativa sulla base di un attento procedimento fiologico. I restauri particolarmente identificativi
eseguiti da D'Andrade sono il campanile della Chiesa di San Donato a Genova, la Sacra di San
Michele nella valle di Susa e la torre del Pailleron ad Aosta. In questi restauri si può ben vedere
come D'Andrade, pur restando a favore del restauro analogico, sottolinea l'importanza e la necessità
di differenziare le parti aggiunte per consentire una lettura diretta del nuovo sostenendo, inoltre, di
non voler isolare i monumenti attraverso una recinzione. D'Andrade nel 1899 si occupa dello studio
per la ricostruzione della scala esterna di Palazzo del Popolo a Perugia, mentre dal 1907 al 1909, si
occupa dei restauri della Pinacoteca di Napoli, collaborando anche con Boito, e di Castel
Sant'Angelo a Roma; nel 1905 partecipa alla ricostruzione del Campanile di San Marco a Venezia e
nel 1911 lavora con Venturi al restauro dell'abbazia di San Galgano a Siena. In questi ultimi
interventi, D'Andrade sembra aver recepito i principi enunciati da Boito nel 1883 maturando un
atteggiamento più conservativo e favorevole al rispetto di tutte le parti del monumento.
ALFONSO RUBBIANI
Alfonso Rubbiani (1848-1913) fu attivo a Bologna tra il 1880 ed il 1910; egli assecondò gli
interessi dei ceti economici dominanti che stavano in quel momento dando nuovo impulso agli
sviluppi urbani ed imprenditoriali della città, alla quale egli conferì una veste culturale scegliendo
le forme romantiche del ripristino medievaleggiante, ispirandosi a Viollet-le-Duc, e che esprime la
sua intenzione di ricostruire il passato come forma di opposizione al futuro. Rubbiani, dunque, si
inserisce nel clima culturale Bolognese facendo interventi simili a quelli a lui precedenti che
consistevano nella sostituzione di parti originali ed in costruzioni ex novo. Il suo obiettivo era
ottenere la varietà nell'unità enfatizzando il manufatto affinché l'opera eseguita risulti storicamente
più attendibile e verosimile; il monumento era, a suo parere, solo il punto di partenza per un
ripristino condotto anche con l'ausilio delle nuove arti decorative. Rubbiani, inoltre, venne
sicuramente influenzato dalle regole della reintegrazione stilistica del restauro storico che si affermò
con le formulazioni di Camillo Boito e le realizzazioni di Luca Beltrami. Da un'attenta analisi della
sua opera, scaturiscono due considerazioni principali:
- la prima è il rapporto tra il restauro e la progettazione del nuovo;
- la seconda è il confronto tra Rubbiani e la concezione del restauro di quegli anni.
Restaurare per Rubbiani non significa conservare l'opera d'arte per ciò che è, ma forzare una realtà
mascherata ed operare attraverso un ideale di ripristino. I restauri da lui condotti sull'architettura
minore e sulle case private denunciano, invece, la volontà di completare con l'architettura civile
l'abbellimento della città e ridonare a Bologna lo splendore dell'età medievale attraverso anche
l'eliminazione delle presenze discordi sostituendole con parti nuove di chiara omogeneità stilistica e
costruttiva. I restauri di Rubbiani furono criticati anche da molti suoi contemporanei più attenti alla
conservazione di tutte le stratificazioni storiche ed artistiche; tali critiche, tuttavia, non scalfirono la
sua fama e continuò a ricevere incarichi importanti che contribuirono in modo determinante alla
definizione dell'attuale aspetto della città emiliana.
Ci sono state diverse tappe,