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È ancora possibile la letteratura?
Accademia di Svezia, il discorso è ancora possibile la letteratura? Pochi mesi prima (a Milano, il 12 settembre 1981) erano usciti I miei • (da Bonsanti a Pannun-zio), a cura di Giovanni Spadolini, Altri rimedi e altri disperar, a cura di Giorgio Zampa. Nello stesso anno vede la luce, postuma, la raccolta degli scritti musicali, Ramo alla SeaLa, a cura di Gianfranca Lavezzi.
La parata e il significato della poesia
Le poesie degli Ossi di seppia, scritte a partire dal 1916, si segnalano subito per il timbro di originalità, una risentita originalità, che nasce non da un rifiuto esterno della tradizione, ma da una sua intima relazione. Si potrebbe addirittura parlare, senza attribuire al termine "limitativo" un significato limitativo, di una sorta di compromesso, che corrisponde alle ragioni di una coscienza poetica nuova e profonda. Se si pensa che nel medesimo 1916 Ungaretti pubblicava i "Miei"...
porto sepolto, si avrà subito un'idea della distanza che separa i due poeti, spesso fretto-rispetto a Ungaretti lesamente accomunati per esigenze di semplificazione manualistica. Ungaretti muove dal-la distruzione dp]_YFì " ^innn1p per rimf prirp la fora automa della parola, facendo di es-forH +rarl.gauno^struniento di liberazione, capace di attmgere_alle fonti dell'assohitQ.^fasi tratta anco-ra. per Montale, di una snlndnnp nf.t.imist.ipa_e non «filatori a TWTnnmft fì TqflFt"1"*" **'" nr tàg rag1ineliminabile, che Ungaretti tende invece a trascendere e ^cancellare. ÈJjjnondo fenomenico,della natura e_deUe pos^ nfì] Quale sembra talora possibile individuare uno spiraglio della ve~jità. pur aenza_che jejae_Bos_sano mai ricavare risposte tranquillizzanti e definitive.ktte Di qui il diverso valore che, rispetto a Ungaretti, assume la parola nella ricerca poeticadefla. parola montaliana.
parola non può aspirare a raggiungere direttamente l'assoluto, isolando la sua pronuncia nel silenzio, ma deve prima confrontarsi con il reale, una barriera nella quale resta inevitabilmente impigliata e che tuttavia costituisce il solo banco di prova consentito, la sola speranza di accedere al mistero insondato dell'esistenza. Diventa così impossibile l'uso dell'analogia nel senso proposto dal Simbolismo (cfr. voi. F, MI) e portato alle estreme conseguenze da Ungaretti: quello in cui la parola si propone di esprimere sensazioni indefinite e indeterminate, accostando fra loro realtà antitetiche e lontanissime. La parola di Montale, al contrario, non allude o elude, ma indica con precisione oggetti definiti e concreti, stabilendo fra questi una trama di relazioni complesse; essa fa capo, per così dire, al soggetto poetante e ne trattiene lo sforzo incessante di penetrare oltre ciò che appare materialmente, per scoprire la direzione o
Il senso ultimo della vita. Le conseguenze di un simile atteggiamento - di cui spiegheremo meglio fra poco i fondamenti e le implicazioni conoscitive - sono essenziali per comprendere l'idea di poesia propria di Montale e le scelte formali da lui compiute. Se vogliamo utilizzare la distinzione, proposta da Luciano Anceschi, fra una "poetica della parola" e una "poetica delle cose" (cfr. anche il M3), dobbiamo annettere la poesia montaliana a questa seconda categoria, lungo una linea che ha i suoi maggiori antecedenti in Pascoli e Gozzano (poeti entrambi molto cari a Montale, pur senza voler stabilire con questo ulteriori elementi di parentela, trattandosi di tre esperienze che obbediscono a motivazioni completamente diverse). Se si legge una poesia programmatica come "limoni" (cfr. T101), che non a caso, dopo il prologo "In limine", apre gli "Ossi di seppia", si può vedere quanto forte sia l'atteggiamento polemico nei confronti
davanti a sé. Questa scelta di Montale è in netto contrasto con la tradizione poetica ufficiale, che preferisce utilizzare termini astratti e convenzionali per descrivere realtà generiche e indeterminate. Pascoli, ad esempio, aveva ritenuto insufficiente il linguaggio poetico di Leopardi proprio per questa ragione. Montale, invece, si oppone a questa tradizione utilizzando parole concrete e vivide come "limo-Montale402 ni", che rappresentano una flora reale e colorata. Queste parole danno luce a un paesaggio arido e brullo, che viene descritto con precisione e immediatezza. Si parla di "erbosi fossi", "pozzanghere mezzo seccate", "qualche sparuta anguilla", "viuzze", "ciglioni", "ciuffi delle canne", "orti". La scelta di Montale di concentrarsi sulle "piccole cose" e sugli elementi di una realtà povera e comune è significativa. Questi sono gli elementi che l'uomo può trovare in ogni momento davanti a sé, e che spesso vengono trascurati o ignorati. Montale, invece, li valorizza e li rende protagonisti della sua poesia.intorno a sé, soprattutto nella natura che più gli è familiare. Ma Montale non guarda a questa natura con gli occhi ingenui e innocenti del "fanciullino", come nel caso di Pascoli, né compone le sue presenze in un'atmosfera "crepuscolare", assaporata sentimentalmente o ironicamente allontanata (come in Cozzano). Gli oggetti, le immagini e le voci della natura diventano per lui degli emblemi, in cui è tra-GU emblemi scritto, in forme oscure e cifrate, il destino dell'uomo, nelle sue rare gioie e speranze, ma della natura soprattutto nell'infelicità di una condizione (e di una condanna) esistenziale, che, come già si è detto, non può offrire certezze o illusioni. È un destino che, paradossalmente, l'uomo non può accettare, ma contro il quale non può nemmeno ribellarsi. In esso si riflette il senso di estraneità e aridità dell'uomo.contemporaneo che, trascorrendo dal piano storico a quello metafisico, entrambi indecifrabili, diventa perplessità esistenziale, una sorta di paralisi che, proprio per questo, non può neppure più esprimersi in forme tragiche e sublimi. Nonostante gli sforzi e le sollecitazioni dell'uomo, la natura conserva dentro di sé la sua oscura ragione di essere. Alla poesia non resta che rispecchiare questa condizione di aridità, tornando insistentemente sulle cose e sulle relazioni che le uniscono, nell'incessante quanto vana speranza di trovare un "varco" (cfr. La casa dei doganieri, Tlll) che si apra sul mistero della vita, attribuendole senso e significato. Anche per Montale, quindi, le cose diventano dei simboli, che tuttavia abbiamo preferito indicare con il nome di emblemi, per distinguere il suo procedimento da quelli del Simbolismo tradizionale. A differenza dell'analogia ungarettiana, così rarefatta e indefinita.Si è parlato, però, di "correlativo oggettivo", in quanto anche i concetti e i sentimenti più astratti trovano la loro definizione ed espressione (il loro corrispettivo, risultando così "correlati") in "oggetti" ben definiti e concreti. Un esempio molto chiaro è offerto dal T104, "Spesso il maledi vivere ho incontrato", su cui anticipiamo qui alcune considerazioni. La definizione di uno stato d'animo che esprime la tipica disposizione esistenziale dell'uomo contemporaneo, "il male di vivere", è presentata non in forma concettuale o esplicativa, ma come un incontro diretto, realmente accaduto lungo il percorso della vita, identificandosi in alcune presenze concrete ("era il rivo strozzato ... era l'incartocciarsi della foglia ... era il cavallo stramazzato"), in cui si risolve e dalle quali viene tangibilmente rappresentato.Anche quando viene meno il riferimento di base (il termine di confronto costituito qui dal «male di vivere») restano gli "oggetti", le presenze e le cose della vita, a significare le complesse e oscure vicende del destino umano, caricandosi di significati nascosti, ulteriori. La poesia delle "cose" in Montale è tutt'altro che semplice e lineare, ma risulta (e si farà sempre più) ardua, difficile, talora vertiginosamente oscura, nel tentativo di attribuire agli oggetti il compito di cogliere il senso indecifrabile dell'esistenza. Un medesimo termine contiene spesso una pluralità di significati, intrattenendo con il contesto molteplici relazioni, che lo rendono di ardua decifrazione sul piano razionale.
Il rapporto con Eliot: L'espressione "correlativo oggettivo" è stata usata da Eliot (cfr. A30), con cui la ricerca montaliana presenta convergenze significative, a livello tematico e strutturale.
Tenendo conto delle considerazioni che abbiamo svolto, il simbolismo di Montale potrebbe essere visto, meglio, come una forma nuova e tutta moderna di allegoria, nella misura in cui gli elementi allegorici rappresentano condizioni spirituali e morali. È questa la concezione dell'allegorismo medievale, che Dante aveva portato, nella Commedia, alla massima realizzazione poetica. Proprio l'amore per Dante (che non a caso Montale aveva in comune con Eliot) offre elementi importanti per meglio comprendere la genesi e i risultati di questa operazione poetica. Il rapporto (su cui avremo ancora occasione di tornare) deve ovviamente tenere conto, in senso storico, di opposte prospettive ideologico-conoscitive: l'allegoria dantesca trova una compiuta e integrale spiegazione nella mente divina; quella di Montale, al contrario, si dibatte in se stessa, senza ottenere risposte o garanzie. Alla Provvidenza di un mondo che cerca sollievo aidub-bi e alle inquietudini in una fede religiosa (non solo Dante, ma anche Manzoni), Montale sosti-Scrittori tra le due guerre 403tuisce la sua «divina Indifferenza» (cfr. ancora il T104), che, ricollegandosi piuttosto al pen-La«divina Indifferenza» siero leopardiano, resta passiva e insensibile di fronte alle gioie e ai dolori degli uomini.Il problema riguarda, in ultima analisi il rapporto fra la conoscenza e la poesia. Questa nonrappresenta, per Montale, un bisogno di confessione individuale né consiste nella ricerca diuna parola da strappare al silenzio, comportando una lettura muta e ulteriore. Essa si apre, alTono colloquiale contrario, a un tono discorsivo e colloquiale, che presuppone la presenza del lettore, quel-e presenza l'interlocutore spesso presente nel «tu» dei versi montaliani (sin dalla parola che inaugu-di un interlocutore ra la sua vicenda poetica, l'«Ascoltami» dei Limoni). Questo rapporto indica lavolontà di un'intesa e di una solidarietà che coinvolgono il lettore in un comune bisogno di espressione e di partecipazione, di fronte all'urgere delle medesime problematiche.