vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
STRATO MEDIEVALEBESSON
bizzuna,vizzuna, buzzuna, vuzzuna, uzzuna, mazzuna. Gran parte della provincia di Messina, versante nord-occidentale dell'Etna e parte settentrionale della provincia di Enna. Non sappiamo con certezza se sono di Provenienza gallo-romanza o gallo-italica. L'origine prima è *BISSUM "doppio".
Macellaio: Origine spagnola (catalana) = carnizzeri (it. Reg. carnezziere, carnezzeria) In Sicilia ci sono due distinte denominazioni: vucceri, che si trova in tutte le province, e chiancheri, nelle aree circostanti a Palermo, Messina e Catania. La fase più antica è data da vucceri (normannismo, cfr. A. Fr. Bouchier), a Palermo esiste il toponimo Vucciria, anch'esso di uso antico; mentre chiancheri è un'innovazione, probabilmente napoletana (cfr. Nap. Chianchiera); è normale che, questa denominazione, si sia diffusa nei centri più esposti al commercio, mentre le zone più interne hanno mantenuto la
denominazione più antica. Anche: Dall'a. Fr. Medesme, si articola in una serie di varianti= midemma, videmma, viremma, miremmi, mmirè, vidè, virè, ecc.), presenti in tutta la parte settentrionale di Palermo e di Messina, che hanno l'innovazione puru e nei territori vicino Catania macari.
Svegliare/svegliarsi: La forma più antica è addivigliari (cfr. A. Fr. Desveillier, prov. Desvelhar), usato nelle province di Palermo, Agrigento e Messina; più frequenti sono le forma connesse con l'it. Risvegliare= arriisbigghiari, arruspigghiari. Un altro antico francesismo è rrivigghiari, usato nei centri interni di Palermo, Messina, Catania e Ragusa.
Goccia: In Sicilia si dirà ùccia, gùccia o semmai userà forme più espressive come sbrizza, stizza, larma; il loro consonantismo è estraneo agli sviluppi fonetici locali, quindi devono essere arrivati in Sicilia da altre regioni, infatti, ùccia
è goccia in italiano, e stizza si rosa anche in Liguria e in Piemonte. Però non si dirà mai gutta, che è la forma originaria latina; c’è una testimonianza dell’anticapresenza di gutta: nel nisseno la voce gutta persiste tuttora, anche se usata in altre espressioni dialettali tipo na gutta i venu “un sorso di vino”; oppure gutta a, sguttari “sturare”; nguttumari, nguttàri, nguttumatu, nguttùtu, che si riferiscono allo stato d’animo in cui predomina l’angoscia e gutta ha il significato accessorio di “umore”. Spesso, però, ci sono forme che hanno origine comune, si presentano molto diverse tra una località e l’altra, dato che posseggono fonetiche diverse; può anche accadere che, invece, questa polimorfia lessicale sia dovuta alla creatività popolare, che agendo in autonomia per diversi secoli, hanno determinato nuove varianti. Prendiamo denominazioni come
“coniglio appena nato”, che risalgono ad una radice persiana per tramite arabo (armoŝ): non è facile riconoscere come appartenenti alla stessa famiglia lessicale le varianti carmùçiu e çiaramùçiu, camùsciu e rramùçiu, caramùçiu e gramùçiu, saramucciu e scarmùçiu, cammùçiulu e scarmùçgiu.
Lumaca/chiocciola= bbabbaluci, vavaluci.
“Seppellire”= vurvicari, bruricari, vruricari, dduvicari, vurricari, a ruvicari, cruvicari, rruvicari, sduvvicari, bburricari, duvricari, ggiuvicari, rivucari, urricari, urvicari.
4. Per ora abbiamo parlato dei problemi di stratigrafia lessicale. Si deve sottolineare che un’analisi attenta della storia linguistica dell’isola, si può fare tenendo conto non solo, della sua storia, della demografia, della politica, ma dovrà tener conto della sua tradizione culturale. “Prendiamo, ad esempio,”
Le parole designati il “seccchio” (catu, ca u, bbugghiolu, sìcchiu,ṭṛbbardu, cisca, aturi) non dipendono solo da questioni etimologico-stratigrafiche, mapresuppone la storia dell’oggetto e della sua funzione. Un’analoga connessione con lastruttura dell’oggetto si trova per il o binomio cannavazzu/pagghiazzu, cioè “il cencio perpulire i pavimenti”.
Ad oggi il dialetto continua a rinnovarsi ancora più velocemente, a causa dei nuovi sistemidi comunicazione. Parole usate fino a qualche secessione fa ora sono in disuso e sconosciuteai giovani d’oggi, a causa della morte degli oggetti ai quali erano assegnati certi termini operché erano appartenenti ad un registro troppo rustico.
Una recente ricerca condotta in una scuola media palermitana, su 87 studenti, hadeterminato che 46 non sanno il significato di strùmmula 81 non conoscono la parolacroccu; 4 ragazzi sanno il significato di pumu= mela, 6 ragazzi
Sanno il significato di lanciarisi = vomitare, 13 che ragnatela si dice filinia e che bambola si dice pupa. AREE DIALETTALI. LA CLASSIFICAZIONE DELLE PARLATE SICILIANE
Abbiamo capito che la consuetudine di definire dialetto siciliano è pura astrazione. Da un punto di vista geografico potremo dire che ogni dialettofono di Sicilia (esclusi i galloitalici e gli albanesi) si esprime in Sicilia, parla un dialetto di area siciliana e possiede l'autocoscienza comunitaria di quelli nativi e residenti nell'isola.
Affrontiamo quindi il problema della classificazione delle parlate siciliane, per stabilire se esistano, tra i vari sub-dialetti parlati in Sicilia, differenze strutturali significative e nette, per poter tracciare dei limiti dialettali precisi.
La prima volta che fu scritta una carta delle varietà dialettali della Sicilia fu nel 1875, da Corrado Avolio, nel suo Studio comparativo del sottodialetto di Noto.
con la lingua italiana. Egli compilò una tavola comparativa sulla base di alcune caratteristiche fonetiche nel palermitano, nel noticiano, nell'ennese, nel brontese, nel piazzese e nel siracusano; poi in una seconda tavola venivano messe a confronto otto parole, in base alla diversità di pronuncia, nei dialetti di Palermo, Modica, Noto, Avola, Palazzolo Acreide e Buccheri. Piccitto, nel "Bollettino storico catanese", descrisse questo come un primo tentativo rudimentale di quelli che, poi, diventeranno i nostri atlanti linguistici, era una prima intuizione di quella che sarà la geografia linguistica. Heinrich Schneegans fu uno studioso tedesco, che elaborò nel 1888, per la prima volta, una vera e propria classificazione delle parlate dialettali della Sicilia; era uno schema preciso, corredato da una cartina esplicativa posta alla fine del suo volume "Laute und Lautentwicklung des sicilianischen Dialectes"; questo volume rappresenta la primaTrattazione su basi scientifiche del dialetto siciliano. Schneegans distinse le parlate siciliane in 3 gruppi:
- Dialetti delle coste, suddivisi in una sezione occidentale e in una orientale;
- Dialetti dell'interno;
- Dialetti sud-orientali, suddivisi nelle due varietà di Modica e di Noto.
Lo scrittore tedesco, conosceva direttamente solo il messinese, per il resto si era affidato ai testi folkloristici di Pitrè, di Guastalla, di Avolio e di Vigo; pur non essendo del tutto attendibile, rimase di grande importanza e fu ripresa da altri studiosi che vi apportarono delle modifiche marginali.
Giorgio Piccitto, ragusano, fu uno dei maggiori conoscitori della realtà linguistica dell'isola, che diede una impostazione nuova della classificazione delle parlate siciliane, nel 1951; al contrario di Schneegans che si era basato su pochi sviluppi consonantici, fondò la sua partizione sul criterio del vocalismo tonico e soprattutto sugli esiti di Ĕ e di Ŏ.
Piccitto ritiene che il siciliano possa essere distinto in due sezioni:
- La prima è caratterizzata da un vocalismo metafonetico
- La seconda è caratterizzata da un vocalismo non metafonetico; che viene suddivisa in parlate prive di dittonghi e parlate con dittonghi incondizionati.
Osserva che, a delle parlate con dittongo metafonetico, nel nostro caso per la chiusura di E ed O lunghe del latino in ì, ù, limitato solo ad E, O brevi toniche del latino; -u breve ed -i lungo originari, si oppongono parlate che non riconoscono nessun tipo di dittongo o al massimo hanno un dittongo incondizionato, con un'estensione limitata e di origine recente.
I dialetti che hanno un dittongo metafonico, hanno ad esempio: buonu< BONU, buoni< BONI ma il femminile è bona; plurale pieri< *PEDI(S), mentre il singolare è peri< PEDE(M).
I dialetti che appartengono alla seconda sezione hanno bonu, bona, boni; peri (sing. E plur.); col dittongo.
incondizionato sono buonu, buona, buoni; pieri (sing. E plur.).
Altri es. metafonetici: bie u, bie i, ma be a; lientu, lienti, ma lenta; nuovu, nuovi, ma nova;
luo gu, luo ghi, ma lo ga.
Avviene che la isòfonia metafonetica delimita 2 grandi raggruppamenti dialettali: parlate centro-orientali in cui il fenomeno è presente; parlate occidentali in cui il fenomeno è assente.
Partendo da questa partizione e prendendo in considerazione alcune particolarità del consonantismo, Piccitto, fa una classificazione più precisa. Va ricordata la delimitazione introdotta da Pellegrini nel 1977, all'interno di una classificazione generale dei dialetti italiani. Questa partizione viene sviluppata sulla base di 3 isoglosse:
- Isoglossa metafonetica
- Il limite della grecità siciliana nord-occidentale
- Isoglossa della palatilizzazioni sud-orientali (ciavi invece di chiavi)
Le aree delimitate sono:
- Occidentale
- Metafonetica centrale
- ...
Metafonetica sud-orientale
Orientale non metafonetica
Messinese
Isole Eolie
Pantesco
Colonie galloitaliche
Secondo Piccitto, il palermitano, si caratterizza per la presenza del dittongo spontaneo/incondizionato, condivide col trapanese la palatalizzazione di r pre consonantica (càinni invece di carnì).
L'agrigentino centro-occidentale possiede, come il trapanese, un vocalismo non dittongante, mentre il consonantismo si contraddistingue per gli esiti gli da GL, LJ (figliu<FILU), (hjumi<FLUME).
Nella sezione centrale, caratterizza le parlate nissene ed ennesi, per gli stessi tratti consonantici presenti nell'agrigentino centro-occidentale, ai quali si aggiunge il mantenimento del nesso -RL- (ferla<FER(U)LA) e di D sia iniziale che intervocalico, oltre a delle evoluzioni secondarie del vocalismo metafonetico.
Tipici del nisseno sono alcuni sviluppi particolari, come la "propagginazione" di u davanti ad a (lupuani "il pane"); la
riduzione del nesso -LD- ad -LL- (callu “