vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
La proposta che si sente di fare è che si devono obbligare delle compagnie a fare delle scritture,
ovvero delle forme di contratto che abbiano una scadenza sempre più alta (trimestrale,
semestrale) e non di pochi giorni o legati ad una sola rappresentazione.
7. Silvio d’Amico: il problema dei fondi
Fu promotore del convegno ed era un esponente importante dello spettacolo con un ruolo politico
e culturale importante nel periodo fascista. Era il presidente dell'Accademia d'Arte Drammatica,
unica scuola pubblica per attori in Italia. Nella prima parte dà conto di ciò che si era fatto nel
periodo fascista: politicamente è stato disastroso, ma dal punto di visto organizzativo e della
direzione generale dello spettacolo le cose erano andate bene e si era lavorato molto; c'è stato poi
il periodo della guerra. Dunque le iniziative si erano perse, ma ora bisognava ricominciare a
mettere in moto tutto. Egli dice che è impensabile che il teatro sia gestito da troupe, di compagnie
che girano per l’Italia proponendo una serie di spettacoli; devono invece esserci delle istituzioni
pubbliche che si prendano l'incarico di diffondere l'arte teatrale con continuità e in tutte le zone
d’Italia. C'è dunque bisogno di un teatro stabile e pubblico. Quindi l'esempio da seguire è quello
del Piccolo. C'è poi il problema del pagamento: lo Stato deve pagare questo teatro stabile e
pubblico, ma non deve pagarlo come lo paga ora ovvero con una sovvenzione con un aiuto che in
ogni caso è molto minore rispetto a quanto viene dato per il teatro d'opera. L'opera lirica è più
esportabile all'estero, è più nella tradizione italiana. Detto questo non è giusto che il teatro di prosa
sia finanziato così poco, rispetto al teatro d'opera: è una divisione iniqua. Inoltre, cerca di
spiegarne le ragioni: il fondo unico dello spettacolo, ovvero quello che ogni anno il governo destina
allo spettacolo dal vivo, è destinato per il 50% ai grandi teatri d'opera che sono meno di 15 in Italia.
Il resto 50% è destinato ai numerosissimi teatri di prosa, alla danza, al cinema...Proporzioni
ingiuste. Oggi la proporzione è rimasta più o meno la stessa; per sua natura il teatro d'opera ha
bisogno di numerosissimi dipendenti: orchestra, coro, staff tecnico ecc. e per mantenere alto il
livello artistico i teatri d'opera hanno bisogno di organici fissi in tutti i settori. D'Amico quindi si
rende conto di questa cosa, e della differenza artistica della realizzazione dello spettacolo opere e
teatro, ma facciamo in modo che anche il teatro stabile abbiano contratti più a lungo termine, lui
propone triennale, in modo che il ministero riconosca che anche il teatro ha bisogno sovvenzioni
maggiori, non più così inique.
8. Salvini: nuovi organismi teatrali e teatro stabile
Insegna all'Accademia Nazionale di Arte Drammatica e si occupa degli aspetti registici. Egli parla
dei "nuovi organismi teatrali” e del teatro stabile. Egli racconta come secondo lui come sia ormai
necessario che il teatro di prosa sia ormai organizzato con dei criteri di stabilità e nuovi rispetto al
passato. I grandi centri come Londra, Parigi, Germania, Russia hanno già teatri stabili e ne porta
degli esempi. E' ora che anche in l'Italia si parli di teatri stabili, ma non bisogna solo copiare questo
modello straniero, ma attraverso un proprio repertorio (Goldoni, Pirandello, Moliére, Shakespeare)
e con la sua continuità, può fare educare i cittadini. Il teatro stabile può avere un servizio pubblico,
può dare un'alfabetizzazione teatrale attraverso appunto questo grande repertorio. Egli poi nota
che già dal 47 e il 48 l'esempio del Piccolo si sta diffondendo. Per adesso è ancora l'unico teatro
stabile pubblico, ma fa esempi di città che stanno intervenendo su questa strada come Genova,
Roma. Stanno creando le strutture. E' quindi una giusta idea, un giusto modello da seguire.
D'Amico interviene e sostiene che però così facendo si rischiano di eliminare le compagnie teatrali
nomadi. In realtà una cosa non esclude l'altra.
17.03. 2014 Lezione #12
Il Piccolo Teatro
I rapporti del Piccolo
Il convegno non ha ricadute immediate sul teatro milanese, ma si parla dell’importanza di un teatro
stabile pubblico nella società. Nel 1949 il Piccolo inizia una lunga contrattazione di tipo annuale,
sia con attori sia con tecnici ed inizia una stabilizzazione. Il Piccolo si è trovato di volta in volta con
realtà diverse: con la nascita delle regioni, nel 1977, passa da un lavoro a stretto contatto col
comune di Milano ad uno con la regione Lombardia (il teatro regionale è il Teatro Stabile di
Brescia). Altro ente con cui ha uno stretto legame è la provincia.
Le varie sale
Ha lavorato su varie sale per la crescita continua: la sala storia di Via Rovello che è ancora attiva
ed ha avuto pochissimi cambiamenti; nel 1964 la sala grande, di quasi 2000 posti, del Teatro Lirico
diventa la seconda sala del Piccolo fino alla sua chiusura, ormai da 20 anni. In quest’ultima sono
stati allestiti grandi autori come Shakespeare e Goldoni. Si sta parlando di riaprire questa sala,
situata in Via Larga. Nel 1987 venne costruito il Teatro Studio in Via Rivoli che è un teatro
elisabettiano con pianta centrale e balconate sovrapposte rifacendosi al The Globe Teathre.
La terza sala è l’attuale Strehler del 1998, molto grande con palcoscenico tecnologicamente molto
avanzato.
È una grande sfida produttiva gestire tre palcoscenici.
Il decentramento di Grassi
A metà degli anni Sessanta, nel 1968, vi era scontento e vi fu un movimento di protesta per
rivedere tutto con sede al teatro Odeon di Parigi, questo perché il teatro è un luogo di dibattito. Ciò
che fu rimproverato al Piccolo fu di non aver ascoltato proposte che venivano dal basso che
prevalevano (le cooperative); Strehler era poco incline alle opposizioni, tanto che lasciò Grassi
solo alla guida del Piccolo per 4 anni fino al 1972. Furono anni che spezzarono la duplice direzione
Grassi – Strehler ed Escobar - Ronconi che caratterizzava il Piccolo: rimasto solo, Grassi si trovò
improvvisamente a dover gestire la parte artistica ed il problema del movimento che contestava il
ruolo del regista e l’istituzione in sé e ci fu un calo di pubblico notevole in corrispondenza al calo
del rapporto col comune. La situazione, difficile, porta alla scelta del decentramento creando delle
sede dislocate oltre a quelle centrali portando il teatro fuori dal centro città, dato che prima le sale
teatrali erano tutte nella cerchia dei navigli. Il progetto prevedeva il noleggio di un tendone da circo
e di portarlo nei quartieri-dormitorio abitati da lavoratori che vi stavano solo per dormire; tale
decentramento portò a costituire il teatro come ruolo di ritrovo e non solo per gli spettacoli, ma per
organizzare incontri e consigli di zona o momenti di cultura autonomi indipendentemente dalla
programmazione del Piccolo. Questo era il “Teatro Quartiere”.
Con quest’iniziativa Grassi riconquista il pubblico milanese in quanto non si trattava di un teatro di
qualità minore, ma uguale a quello delle sedi centrali.
Quando Strehler tornò, l’idea del decentramento non venne più utilizzata, ma fu importante perché
da quest’idea nacquero molte iniziative cittadine. Nel 1972 Grassi andò alla Scala a fare il
sovraintendente e lasciò il Piccolo tutto. Strehler che diventa gestore unico, ma da quest’anno la
figura amministrativa fu Nina Vinchi così che il doppio ruolo gestionale viene sempre mantenuto.
Il riconoscimento di Teatro d’Europa e l’internazionalizzazione del teatro
Ricevuto nel 1991 con il Piccolo che entrò nell’Unione Teatri d’Europa (UTE) che raccoglie i più
importanti teatri europei nell’allora nascente Unione Europea. Questo progetto portò ad un
percorso mondiale, nonostante il teatro di prosa sia di difficile esportazione. Fin dall’inizio le scelte
artistiche predilessero spettacoli verso tale direzione, senza la necessità stretta di capire che si
diceva: avvenne così l’internazionalizzazione del teatro. Così gli scambi all’interno dell’UE diedero
inizio a coproduzioni e ciò permise al Piccolo di creare progetti che fruttassero investimenti
sostanziosi.
18.03.2214 Lezione #13
Strehler
La sua attività è sostanzialmente legata al Piccolo Teatro. È un regista di grande peso anche
nell’opera lirica, alla Scala, lavorando con Abbado ed anche in altri teatri del mondo (ex. Vienna,
Parigi ecc.). Fece storia mettendo in scena tre grandi autori: Goldoni, Brecht e Shakespeare.
Creò una squadra di attori che gli furono più o meno fedeli nel corso di tutta la sua carriera, dagli
anni Cinquanta agli anni Novanta del Novecento; si ricordano Giulia Lazzarini, Valentina Cortese,
Tino Carraro e Ferruccio Soleri (mette ancora in scena “Arlecchino” di Goldoni con cui Strehler
inaugurò la prima stagione del Piccolo nel 1947).
Il suo percorso è l’unione tra poesia e teatro.
Goldoni
Goldoni viene riscoperto da Strehler e toglie un po’ di “maniera” al Settecento teatrale a favore di
un Goldoni più vero e popolare; Strehler rallentò la sua produzione dagli anni Sessanta arrivando
aduno o due all’anno. Della sua produzione goldoniana si ricordano: “Arlecchino” e “Le baruffe
chiozzotte” con una dimensione popolare. Con Goldoni si definisce un modo di fare teatro che vale
anche per gli altri due autori della sua produzione: parliamo di “realismo poetico”, ovvero è
importante mettere in scena la realtà così che il pubblico s’immedesima in cose che conosce e
dunque apprende, ma la realtà non dev’essere la fotografia della vita perché ciò sarebbe una
forma di violenza verso lo spettatore e dunque dev’essere messa in scena attraverso il filtro della
poesia e ciò significa che si fanno degli accorgimenti per addolcire un po’ la realtà (ad esempio,
una recitazione che non marca la durezza della storia con sonorità poetiche). Fattore
fondamentale è anche la luce, di fatti Strehler fu il primo light designer, che dà alla scena aspetti
differenti che possono sottolineare l’importanza della poesia intesa come qualcosa che addolcisce
la realtà, sia attori sia scenografia. Si crea così uno spettacolo che mostra la condizione umana.
Brecht
Brecht, a differenza degli altri due autori, è contemporaneo e dunque Strehler lo conosce; è un
autore politico, dichiaratamente e fortemente com