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Es. “S’ode a destra uno squillo di tromba” (Alessandro Manzoni, Il conte
di Carmagnola). 3
Novenario
Un novenario è un verso con l’ultimo accento sull’ottava sillaba (e conta quindi
di solito nove sillabe). E’ un verso piuttosto raro nella poesia italiana. Lo si trova
soprattutto nella poesia dell’ultimo Ottocento e del Novecento (in Giovanni
Pascoli e in D’Annunzio, ad esempio).
Settenario
Il settenario è un verso con l’ultimo accento sulla sesta sillaba (e conta quindi di
solito sette sillabe). Dopo l’endecasillabo è il verso più diffuso nella letteratura
italiana. Il settenario è frequente in generi leggeri e musicali (la canzonetta, ad
esempio). La canzone (la forma più prestigiosa della lirica italiana, utilizzata di
solito per argomenti importanti, e canonizzata da Dante e da Petrarca) è
composta di diverse strofe di endecasillabi e settenari.
Es. Giorgio Caproni, Uscita mattutina, è una poesia basata sull’alternanza
(dall’effetto musicale) di settenari e novenari:
“Come scendeva fina settenario
e giovane le scale Annina! novenario
Mordendosi la catenina novenario
d’oro, usciva via settenario
lasciando nel buio una scia novenario
di cipria, che non finiva. novenario
Senario
Il senario è un verso con l’ultimo accento sulla quinta sillaba (e che nella
versione piana conta sei sillabe).
Es. Pietro Metastasio, da L’Arcadia in Brenta, atto III
Dal primo momento
che presi ad amarlo
tal forza mi sento
tal fede ho nel core
che piena d’amore
non posso lasciarlo
ma posso morir. 4
Quinario
Il quinario è un verso con l’ultimo accento sulla quarta sillaba (e conta quindi di
solito cinque sillabe). È un verso piuttosto raro, utilizzato a volte anche in
forma doppia (quinario doppio).
I nomi inclusi in questa classificazione in versi non definiscono la struttura
ritmica dei metri, né mette in rilievo i legami fra certe forme metriche.
3. Le categorie dei metri italiani
I versi italiani possono essere distinti anche secondo le unità ritmiche di cui si
compongono. Per analogia con i piedi latini si può parlare di ritmi giambici
(giambo), trocaici (trocheo), dattilici (dattilo) e anapestici (anapesto).
Il giambo è un piede formato da un’arsi di una sillaba breve e di una tesi di una
∪
sillaba lunga, secondo lo schema —; in termini ritmici significa una sillaba
atona e una sillaba tonica.
Il trocheo è formato da un elementum longum e da un elementum anceps
∪
nella sua forma pura secondo lo schema — ; in termini ritmici significa una
sillaba tonica seguita da una sillaba atona.
Il dattilo è formato da un’arsi di una sillaba lunga e da una tesi di due sillabi
∪ ∪;
brevi, secondo lo schema — in termini ritmici significa una sillaba tonica
seguita da due sillabe atone.
L’anapesto è formato da due sillabi brevi che formano l’arsi e da una sillaba
∪ ∪
lunga che rappresenta la tesi, secondo lo schema —; in termini ritmici
significa due sillabe atone seguita da una sillaba tonica.
I metri composti di giambi e di trochei sono poliritmici, i metri dattilo-
anapestici sono monoritmici.
I metri giambici sono il quinario, il settenario, il novenario, l’endecasillabo, il
quindicisillabo.
I metri trocaici sono il quaternario, il senario trocaico, l’ottonario.
I metri dattilici e anapestici sono il trinario, il senario, il novenario, il
decasillabo. 5
4. La rima
4.1. Definizione e funzione
In generale la rima si ottiene facendo terminare due o più versi con un gruppo
di suoni uguali.
La rima presenta due funzioni principali:
a) una funzione fonetico - espressiva
b) una funzione strutturale
4.2. Il verso sciolto e la rima sciolta
Esistono anche poesie composte parzialmente o interamente di versi privi di
parole rima. In quel caso si parla di un verso sciolto. Nella tradizione poetica è
di solito un endecasillabo (un esempio è il poema Il giorno di Parini, scritto nella
seconda metà del Settecento). Nel Novecento, il verso diventa molto comune.
Di solito, l’uso della rima può essere regolato da schemi di ricorrenza e
alternanza delle parole che rimano (si vedano gli schemi presentati qui sotto
della rima baciata (AABBCC), rima alternata (ABAB) e rima incrociata (ABBA). Se
la successione delle parole rima è priva di regolarità, si parla di rima sciolta.
4.3. Rime perfette vs rime non perfette
Le rime non perfette sono rime in cui vengono ripetute soltanto alcuni elementi
della catena sonora.
Nel caso dell’assonanza, si ripetono soltanto le vocali della clausola, tra
consonanti diverse.
Es. «Fa’ la ninna, fa’ la nanna
Piccino della mamma»
(Canzone di Firenze)
Nel caso della consonanza, si ripetono in due (o più versi) soltanto le
consonanti delle parole rima, mentre le vocali sono diverse.
Es. «Fior di ginestra,
tutta s’infiora la campagna nostra,
quando s’affaccia Nina alla finestra».
(Foligno)
4.4. La rima dal punto di vista lessicale: rima univoca, rima equivoca
Una rima univoca consiste nella ripetizione della stessa parola
Es. «Quella macchia! S’adopera a lavarla
Il mare infinito; ma invano. 6
E la stella che vede, ne parla
Al cielo infinito; ah! Invano»
(Pascoli, L’anello)
La rima equivoca consiste nella ripetizione della stessa parola ma con
significato diverso; di solito le rime equivoche vengono utilizzate in giochi di
parole o in artifici retorici.
Es. «Lo viso e non diviso da lo viso,
e per aviso credo ben visare;
però diviso viso da lo viso,
ch’altr’è lo viso che lo divisare».
(Jacopo da Lentini, esempio di un “bisticcio”, o gioco retorico)
4.5. La posizione della rima
La rima baciata (AABBCC…) è usata soprattutto nella poesia popolare o in
poesia narrativa.
Es. «Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia»;
(Giovanni Pascoli, La cavallina storna)
La rima alternata (ABAB) prevede un incrocio di due coppie di rime. È una rima
comune in molti generi.
Es. « Da sé il più vecchio le spese faceva,
per risparmio, e più forse per diletto.
Con due fiorini un cappone metteva
nel suo grande turchino fazzoletto».
(Umberto Saba, Sonetto autobiografico 2)
La rima incrociata (ABBA) si trova spesso nelle quartine del sonetto.
Es. « Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato».
(Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto) 7
La rima rinterzata (ABA CBC) è caratteristica delle terzine del sonetto.
Es. « Il Tempo chiama dalla torre
lontana… Che strepito! | È un tren,
là, se non è il fiume che corre.
O notte! Né prima io l’udiva,
lo strepito rapido, il pieno
fragore di treno che arriva».
(Giovanni Pascoli)
La rima incatenata (ABA BCB CDC DED ecc.) è caratteristica delle terzine
dantesche.
Es. «Per me si va nella città dolente,
per me si va nell'eterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e'l primo amore».
(Dante, Inferno, III, 1-6)
5. La strofa
Nella maggior parte delle poesie i versi si susseguono secondo schemi più o
meno regolari, che spesso si ripetono più volte nelle stesso componimento. I
diversi tipi di strofe si distinguono secondo il numero di versi.
Il distico
Il distico è una strofa di due versi, di solito due versi della stessa lunghezza, e
legata dalla rima (di solito una rima baciata, del tipo AABBCCDD…. Il distico è il
verso tipico dell’epigramma (componimento poetico mirante a fermare in
breve il ricordo di una vita o di un’impresa), e in generale di poesie più lunghe,
di taglio narrativo.
Es. La cavallina storna di Giovanni Pascoli è una poesia composta di distici
con rima baciata (AABBCCDD)
La strofa di tre versi
Esistono diverse forme metriche composte di tre versi. La più famosa è
indubbiamente la terzina o terza rima 8
La terzina è una strofa di tre endecasillabi. Una forma particolare, diventata
famosa e fortunata nella letteratura italiana, è la cosiddetta terzina dantesca,
utilizzata da Dante per la Commedia. Nella terzina il primo endecasillabo fa
rima con il terzo, mentre il secondo fa rima con il primo e il terzo verso della
terzina successiva. (ABA BCB CDC...).
Es. Dante, Inferno, canto V:
Così discesi del cerchio primaio A
giù nel secondo, che men loco cinghia, B
e tanto più dolor, che punge a guaio. A
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: B
essamina le colpe ne l'intrata; C
giudica e manda secondo ch'avvinghia. B
Dico che quando l'anima mal nata C
li vien dinanzi, tutta si confessa; D
e quel conoscitor de le peccata C
La terzina viene utilizzata anche nel Novecento per poesie di lunghezza media e
di carattere narrativo, descrittivo o riflessivo. Oltre a Pascoli, anche poeti come
Pasolini e Sanguineti hanno utilizzato la terzina.
Esistono anche terzine in altri generi poetici. Il sonetto è composto di due
quartine e di due terzine.
Un altro genere composto di strofe di tre rime è lo stornello, composto di un
quinario e due endecasillabi. Si tratta di un genere antico, diffuso in particolare
nell’Italia centrale.
Quartina
Una strofa di quattro versi a rima baciata, alternata o incrociata. La quartina
compare già nelle poesie delle antiche civiltà come l’antica Grecia e l’antica
Roma.
I primi otto versi del sonetto sono composti di due quartine. In particolare
nell’Otto-Novecento si trovano anche poesie composte di quartine (es. Alla
stazione una mattina d’autunno di Giosuè Carducci, o Non chiederci la parola di
Eugenio Montale).
La quinta rima
Una strofa di cinque versi. 9
La strofa di sei versi (sestina)
Sei versi, a volte secondo lo schema ABABAB, ma lo schema più frequente è
però ABABCC. Altre varietà risultano dallo spezzamento del quindicisillabo.
Sotto il nome di sestina si può distinguere tra:
Sestina narrativa: una stanza composta da sei versi endecasillabi.
Sestina