Anteprima
Vedrai una selezione di 3 pagine su 9
Modulo C parte1(di2) Storia Arte Contemporanea 2015 Pag. 1 Modulo C parte1(di2) Storia Arte Contemporanea 2015 Pag. 2
Anteprima di 3 pagg. su 9.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Modulo C parte1(di2) Storia Arte Contemporanea 2015 Pag. 6
1 su 9
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Nel 1943 rientrano a Parigi, dove Yves inizia gli studi superiori. Non frequenta una scuola d’arte. ma di

marina mercantile. Il suo immaginario resta legato alle estati passate nel sud della Francia. Appena ne ha la

possibilità, va dalla zia in vacanza.

Nell’estate del 1947 si avvicina alla pratica del judo. In quegli anni c’era una forte volontà di riconciliare le

culture occidentale e orientale. Ci fu un boom europeo d’interesse per le culture orientali.

Il judo è una pratica non violenta, basata sull’equilibrio. Tende a non nuocere l’avversario, ma ad usare la

sua forza violenta per immobilizzarlo. C’è chi crede che Yves si sia appassionato al judo perchè rifletteva il

suo animo spirituale non violento.

Ci furono delle suggestioni importanti per lo sviluppo delle arti visive negli anni ‘40 e ‘50. Per esempio John

Cage, musicista americano.

Performatività e comportamento fisico nelle arti visive, a discapito della realizzazione di un’opera.

Anche in Italia→ gruppo Azimut, Manzoni, ricerca del monocromo essenziale.

Al corso di judo Klein conosce due dei suoi più cari amici, Armand Fernandez e Claude Pascal. Fernandez

fu poi noto come Arman, era un artista che divenne uno dei protagonisti del gruppo dei Noveau Realist,

negli anni ‘60. Pascal invece divenne un poeta.

Nella sua autobiografia, Yves dice che gli anni da ventenne erano quelli in cui stava inconsapevolmente

seminando l’intuizione del monocromo, ma le date dette da lui a posteriori non vanno prese alla lettera da

uno studioso di storia dell’arte.

Nella realizzazione del monocromo, inizialmente Yves non preferiva un colore sugli altri, ma dichiarò che

l’idea del monocromo gli venne guardando il cielo. Mentre lo guardava, gli uccelli gli davano fastidio, perchè

tentavano di bucare la sua opera. In un’altro aneddoto, mentre giocava con i suoi amici si appropria del cielo

e dell’aria, firmando il cielo.

Una prima concezione del monocromo l’ebbe con la sinfonia monotono, che consisteva in un solo accordo.

Klein non conosceva le esibizioni di Cage, che vengono rese note in Europa solo nella seconda metà degli

anni ‘50, come i famosi 4’ 33” di silenzio.

I monocromi non sono stati ideati negli anni ‘50 e ’60, ma ai primi del ‘900, con le avanguardie storiche. E’

però interessante ed importante osservare le diverse interpretazioni date da diversi artisti in tempi diversi.

1985→ prima mostra retrospettiva museale dedicata a Klein dopo la sua morte. Furono raccolte

testimonianze di amici e conoscenti. In una testimonianza di Claude Pascal, viene citato il temporaneo

interesse per Yves e i suoi amici riguardo a un libro, “La cosmogenia dei rosa croce”, che riguardava il

simbolismo esoterico legato alla tradizione alchemica unita a quella cristiana.

Queste tendenze spiritistiche influenzarono molti artisti, tra cui Kandinskj.

Ma è da notare che in effetti il simbolismo di Klein non è fondamentalmente legato all’esoterismo. Per un

breve periodo i 3 amici si associarono ad una società californiana dei rosa croce.

Varie curiosità di tipo culturale:

­fascinazione per il Giappone e territori che non sono centri della cultura di quegli anni, che era improntata

sugli USA

­fascinazione per l’Irlanda, l’Italia e la Spagna (che era isolata in quel periodo per motivi politici)

Volontà da parte dell’artista di rompere con una tradizione culturale che vede appiattita la tradizione del

modernismo su aspetti di tipo matematico­tecnologici.

Aspetto della dolce vita→ volontà generazionale di girare liberamente l’Europa in autostop

Primo viaggio in Italia: agosto­settembre 1948

Klein fece un diario di viaggio, una sorta di racconto in forma di lettera indirizzata ai suoi genitori, in cui

segna l’itinerario del suo viaggio lungo tutta la penisola. Fu un viaggio di liberazione. Partì da Nizza in

autostop, si fermò in varie tappe principali, Genova, Rapallo, Portofino, Firenze, Roma, Napoli, Pompei,

Ischia, Capri, Sicilia, Venezia.

A venezia ci ritornerà successivamente, più di una volta.

Dal novembre del 1948 al settembre del 1949 Klein fece il servizio militare. Ebbe così un primo contatto con

il mondo tedesco. La Germania sarà la nazione che valorizzerà di più la sua arte, già prima della sua morte,

a differenza della Francia.

Tra il 1949 e il 1950 viaggia a Londra e in Irlanda.

Lavora per brevi periodi, in Inghilterra e a Parigi, in laboratori di cornici, dove apprende la tecnica artigianale

della doratura in foglia, che userà nelle sue opere.

Collage “Yves Klein & Co”, 1950 → accostamenti di due sue diverse fotografie, metafora del suo

cambiamento di carattere nel corso del tempo.

Nel 1951 soggiorna in Spagna per imparare la lingua. Quando conoscerà Fontana e i due si scriveranno, lo

faranno proprio in spagnolo. ​

Del viaggio in Spagna crea un diario, “Diario di Spagna”, 1951

, sul quale applica diverse immagini, tra cui

fotografie ed illustrazioni popolari. 27 aprile 2015

Nel 1951 Yves visita la Spagna, a fine estate con la zia Rose torna in Italia. Sappiamo che è stato a Venezia

ma non ci sono indicazioni che possa essersi fermato a Milano. Proprio in quel periodo a settembre 1951

c’era la nona triennale di Milano​

che avrebbe potuto essere per Klein un’occasione straordinaria.

Fontana e la nona Triennale Furono istallati con un complesso lavoro di contropareti

e controsoffittature dei pannelli in cartongesso in tutto

l’atrio e nello scalone che portavano verso il cuore della

mostra. Centrale era il concetto di proporzione in

architettura e nelle arti applicate. Il concetto di

proporzione e di misura aurea può essere alla base

dell’architettura come della pittura astratta. In questa

occasione espositiva a Fontana venne affidato un ruolo

centrale, ossia quello di produrre un’opera che esulasse

apparentemente dal concetto di proporzione

geometrica. Nacque un’opera libera nata da un’idea

dinamica e gestuale con un legame al futurismo

riformulata attraverso una ricerca sviluppata attraverso un tubo di luce al neon fosforescente. Ne deriva un

Concetto spaziale​

, una struttura in apparenza molto moderna, tuttavia la tecnica e l’uso della tecnologia del

neon erano già state utilizzate intorno agli anni ’30 per la pubblicità a livello di lettere negli Stati Uniti e

anche in Italia.

Alla fine degli anni ’30 Fontana si trovava in Argentina in autoesilio per non essere chiamato alle armi, vi

rimarrà, prima a Rosario e poi a Buenos Aires fino al ’47. Buenos Aires in quegli anni è già una capitale

moderna, Fontana entrò in contatto con la tecnologia del neon probabilmente lì. Tornato in Italia negli anni

’50 lavora molto con degli amici architetti sia per l’interno che per l’esterno, anche questo aspetto è legato

all’esperienza argentina, lì aveva fondato con degli amici un’accademia. In Italia l’artista non ha mai

insegnato, si guadagnava da vivere realizzando le sue opere in un contesto di arti applicate; usa spesso la

​ ​

ceramica e fa molti interventi decorativi in architettura. È per un lavoro di questo tipo che Baldessari lo ha

probabilmente contattato per la Triennale del ’51 ma il lavoro di Fontana ha preso poi in quell’occasione

un’altra piega.

Per la realizzazione di questo grande neon Baldessari e Grisotti hanno pensato uno spazio artificiale

abbassando, riducendo e inclinando il soffitto. Per di più quel soffitto non era grigio scuro o nero (come si è

per anni sostenuto per il fatto che le riproduzioni fotografiche erano in bianco e nero) ma di un blu intenso,

particolarmente acceso che se potessimo accertare che Klein lo vide, quest’opera sarebbe certamente da

classificare come uno degli spunti per la sua arte.

(­­> molto interessanti gli archivi di Baldessari. Sull’ultimo numero dell’Uomo Nero datato 2013 c’è un

articolo sulla prima mostra retrospettiva di Fontana tenutasi a Palazzo Reale nel 1972 a Milano, nel quale si

ricostruisce che in quell’occasione Baldessari avrebbe voluto fare il soffitto blu giotto.)

→ nelle slides: Depliant pubblicitario dei pavimenti di resina sintetica utilizzato anche da alcuni artisti astratti

nella realizzazione di pavimenti della Triennale. Non sono nel depliant fotografie a colori, seppur la fotografia

a colori esistesse già. Al tempo non si riteneva uno strumento adatto a documentazione storica. Fino agli

anni del pop, la Triennale documenta le sue mostre in bianco e nero. Nel depliant le foto sono colorate.

Fontana sottolinea diverse volte che la sua opera non è solo decorazione, come sostengono alcuni critici,

ma è un gesto nello spazio simile ai disegni di Picasso fatti con la lampada. È un disegnare nello spazio con

la luce a cui Fontana aggiunge significato. Inizia con dei disegni molto semplici, a partire da essi realizza

delle sculture i fil di ferro; perché il circuito elettrico funzioni la struttura deve essere un’unica stringa.

Sviluppa poi l’opera in grande producendo un disegno tecnico delle varie componenti in modo che colui il

quale curva a mano il singolo frammento, scaldandolo con la fiamma, possa seguire la curva libera ideata

da Fontana. Fontana spiega che quest’opera è un concetto spaziale come le altre; dal 1946 in Argentina

inizia a chiamare tutta la sua produzione artistica “concetto spaziale”. È il primo momento nell’arte

occidentale in cui l’elemento di concezione diviene elemento prioritario, innescando una dinamica che sfocia

a metà degli anni ’60 in quella che è chiamata “arte concettuale”.

Materiale di quest’opera è quella materia impalpabile che è la luce.

In occasione della Triennale, tra il 27 e il 29 settembre a Milano si tiene un congresso internazionale

chiamato “De divina proportione” legato agli studi del centro studi Triennale e all’esposizione. È un

convegno molto importante, Fontana espone in quell’occasione la sua teoria dell’arte spazialista​

. Questa

idea diventa in alcuni momenti un quasi­movimento, a partire dal ’47 sono prodotti una serie di manifesti. Il

primo e più importante risale al ’46 e si chiama il “manifesto blanco” ed è prodotto in Argentina da alcuni

giovani allievi di Fontana. Ci sono enunciate alcune idee del maestro come la possibilità di riprendere da

dove l’avevano lasciata i futuristi la tradizione di rinnovamento dell’arte occidentale con un riferimento

importante allo sfondato

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
9 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/03 Storia dell'arte contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nana707 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Zanchetti Giorgio.