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La consuetudine nel diritto internazionale
Nel diritto internazionale la consuetudine è l'unica fonte di diritto internazionale generale e, per sua stessa natura, è fonte di norme non scritte, il cui accertamento da parte del giudice internazionale o interno non è sempre facile: da ciò l'importanza della codificazione del diritto internazionale generale.
La consuetudine internazionale risulta dunque costituita da:
- Un elemento materiale, dato dalla ripetizione di un comportamento da parte dei membri della società internazionale (usus o diuturnitas).
- Un elemento psicologico, dato dalla convinzione che il comportamento assunto sia conforme a diritto (opinio iuris sive necessitatis).
Nonostante il termine diuturnitas significhi "lunga durata", il decorso del tempo non può configurarsi come vero e proprio elemento costitutivo della consuetudine, poiché, per quanto si tratti di un fattore importante per accertare la formazione di essa, il periodo necessario per la sua formazione può variare.
In ogni caso, la questione è di rilevanza quasi esclusivamente teorica. Anzi, se proprio si vuole privilegiare un elemento costitutivo rispetto all'altro, il ruolo più importante nella nascita e nell'evoluzione del diritto internazionale generale è svolto dall'opinio iuris. Ad ogni modo è stato osservato che in settori in cui esistono forti divergenze di interessi economici o politici tra gli Stati, l'elemento dell'usus può avere un ruolo decisivo nell'evoluzione del diritto internazionale consuetudinario, mentre in altri settori l'opinio iuris ha un ruolo preminente.
come ad es. nell'ambito del diritto dei conflitti armati (il c.d. diritto internazionale umanitario). Per quanto riguarda l'elemento materiale, più in particolare, questo è definito da una serie di caratteristiche per cui: 1) la prassi degli Stati può essere costituita sia da comportamenti che gli Stati tengono nelle relazioni internazionali, sia da comportamenti che gli Stati tengono al loro interno (poiché da una parte le norme internazionali trovano sempre più spesso applicazione all'interno degli Stati, dall'altra anche la prassi internazionale può essere utile per la formazione di norme internazionali). 2) la prassi degli stati deve essere sufficientemente diffusa. Deve cioè provenire da un numero sufficiente di Stati rappresentativi della società internazionale e, in particolare, dagli Stati interessati alla singola norma (è fondamentale in proposito il ruolo delle grandi Potenze). 3) la prassi degli Stati deve essere generalmente accettata come diritto. Ciò significa che gli Stati devono considerare la prassi come obbligatoria e non come una mera consuetudine o pratica facoltativa. Queste caratteristiche dell'elemento materiale sono fondamentali per determinare se una prassi può essere considerata come fonte di diritto internazionale.Stati deve essere sufficientemente costante, anchese il tempo di formazione della consuetudine non è predeterminatoin astratto. Questo, infatti, è in funzione della diffusione della prassinella società internazionale e dell’elemento psicologico che concorrea formare la consuetudine per cui, in genere, più è diffusa la prassi,meno tempo sarà necessario per ingenerare l’opinio iuris e, quindi,costituire la consuetudine.
3) la prassi degli Stati deve essere sufficientemente uniforme. Ciònon significa che tutti gli Stati che partecipano al processoconsuetudinario debbano comportarsi sempre nello stesso modo intutte le circostanze. Si tratta piuttosto di verificare come uno Statoche si comporti in modo apparentemente difforme da come si ècomportato in precedenza, abbia inteso giustificare il suocomportamento. Tale considerazione è importante per distinguereuna prassi illecita da una prassi suscettibile di
Provocare un'evoluzione del diritto internazionale generale. Nella fase iniziale del processo consuetudinario, in genere, il comportamento tenuto dagli Stati è spesso contrario ad una norma ancora vigente e quindi illecito. Se, tuttavia, gli Stati giustificano il loro comportamento sulla base della necessità di modificare la norma vigente o addirittura sulla base della nuova norma consuetudinaria che tale comportamento concorre a formare, la loro prassi è suscettibile di provocare un'evoluzione del diritto internazionale e pertanto, se la prassi appare ragionevole agli altri Stati, è possibile che essa si diffonda nell'insieme della società internazionale e finisca per ingenerare una corrispondente opinio iuris. Se invece gli Stati non giustificano in alcun modo il loro comportamento, questo resterà illecito. Se poi essi giustificano il loro comportamento alla luce di una norma vigente, sarà solo questione di accertare se
Il comportamento può essere giustificabile in base ad essa o essere illecito. In merito all'elemento psicologico invece, è stato osservato che l'opinio iuris si forma solo al termine del processo consuetudinario ed a coronamento di esso.
L'elemento psicologico è indispensabile per:
- Distinguere la consuetudine dal mero uso, inteso come ripetizione di un comportamento che gli Stati tengono per ragioni di cortesia senza ritenersi obbligati a farlo.
- Accertare in che misura una diffusa prassi convenzionale costituisca la prova di una consuetudine generale (il ripetersi e il diffondersi di determinate stipulazioni in trattati può essere la prova dell'inesistenza di una regola corrispondente nel diritto internazionale generale oppure la prova del diffondersi di una prassi idonea, se suffragata dall'opinio iuris, a creare una norma generale).
- Stabilire la rilevanza di una prassi normativa interna (costituita da una serie di uniformi disposizioni).
- La consuetudine internazionale è una fonte di diritto internazionale che si basa sul comportamento ripetuto e generalizzato degli Stati.
- Perché una prassi possa essere considerata come consuetudine internazionale, deve essere accompagnata da un elemento soggettivo chiamato opinio juris, ovvero la convinzione che tale comportamento sia obbligatorio dal punto di vista giuridico.
- La consuetudine internazionale può essere utilizzata per:
- interpretare le norme scritte;
- integrare le lacune del diritto internazionale;
- creare nuove norme (ad esempio, se gli Stati si comportano in un certo modo e questa prassi è sostenuta dall'opinio juris, può costituire una prassi idonea a creare norme generali vincolanti anche per gli Stati che non le hanno ancora applicate internamente);
- stabilire la rilevanza di una prassi meramente negativa (ad esempio, se gli Stati si astengono dal comportarsi in un certo modo, questa prassi non è di per sé idonea a provare l'esistenza di un corrispondente obbligo giuridico di astensione, a meno che non ci sia un'opinio juris corrispondente).
- La consuetudine internazionale può creare norme flessibili, che possono essere derogate da due o più Stati mediante la stipulazione di un trattato; ma può anche creare norme cogenti, che possono provocare l'invalidità o l'estinzione dei contrari accordi.
Anzitutto,
Per norma cogente si intende una norma imperativa del diritto internazionale, ossia una norma accettata e riconosciuta dalla comunità degli Stati nel suo insieme come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e che può essere modificata soltanto da una successiva norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. Poiché le norme cogenti sono norme di diritto internazionale generale e che queste sono norme di fonte consuetudinaria, ad imprimere carattere cogente alle norme stesse non può che essere l'opinio iuris degli Stati. In altri termini, perché una consuetudine crei diritto cogente, sarà necessario evincere dalla prassi degli Stati la convinzione che esista una norma giuridicamente vincolante e che questa sia inderogabile mediante accordo. Mentre in base alla concezione prevalente della consuetudine, quest'ultima è considerata come il risultato di un processo spontaneo, secondo la concezione
consensualistica della consuetudine, essa è definita come l'equivalente di un accordo tacito, poiché esaminando gli articoli che la definiscono (38, par. 1 b) IGJ St. e 53 Cdt), l'elemento psicologico della consuetudine viene apparentemente identificato con "l'accettazione" di una pratica generale come diritto, piuttosto (o prima ancora) che con la convinzione della conformità di tale pratica a diritto. Dunque da ciò potrebbe dedursi che l'elemento psicologico non sia altro che una manifestazione di volontà ad obbligarsi da parte degli Stati, che si evince implicitamente dalla loro prassi. Tuttavia, tale concezione è attualmente poco rappresentata nella dottrina poiché comporterebbe l'inesistenza di qualsiasi fonte di diritto internazionale generale (essendo questo di carattere consuetudinario e dunque spontaneo) e il fatto che uno Stato possa essere vincolato solo da norme rispetto alle quali abbiaIl consenso esplicito o implicito è fondamentale per la formazione delle norme consuetudinarie. Spesso, la prassi degli Stati è determinata dalla volontà consapevole di alcuni di essi di creare una nuova regola di diritto generale, eventualmente modificando o abrogando una regola esistente. Tuttavia, affinché questa prassi dia effettivamente vita a una nuova norma consuetudinaria generale, è necessario che essa si diffonda e che si sviluppi una generale opinio iuris.
L'unico problema che può sorgere riguarda l'applicabilità di una norma consuetudinaria a uno Stato che si sia opposto esplicitamente alla prassi altrui, anziché rimanere in silenzio.