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Aldo Palazzeschi è un poeta nato a Firenze nel 1885. Scrive all'interno della
rivista del Futurismo Fiorentino "Lacerba". Il padre avrebbe voluto vederlo
impegnato negli studi giuridici, ma Palazzeschi intraprese inizialmente la
carriera teatrale, in seguito quella poetica.
Il suo fulcro tematico è l'identificazione dell'IO LIRICO: "chi sono?", questa è la
domanda che dà inizio alla sua riflessione, ripresa dall'opera pucciniana "la
Boheme", nella quale il poeta vive in libertà, "sciala rime ed immagini d'amore" il
tutto con ironia.
Nella raccolta "Poemi" abbiamo una prima definizione del rapporto poesia -
poeta: la penna è uno strumento, il poeta è prima un saltimbanco, poi un
clown, poi una marionetta, ed infine un automa; questa è metafora, secondo
Palazzeschi, del percorso di vita di un poeta, sono stadi che si susseguono
velocemente, ma che portano infine l'io ad essere un corpo privo di anima.
Questo soggetto attraverso la penna ha il compito di esprimere il rapporto
costante fra psiche (interno) e paesaggio (esterno), un rapporto denigrante per
un personaggio scomodo e deriso, quale è egli stesso.
Con "I Cavalli Bianchi" (1905) edito da Cesare Blanc (il suo gatto; Palazzeschi
in un certo modo si prendeva gioco della "gente") afferma il suo genere liberty -
crepuscolare (il bianco è infatti il colore dei poeti crepuscolari). Palazzeschi ci
porta in una dimensione fiabesca con la figura dei cavalli bianchi, ma anche con
la presenza di luoghi assoluti, sospesi (come nei poeti metafisici e nei quadri di
De Chirico), in un'atmosfera classico-novecentesca; in questi luoghi magici, il
comune denominatore è l'incrocio di due strade (come in Gozzano) in luoghi
circoscritti, che siano viali, prati, orti, laghi …
Ci troviamo sempre e comunque in una dimensione onirica, le azioni non hanno
senso, non sono legate dalla logica razionale, sono ripetute all'infinito come i
personaggi, che sono seriali e ripetuti, che tornano sempre ma non trovano mai
un senso a ciò che fanno, sono come ipnotizzati, sonnambuli.
Palazzeschi inoltre dà molta importanza al significante, anzi, lo considera di
maggior importanza rispetto al significato: ciò è perfettamente espresso nella
sua poesia "Lasciatemi divertire", una poesia "per le orecchie", dove regna il
non-sense, dove vengono combinate sillabe prive di significato, ma colme di
suoni che si legano fra loro, creando una cantilena ripetuta, all'interno della
quale il poeta-clown si diverte amaramente. C'è nel lavoro di Palazzeschi la
volontà di svuotare la poesia di ogni suo significato.
Con "Lanterna" (1907) riprende l'idea pascoliana di poesia.
Dedicata a Marinetti pubblica la raccolta "l'Incendiario" (1910). Qui il poeta non
è più ridicolo, ma pericoloso, secondo il giudizio dei benpensanti ("la gente"),
poiché può incendiare attraverso la parola; è un personaggio comunque
grottesco e scomodo (alla maniera di Gesù Cristo) ma allo stesso tempo
leggero (come un funambolo) ed effimero (come il fumo). Ci ritroviamo nel