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La bestia e l'uomo secondo Machiavelli
Dopo il doppio esempio dell'uomo e la bestia, Machiavelli mette da parte l'uomo e si focalizza sulla bestia, affermando che tra le bestie è utile usare la volpe per i lacci e il leone per i lupi. La necessità è data dalla natura degli uomini: sarebbe bene mantenere fede alla parola data se gli uomini fossero tutti buoni.
Dopo queste immagini bestiali, Machiavelli torna agli esempi della vita concreta. L'esempio è sempre Alessandro Borgia, che ha sempre mentito ed è riuscito nel suo intento.
Un altro concetto fondamentale su cui insiste è l'importanza di "colorire" la propria natura bestiale, ovvero saperla mascherare e giustificarne l'uso. Non è dunque necessario avere tutte le virtù, ma è fondamentale "parere di averle".
Due termini su cui insiste sono dunque simulare e dissimulare, termini allustiani, utilizzati nel famoso ritratto di Catilina: se osservate le
virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. 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Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacità di entrare e uscire dal bene, a seconda delle circostanze. Il fine infatti è prioritario: la celebre frase "il fine giustifica i mezzi" non è esplicitamente detta ma è presente in maniera implicita. Il capitolo si chiude con un esempio positivo di cui non esplicita il nome. Parla di un principe che predica pace e fede ma è invece nemico della clemenza e della religiosità. Fa bene, infatti se avesse tenuto fede alle virtù potrebbe essere dannoso, ma se simulate sono utili. Tra le virtù di cui tratta la religione è quella che bisogna massimamente parere di avere, quindi riconferma la sua visione di questa come instrumentum regni. Si delinea qui una chiara frattura tra l'essere e l'apparire. Un altro termine su cui insiste è "mutare". La natura del principe deve essere camaleontica, egli deve sapersi volgere secondo gli elementi della fortuna. Non è un elogio del male, ma della capacitàIn una precisa traduzione del proprio ragionamento, definisce la fortuna come un fiume in piena cui bisogna porre degli argini. Ciò denota una grande abilità retorica, basata su una relazione con il lettore: si mette nei suoi panni e poi lo inchioda. Riflette dunque su che cosa sia realmente la fortuna. Esiste secondo lui una forza che in parte vi si oppone, ovvero la virtù: nel fluire caotico del tempo e degli accadimenti un principe ha un ruolo. Di fatti l'uomo virtuoso previene l'esondazione del fiume, perché una volta che straripa, il fiume distrugge tutto e non c'è più nulla da fare. La virtù in questione è dunque la preveggenza, la capacità di impedire l'evento non voluto da subito. Iconograficamente la prudenza è rappresentata come una donna con uno specchio, che vede ciò che accade alle sue spalle. La prudenza era considerata tra le virtutes principis, come la clemenza, la liberalità,
virtù che erano sempre mediocri tra dueeccessi, ma spicca in particolar modo nel rinascimento. Anche Tasso neltrattato Virtù eroica e carità, sottolinea la prudenza, nel 500.Nella mancanza di prudenza evidenzia la colpa della decadenza dell’Italia, daparte di uomini con nomi e cognomi precisi, gli uomini politici. Mancano divirtù, che è importante poiché governa gli accadimenti per metà. Chi siappoggia troppo alla fortuna, ruina.Il discorso della eguale influenza di virtù e fortuna si ferma però al generale:Machiavelli scende nel particolare. Dal generale va nello specifico, la questionesi complica e l’ansia trasmessa aumenta.In primo luogo, come già accennato nel capitolo cinque, il principe deve sapercogliere l’occasione di governare. In quel discorso venne introdotto il concettofondamentale della qualità dei tempi. Secondo Machiavelli il successo di unostatista regge su una struttura precaria,
non fissa, perché è il risultato dell'accordo tra due forze diverse: si manifesta se le qualità del principe si accordano o sono giuste per una situazione che si verifica a causa della sorte. La vittoria è dunque appesa a un filo. Le qualità di un principe devono accordarsi con la fortuna: in alcune situazioni ci vuole forza, ma potrebbe sempre capitare una situazione in cui ci sarà bisogno di una qualità che il principe forte non ha. Essendo il principe un abecedario per governare, Machiavelli si pone il problema di esplicitare concretamente che cosa si può e che cosa non si può fare per affrontare la sorte, nello specifico nel momento che sta vivendo l'Italia, debole tra stati troppo grandi. Egli individua due modi di procedere: mediante il ragionamento o con violenza, l'uno dei rispettivi, l'altro degli impetuosi. Eppure osserva che due rispettivi possono pervenire a due esiti opposti e un rispettivo e unimpetuoso possono entrambi felicitare o entrambi ruinare. Dipende dalla qualità dei tempi che deve conformarsi al loro modo di agire. Machiavelli crede che esista da una parte l'indole, che è una propensione innata, dall'altra il carattere che nasce dall'educazione. È vero che il principe ha il potere della variazione: il principe che non ruina è quello che sa mutare il proprio carattere. Ciò nonostante è difficile cambiare indole, dunque permane l'instabilità, l'idea degli uomini fermi nella loro indole e della fortuna in movimento e dunque si intravede una vena di pessimismo. Alla fine però viene fatto uno scarto ragionativo: se deve scegliere, sceglie un impetuoso. Come esempio utilizza Giulio II, un uomo tale che il popolo alla sua morte scende in piazza per festeggiare, ma così forte che la Francia si unì a lui proprio perché lo vide tale. I tempi richiedevano di agire, non di aspettare.
Mase non fosse stato così e avessero richiesto di agire con rispetto, avrebberuinato. La sua preferenza per gli impetuosi è dunque meno logica del solito:egli afferma che la sorte è donna e bisogna batterla, rifacendosi all’immagineiconografica della fortuna ù. È un finale inaspettato, non perfettamente solidosul piano ragionativo, una dichiarazione poco rigorosa. La debolezza delragionamento di Machiavelli sta nel voler trovare a tutti i costi una soluzione.
Francesco GuicciardiniNella storia di Firenze, Francesco Guicciardini è un personaggio di spicco dalpunto di vista politico: sono anni importanti, in primo luogo il 1512, anno delritorno dei Medici a Firenze e il 1513, anno in cui viene eletto il primo papaMedici. Guicciardini è un nobile che già in quel periodo è vicino alla famiglia, inparticolare a Lorenzo, duca d’Urbino, di cui viene eletto consigliere nel 1515. Inquel periodo comincia la sua carriera
politica.Nel 1516 e nel 17 viene eletto rispettivamente governatore di Modena e Reggio. Si distingue per la difesa strenua di Parma nel 21 e Modena nel 23. Difende le città assediate contro le aspettative di tutti, a dimostrare una profonda conoscenza delle questioni politiche, ma anche militari. Nel 1523 viene eletto Clemente VII, il secondo papa Medici e lui diventa governatore della Romagna. Segue la battaglia di Pavia nel 1525: l'imperatore Carlo V sconfigge Francesco I, re di Francia, arrivando persino a catturarlo. È un conflitto che sarà risolto solo con la pace di Cateaux Cambresis. La battaglia in particolare determina però una situazione di forte squilibrio in Italia, che, prima divisa equamente tra Francia e impero, rischia di diventare ora totalmente sottomessa agli Asburgo. Guicciardini è perciò fautore della lega di Cognac che deve limitare il potere spagnolo imperiale. In realtà è proprio questa lega a determinare nel1527 il sacco di Roma. Guicciardini, visto come un colpevole, si ritira nel Finocchieto e vi resta dal 1527 al 1529. Qui si dedica alla stesura di opere, tra cui una consolatoria e anche orazioni in difesa di sé e della sua lega. Nel 1529 i Medici operano un assedio, in accordo con l'impero e il papa. È un assedio lungo e ricordato per la difesa strenua da parte dei cittadini fiorentini. Guicciardini dunque ritorna a Firenze e guida il passaggio dalle istituzioni repubblicane a quelle assolutistiche. Dopo la morte di Clemente VII, affianca Alessandro de'Medici, primo duca fiorentino. Alessandro, detto il moro fu assassinato dal cugino Lorenzino, tratto in inganno con il pretesto dell'incontro con una donna. È un assassinio quasi paragonato all'omicidio di Cesare, dato probabilmente anche dalla metamorfosi statale da Repubblica a principato, in cui Lorenzino ricoprirebbe dunque il ruolo di Bruto. Anche per volere di Guicciardini sale Cosimo I, prima duca.di Firenze poi granduca di Toscana. Appartiene a un ramo secondario della famiglia Medici, figlio del condottiero Giovanni delle Bande Nere, ma viene scelto perché giovanissimo e secondo Guicciardini, è possibile di conseguenza istruirlo e guidarlo. In realtà proprio lui lo estromette. Dal 1537 al 1540, anno della sua morte, si ritira quindi a vita privata. La Storia d'Italia I venti libri della Storia di Italia, scritti nel 27/28, coprono un arco temporale che va dalla morte di Lorenzo de'Medici nel 1492 alla morte di Clemente VII nel 1534. Parla quindi di anni in cui egli stesso è protagonista. Consiste di: 1) Prologo 2) Libri I-X, che descrivono il rovinare della situazione italiana, a partire dalla discesa di Carlo VIII. 3) Libri XI-XX, che descrivono il dominio imperiale spagnolo. Si chiude in maniera sconsolato con la descrizione dell'Italia come di un luogo schiavo. Prima di morire, chiese che quest'opera fosse bruciata. CiòNonostante nel15