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RIMA IPERMETRA O ECCEDENTE
La rima ipermetra o eccedente è una rima tra una parola sdrucciola e una piana, essa è una rima artificiosa. Pascoli fu colui che la adoperò maggiormente, essa si chiama eccedente perché ha una sillaba in più, quindi eccedente, che corrisponde a quella della parola sdrucciola. La sillaba in più passa al verso successivo nel quale o viene contata come sillaba oppure viene assorbita dalla sinalefe.
Un esempio può essere la poesia di Pascoli "Canti di Castelvecchio" (pag 14):
"o quella che illumina taci-ta
tombe profonde - con visi
scarniti di vecchi; tenaci
di vergini bionde sorrisi"
Le parole con cui si verifica la rima eccedente sono "tàcita" (parola sdrucciola) e "tenàci" (parola piana), "tacita" non rima con "tenaci" ma quando si applica la rima eccedente ci si sbarazza della sillaba eccedente, per cui si elimina la sillaba "-ta" di "tacita" e la rima così si può avere perché.
tacita diventa piana. La sillaba eccedente -ta si conta come sillaba del verso successivo, per cui -ta sarà vicino alla parola tombe. Durante la lettura si deve far sentire che -ta si porta al verso successivo e far rimate taci con tenaci. Un altro esempio è l’ultima strofa del “Il gelsomino notturno” sempre di Pascoli (pag 14): l’alba: si chiudono i pèta-li “È un poco gualciti; si cova, dentro l’urna molle e segrèta, non so che felicità nuova.” Qui nel primo verso si ha in posizione di rima una parola sdrucciola petali, che fa rima con il terzo verso con segreta una parola piana. Anche qui -li si porta al verso successivo nel quale viene incorporato con la dialefe nella sillaba -un; e anche qui con la lettura si deve far in modo da mettere in evidenza la rima tra peta e segreta. RIMA IMPERFETTA La rima imperfetta si ha quando non si ha una rima perfetta dalla vocale tonica in poi ma quando si ha una rima perassonanza e può essere di due tipi: vocalica o consonantica, ovvero le parole in posizione di rima non sono uguali dalla vocale tonica in poi ma possono avere uguali vocali o uguali consonanti, un esempio può essere "Il cantore di Fiorio e Biancofiore" (pag 15): "E si Fiorio gli risponde e diceo re felice, tu favelli indarnose biancofiore con meco non venisseio nonn'anderei da lei così lontano". Si nota come la parola in posizione di rima del primo verso rimi con la parola in posizione di rima del terzo verso solo per le vocali -i ed -e, per cui questa è un'assonanza vocalica, lo stesso vale per le parole indarno e lontano che rimano con l'assonanza vocalica -a -o. Possiamo anche fare un esempio con le assonanze consonantiche con una strofa di Montale che recita (pag15): "Un riso che non m'appartiene trapassa da fronte canute fino al mio petto lo scuote un trillo che punge le vene, e rido con te sulla ruota".Si ha un'assonanza consonantica in cui non si ha una perfetta coincidenza sonora ma è pur sempre una rima.
LA PAROLA RIMA
La parola rima è un'altra rima artificiosa, essa consiste nell'usare la stessa parola per una rima, essa tuttavia può essere anche equivoca nel momento in cui le parole sono apparentemente identiche ma hanno un significato diverso oppure appartengono a categorie grammaticali diverse. Un esempio importante si ha nel purgatorio nel XX canto con la parola ammenda (pag 16) che rima con se stessa per tre volte. Lo stesso vale per la parola Cristo nel Paradiso, essa appare spesso nei canti del paradiso nei quali rima con se stessa per rispetto.
Nella sestina lirica (un tipo di composizione particolare) di cui lo stesso Dante è autore, è proprio la parola rima ma la rima equivoca, ovvero un artificio che utilizza parole apparentemente uguali ma che in realtà sono diverse; nella sestina di riferimento "Al
"pocogiorno" (pag 17): "Al poco giorno e al gran cerchio d'ombrason giunto, lasso!, ed al bianchir de' colli, quando si perde lo color ne l'erba; e 'l mio disio però non cangia il verde, si è barbato ne la dura petra che parla e sente come fosse donna. Similemente questa nova donna si sta gelata come neve a l'ombra; che non la move, se non come petra, il dolce tempo che riscalda i colli e che li fa tornar di bianco in verde perché li copre di fioretti e d'erba."
Abbiamo l'uso di una rima identica, ovvero ogni volta che Dante usa le parole ombra, colli, erba, verde, petra e donna; le fa rimare con se stessa con i loro significati ma all'interno dell'utilizzo della parola rima si possano utilizzare casi diversi, un esempio tratto da Pascoli (pag 17): "Non vogliamo ricordare vino e grano, monte e piano, la capanna, il focolare, mamma, bimbi... fate piano"
Qui la parola piano è uguale in
entrambi i casi ma nel primo verso vuol dire pianura e nell'ultimo è un avverbio, questa è una parola rima equivoca, ovvero la parola è la stessa ma dobbiamo fare attenzione a riconoscere se la parola rima è messa in atto attraverso l'uso di una rima identita o attraverso l'uso di una rima equivoca.
LA RIMA SICILIANA
La rima siciliana si verifica tra due parole la cui vocale tonica è diversa e rimano tra di loro nonostante questa differenza; la rima siciliana è detta anche rima culturale, perché nasce in Sicilia con la Scuola Siciliana che muore insieme alla morte di Federico II, quando questo accade si ha un trasferimento dei testi siciliani dalla Sicilia alla Toscana ma non senza trasformazioni, infatti i veri testi siciliani sono stati copiati dai copisti toscani che hanno toscanizzato i componimenti siciliani, facendo ciò essi hanno lasciato in posizione di rima parole che in volgare aulico siciliano rimavano.
perfettamente mentre in toscano no, ad esempio se in un testo si trovano parole come uso e amoruso che rimano tra di loro queste formano una rima perfetta ma in toscano uso non ha varianti mentre amoruso si e si trasformerà in amoroso, per cui si possono trovare parole in posizione di rima parole che in realtà non hanno la medesima vocale tonica. In molti componimenti siciliani arrivati in traduzione toscana si possono comunque annoverare termini siciliani come ave che è scritto solo -a che è in rima con grave, oppure l'espressione m'aggio posto in core che è un meridionalismo palese che ancora oggi si usa, oppure anche ci volesse al posto di ci vorrebbe che è ancora una volta una forma tipica del dialetto siciliano. Si constata la presenza di rime particolari come voi che rima con lui perché originariamente era vui, o ancora paurosi che rima con chiusi ma perché originariamente era paurusi.
Oppure piacere che rima con servire perché originariamente era piacire, per cui il copista lasciava intatte determinate forme mentre ne modificava altre. Un altro aspetto è la qualità delle rime che può dipendere anche dall'uso di determinate parole piuttosto che di altre, per cui la scelta linguistica può influire molto sulla qualità delle rime, per cui si possono avere rime dolci o aspre e questo dipende dagli incontri o scontri consonantici. Si chiamano incontri consonantici quando si determinano suoni più dolci mentre si chiamano scontro quando si originano suoni più aspri; ad esempio ricordiamo che la m e n sono nasali, mentre sono occlusive p b d g, fricative sono la f e la z, vibrante la r e sibilante la s; alla luce di questa classificazione si può dire che le parole in rima dal suono dolce sono quelle che vanno a scegliere incontri consonantici considerati meno aspri come le parole che finiscono in -ente o in -ende;
mentre sono considerati suoni aspri l'incontro di due occlusive come dd, gg, pp, o l'incontro tra due fricative ff o zz, o anche la doppia ss, tutte le parole che hanno queste doppie e rimano tra di loro formano rime aspre. Dalla Commedia dantesca si ricavano alcune rime aspre come "rime aspre e chiocce", si nota la doppia cc. Anche Guittone D'arezzo dà esempio di suoni aspri con l'uso di occlusive e fricative o due occlusive. SISTEMI STROFICI IL SONETTO Il sonetto è uno dei sistemi strofici più comuni, la sua ideazione è attribuita a Jacopo da Lentini, il caposcuola della poesia siciliana. Il sonetto canonico è formato da due quartine e due terzine di endecasillabi, le due quartine rima tra di loro con le medesime rime, si può avere uno schema rimico alternato (ABABAB), oppure possiamo avere la rima incrociata per cui le quartine costituiscono un sistema rimico chiuso (ABBA ABBA); le due terzine hanno le rime varie.Il caso di Tanto gentile e tanto onesta pare (pag 18), se si osservano le prime due quartine si individua proprio lo schema ABBA ABBA, si ha nelle terzine un altro schema, nella prima CDE e nella seconda EDC.
Ci sono una serie di osservazioni da fare che attengono all'endecasillabo, la prima quartina ha endecasillabi per la maggior parte ad a maiore, solo il secondo verso è a minore. Il primo verso contiene una allitterazione, ovvero la ripetizione di uno o un a serie di suoni acusticamente simili o uguali, in questo caso il poeta gioca sulla omofonia in modo da rendere più armonioso il verso; l'allitterazione si da con il suono -nt presente nelle parole tanto e onesta. All'interno del primo verso si riscontra anche la figura dell'endiadi, che consiste nell'esprimere un concetto unitario con due termini che sono coordinati, in pratica il concetto è unico ma è sdoppiato "tanto gentile" e "tanto onesta" sono due.
espressioni affini; il secondo e il terzo verso: "la donna mia quand'ella altrui saluta, / ch'ogne lingua deventremando muta" vedo applicata la figura dell'iperbole, che consiste nell'esagerare la realtà utilizzando espressioni che amplificano la realtà stessa, infatti qui Dante afferma che chiunque veda una donna che li saluta pensa di non essere degni di guardarla o di parlare, per cui si ammutoliscono e guardano a terra perché non osano incrociare il suo sguardo, ciò serve ad amplificare l'idea della donna amata come donna angelo. Nella seconda quartina i versi: "Ella si va sentendosi laudare, / benignamente d'umiltà vestuta" indicano la presenza di una metafora, che è una figura retorica che implica un trasferimento di significato, qui il poeta immagina l'umiltà, che è una virtù, come un abito indossato dalla donna, facendo ciò rende la metafora.più