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I lessemi siciliani di origine galloromanza (francese antico, normanna,
piccarda, bernese, francoprovenzale, provenzale ecc.) furono acquisiti
dalla cultura alimentare isolana durante il periodo normanno-svevo e
angioino, cioè fra XI e XIII sec.
Per cultura alimentare, Montanari intente la conoscenza del territorio,
delle piante e degli animali che lo abitano, delle tecniche produttive,
sistemi di conservazione del cibo, cucina. Se questo è cultura alimentare, è
facile immaginare quanto complessa e stratificata fosse, all'arrivo dei
Normanni, quella della Sicilia.
I Normanni apportarono cambiamenti nei rapporti di proprietà e di
produzione, primo fra tutti instaurarono il sistema feudale che modificò il
rapporto tra gli uomini e la terra e tra gli uomini e le tecniche di
produzione. In qualche modo modificò alcuni aspetti dell'alimentazione e
comportò anche un mutamento lessicale con l'introduzione di nuovi
lessemi.
Il conte Ruggero divise le conquiste e le distribuì in feudi ai suoi
compagni, impostando il regno su una struttura fortemente verticistica. I
nuclei di popolazione che dalla Fancia si trasferirono nell'isola portarono
con sé la loro lingua e la loro cultura.
Con gli Arabi, l'economia della Sicilia era abbastanza florida. Si erano
favorite le culture intensive e la piccola proprietà (non feudale). Il
paesaggio siciliano era caratterizzato da campi, orti, pascoli, boschi e
paludi, piccoli insediamenti rurali dove risiedevano i villani, i contadini
che coltivavano i latifondi. La cultura greco-romana non teneva in gran
conto la natura incolta privilegiando le pratiche di coltivazione, gli stessi
Arabi rinvigorirono le tecnische produttive agricole e ortofrutticole. Lo
sfruttamento degli incolti per l'allevamento restava un'attività integrativa,
non di primaria importanza. Nella cultura nordica, caccia, pesca, raccolta
dei frutti selvatici e allevamento brado nei boschi erano invece attività
centrali. E così il controllo regio si estese anche agli spazi incolti; alcuni
documenti attestano l'uso del vocabolo di matrice galloromanza dal fr.a.
foreste con cui in origine ci si riferiva alla “riserva regia”. I nuovi signori
si arrogarono il diritto di disboscare per aprire ulteriori spazi coltivabili.
Il sistema feudale era finalizzato allo sfruttamento estensivo della terra e al
controllo fisico degli uomini.
Al grande complesso fondiario costituito dalla massa dei secoli VI, VII,
VIII, continuata nei casali arabi, si contrappose la masseria. Queste non
ospitavano più il proprietario e la famiglia e non mantenevano una
manodopera stabile, non erano autosufficienti né comprendevano
l'allevamento del bestiame, servivano solo come centro di organizzazione
del lavoro agrario nelle terre feudali. Erano il simbolo tangibile dello
spopolamento delle campagne siciliane e della distinzione sempre più
offuscata fra proprietà e uso. Ai contadini, che avevano perduto ogni
situazione di diritto, non restava che accettare di godere delle risorse. È
questo il periodo in cui dovette diffondersi il fr.a. provende convertitosi nel
sic. pruvenna cioè “provvista di cibo” ma anche “foraggio, biada”.
I prodotti dell'incolto
I Normanni fecero della carne un simbolo di potere che si contrappose al
grano, simbolo della cultura greca e romana.
Il coinvolgimento degli spazi incolti nel processo di redistribuzione delle
terre significò un aumento dell'area destinata al pascolo e, dunque, un
incremento dell'allevamento. L'allevamento era praticato all'aperto su ampi
spazi, da pastori che custodivano gli animali ricevendo dal proprietario
vitto e talvolta una parte del prodotto. Ai pastori, restava, se non la
proprietà, almeno l'uso dell'incolto. Tale uso poteva essere praticato,
appunto, o dietro pagamento di canoni negli spazi demaniali non adibiti a
foresta oppure nelle sempre meno numerose terre comuni. A questo
periodo si devono i termini carnàggiu e furmàggiu, originariamente riferiti
a canoni in natura dovuti al signore del feudo o all'abate di un Monastero;
tali prestiti (dal fr.a. charnage e dal fr.a. formage) sono rimasti nella
cultura alimentare ad indicare, il primo, anche la “carne commestibile”, il
secondo, ormai solo il formaggio. Altro tributo era la frisinga, cioè una
scrofa giovane che non ha mai figliato, così chiamata con nome germanico
mediato dal fr.a. frisinge.
All'allevamento del maiale sono collegati i prestiti galloromanzi bbacuni
(dal fr.a. bacon) e nugghja (dal fr.a. andouille) che indicano
rispettivamente il prosciutto e un insaccato. All'insaccatura si riferisce
l'impiego del prestito vudeddu “budello” (dal prov. budel) sostituitosi fino
a soppiantarli ai continuatori del lat. “intestina”. Quella dei macellai
doveva costituire una casta molto importante, il siciliano ha ereditato il
normannismo vucceri e vuccirìa da boucher e boucherie.
Al patrimoniale aineddu (<agnellus), polarizzatosi ormai con il senso di
“forcella” si è sostituito il prestito agneddu “agnello” (fr.a. agnel).
Tra i continuatori di “capra” si trova un insolito ciavareddu “capretto” di
chiara mediazione galloromanza (fr.a. cheverel) vera e propria variante
rispetto al latino “haedus”.
Tracce galloromanze permangono anche tra i nomi della giovenca,
chiamata in siciliano non solo col patrimoniale ienca, ma anche con jinizza
forse mediato dal fr.a. genice.
Bovina è la mèusa (prestito dal prov. melsa) della tradizione gastronomica
palermitana.
L'allevamento degli ovini e dei caprini era finalizzato più alla produzione
del latte (oltre che di lana e pellame) che a quella della carne. È grazie a
questo che si produceva il furmàggiu (dal fr.a. formage) che valeva anche
come canone dovuto al signore, la tuma (dal prov. tumo) e il vurru “burro”
(dal fr.a. burre).
Per quanto riguarda il sistema faunistico si ricorda il camùsciu “camoscio”
(dal fr.merid. camois) e il ddàinu “daino”” (dal fr.a. dain). La caccia
rimase per lo più connessa al potere come diletto e svago. Caprioli, cervi e
daini erano sì apprezzati per la loro carne ma più ancora per la loro pelle
usata per oggetti di pelletteria.
Nel periodo normanno la pesca è una risorsa fondamentale; l'allevamento
di pesci fu potenziato notevolmente. La ricerca però non ha evidenziato
altri prestiti all'infuori del normannismo minusa “minutaglia di pesciolini
molto giovani, buoni a friggersi” (dal fr.a. menuise). Non pare invece si
possa sostenere l'ipotesi secondo la quale in Sicilia sarebbe di origine
normanna lo stoccafissu. L'introduzione dello stoccafisso in Italia è
attribuita ai mercanti veneziani.
Relativi al mondo dell'apicoltura sono i lessemi vasceddu “arnia” (dal fr.a.
vascel), bbrisca “favo” (forse dal prov. Bresca) e assami “sciami”.
L'orto (e il giardino)
Orti e culture intensive caratterizzavano il paesaggio siciliano dell'epoca
normanno-sveva. L'ubicazione dell'orto in prossimità degli insediamenti
abitativi permetteva la presenza continua dell'uomo e degli animali
domestici. L'incidenza galloromanza tra le parole siciliane legate
all'orticultura fu quasi inesistente. Riguardò la parola stesso iardinu dal
fr.a. jardin. Nel sic. attuale iardinu si è affermato con l'esclusivo
significato di “agrumeto”, ma dal VS apprendiamo che un iardinu è anche
un “orto” e un “frutteto”. Inizialmente iardinu si pose come sinonimo dei
suoi concorrenti latini ortus e viridarium infine arrivò a significare “orto
delizioso, pieno d'alberi fruttiferi”.
La vigna