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Poesia “La Si riferisce al 2 novembre, e compare già ne “L’incendiario” del 1910. Comincia

con un riferimento ai poeti, i quali cantano la giornata dei morti in modo malinconico. “Malinconicamente”

è un settenario ex-lege perché ha cinque sillabe atone e manca di un accento secondario. Quando la poesia

fa riferimento al “canto”, si inserisce nella tradizione, nel canone lirico classico. La parola “fiera” ritorna anche

Campana;

in rinvia a un giorno festivo, ma anche a una manifestazione di mercato, in cui si vendono merci

di tutti i tipi. La fiera è un insieme di attività commerciali, di intrattenimento e di incontro. “Questa” è usata

Ungaretti,

la prima volta da Leopardi (uso dell’aggettivo dimostrativo). Questa tematica, centralissima in la

troviamo in tutti i poeti del Primo Novecento. Palazzeschi ci sta raccontando che si trova alla fiera, oppure il

v. 3 “questa fiera” fa riferimento al titolo. C’è l’intervento diretto del poeta attraverso l’uso delle parentesi,

con un andamento prosastico, da discorso. “Dice” è la vox populi, espressa con un linguaggio basso. “Piove”

è usato in maniera transitiva. “Oggi” è indicatore di presenza: il poeta ha portato il discorso in praesentia,

manifestando la sua presenza. Questa poesia segna un’antitesi: giorno dei morti come giorno grigio e tristo

VS giornata in cui splende un magnifico sole. Il poeta trova svago dentro i cimiteri, in cui i cancelli sono

spalancati per tutti. Anche il poeta si può quindi intrufolare per suo divertimento. Vi è poi la trascrizione della

realtà, cioè di quello che accade in fiera. Emergono molte figure della ripetizione: poliptoto, allitterazioni,

omofonie, etc. Palazzeschi gioca nel verso libero con l’ambiguità metrica. Il ritmo è ascendente e discendente.

Si introduce l’elemento macabro-grottesco, perché le salsicce in vendita al poeta sembrano le interiora dei

morti. “Mangiare a crepapelle” è una denuncia dissacrante delle festività sacre che diventano del tutto

profane. La visita ai morti è diventata una festa: i parenti dei morti sono dei festanti. Palazzeschi gioca con le

parole lunghe sdrucciole. Questa poesia anticipa il gusto dissacratorio legato ai cimiteri e al ritrarre i morti

Rodari Masters.

come santi; questo testo sarà ben presente a negli anni ’70 e all’ “Antologia di Spoon River” di

L’ultima strofa è un dialogo macabro tra coloro che visitano il cimitero, in cui si vendono anche le ossa dei

morti, addirittura con molte richieste d’acquisto. I teschi vengono messi all’asta. Vi è l’abbassamento del

sacro e la demolizione del perbenismo e del sacro che viene ancora ipocritamente affermato. La gente infine

torna dai camposanti allegramente rovesciamento del lutto. L’unico modo per mantenersi vivi è l’allegria

e il riso (si pensi ai funerali negli Stati Uniti o nel Messico). La morte è celebrata con allegria. Questa poesia è

un miscuglio di diverse tecniche, con neologismi e condensazioni.

12^ LEZIONE Palazzeschi

Quando nel 1913 pubblica “L’incendiario”, egli si sta già allontanando dal Futurismo,

normalizzando il proprio discorso poetico. Da “L’incendiario” del ’13 è iniziato un lungo processo che porterà

Palazzeschi a riscrivere ed emendare la sua poesia, fino all’edizione del 1958. L’edizione finale delle poesie di

Palazzeschi smonta le raccolte precedenti: egli rielabora molte poesie ed altre le toglie. “L’incendiario”

scomparirà e già nell’edizione del ’13 appare profondamente rielaborato, molto più edulcorato. Molte strofe

e molte poesie vengono del tutto tolte.

Poesia “L’incendiario” da “L’incendiario” è un lungo poemetto che ha al centro la figura carismatica

dell’incendiario. È dedicato a Marinetti, “anima della nostra fiamma” questa dedica ha spinto la critica a

pensare che la figura dell’incendiario coincida con quella di Marinetti. In realtà, al centro della poesia,

prima

l’incendiario è presentato come una figura astrologica. È una poesia complessa divisa in sezioni: la

strofa seconda strofa

descrive la situazione, dove l’incendiario è messo alla gogna; nella troviamo la folla che

esprime le proprie opinioni (vox populi) e che si raduna attorno alla gabbia dell’incendiario. C’è una

spettacolarizzazione di questo evento secondo un processo teatralizzante. Abbiamo un dialogo senza alcun

intervento di tipo diegetico è un dialogo collettivo in cui sparisce l’io narrante della prima strofa. Sulla

scena c’è una voce fuori campo che è quella del poeta. Da una parte c’è l’incendiario, e dall’altra “tutti”, tutti

gli altri. Le battute di dialogo si muovono su varie linee: c’è chi esprime terrore e timore che l’incendiario sia

una figura diabolica e possa fuggire; c’è chi lo odia e lo disprezza insultandolo e desiderando che venga

ammazzato; c’è poi chi ha pietà (sensibilità di tipo cristiano). Viene fuori che è stato arrestato e che lui ha

dato fuoco alle cose per divertimento (“brucia per divertimento”). Questo elemento del divertimento

terza strofa,

rimanda al poeta legame tra il piromane e il poeta. Nella irrompe il poeta sulla cena, facendosi

largo nella folla. La gente che sta a infangare l’incendiario viene definita dal poeta “ciarpame, fetido

bestiame” disprezzo per la folla. Questo linguaggio aggressivo fa parte di un registro basso di Palazzeschi

che contrasta il gusto dominante del pubblico borghese, che è di tipo pascoliano-dannunziano. Di fronte alla

massa amorfa, il poeta riconosce il suo stato “io sono il poeta”. Il poeta appella l’incendiario come “mia

creatura da cantare”: l’incendiario è un personaggio positivo da cantare, creato dal poeta. È una poesia alta

dal punto di vista del poeta, al punto che la marmaglia si deve inginocchiare. Il poeta è anche un sacerdote

che officia un rito, e la gabbia diventa un altare. L’altare e la gabbia rappresentano una vittima sacrificale:

quarta strofa

siamo nell’ambito della dissacrazione del sacro. Nella il poeta si rivolge all’incendiario,

appellato “Signore”. La rima in “-one” è continua in questa poesia. L’incendiario è chiamato per la terza volta

“creatura”. È il momento della “confessione” e quella che sta facendo il poeta adesso è una “messa”. Come

il destino di Cristo è la sorte dell’incendiario, perché egli si sottopone alla tortura e alla cattiveria per salvare

e purificare il mondo. Molti versi successivi dell’edizione del 1910 vengono espunti già nel 1913.

Successivamente la folla viene invitata a pregare. Poi il poeta si rivolge all’incendiario, dicendogli che anche

lui è un incendiario, con la differenza che il piromane distrugge cose concrete, mentre il poeta, che è l’alter

ego dell’incendiario, distrugge la tradizione. Palazzeschi si definisce “incendiario mancato” perché il poeta

non è passato alla pratica, ma incendia solo la parola. L’incendio che fa il poeta serve a sovvertire le regole

della poesia. Il poeta non può che essere un riflesso della volontà distruttiva dell’incendiario; per questo va

in giro vestito di grigio e non di rosso, come l’incendiario ( vestiario come sistema di segni, di qualcosa che

rimanda a qualcos’altro; si pensi a Barthes e a Baudelaire). Quindi da un lato c’è l’incendiario che si diverte,

e dall’altro gli uomini seri, cioè i borghesi. L’incendiario non parla davanti lo sproloquio del poeta:

l’incendiario non parla ma agisce, invece il poeta parla tanto, scrive poesie, ma non passa all’azione

(Palazzeschi è un incendiario solo con le parole). Il poeta apre la gabbia dell’incendiario, che ha il compito di

distruggere le cose del veggio mondo (“le reliquie tarlite del vecchio tempo”). L’incendiario opera un vero e

proprio rovesciamento, che è proprio di Palazzeschi, soprattutto ne “Il manifesto del Controdolore”,

pubblicato su Lacerba, che si accompagna ai migliori manifesti futuristi degli artisti (pittori futuristi,

soprattutto). Il dolore è tutto umano e non prevede delle sublimazioni ultraterrene; perciò bisogna ridere di

tutto ciò che fa soffrire abbassamento grottesco del dolore. In Palazzeschi ci sono tutte le declinazioni del

comico.

DINO CAMPANA Dino Campana,

è uno degli autori più controversi del Novecento. fino al 1914, anno

d’uscita dei “Canti Orfici”, ha provocato reazioni molto diverse tra loro, talvolta opposte in modo tale che c’è

stata una critica che l’ha visto come un attardato, l’ultimo dei Romantici, e chi invece ha visto in lui uno dei

fondatori della nuova poesia del ‘900. La difficoltà di inquadrarlo deriva da una parte dai suoi fatti biografici,

ossia la pazzia (poeta pazzo e poesia come documento prodotto dalla pazzia); invece c’è stato chi sin da subito

ha esaltato la sua poesia come un capolavoro. Campana è stato segnato dalla follia: già a 15 anni il padre lo

porta da psichiatri, e il primo internamento si ha durante gli anni dell’università. Ne seguiranno molti altri;

dal 1908 Campana inizia una vita errabonda (sin dall’adolescenza si muoveva molto a piedi). Nel 1908 parte

Rimbaud,

per il sud America, in Argentina. Questa vita errabonda lo accomuna a per l’inadattabilità verso il

mondo moderno (“disagio della civiltà”, Freud), l’incapacità di riconoscersi e adattarsi nell’ambiente in cui si

è nati e cresciuti. Sia per Rimbaud che per Campana è la fuga dall’Occidente: Rimbaud va in Africa; Campana

emigra in Argentina con un viaggio per mare. In Argentina fa vari lavori e la critica ha trovato qualche difficoltà

perché i suoi spostamenti sono ricavabili dai suoi scritti. Il suo psichiatra ha lasciato una testimonianza molto

importante. In Argentina Campana c’è stato molto a lungo, per poi ritornare in Italia nel 1913, quando si

Soffici,

avvicina al gruppo della Voce, e consegna il manoscritto del suo libro a con la speranza che il libro

venga pubblicato dalla casa editrice de “La Voce” (con il titolo “Il più lungo giorno”). Tuttavia non riceve

risposta da Soffici e Papini

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
38 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/11 Letteratura italiana contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovyviv94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Poesia italiana del Novecento e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Bernardini Francesca.