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1.4. IL RUOLO DEL GRECO E DEL LATINO NELLA
MODELLIZZAZIONE DELL'EUROPA
Il greco e il latino sono le lingue che hanno fatto da modello alle strutture della
lingue europee.
L'espansione romana nel bacino del Mediterraneo va dalla fine del III secolo a.C
all'inizio del II secolo d.C. L'espansione del latino nei territori sottomessi a
Roma fu altrettanto rapida: il latino in modi e tempi diversi divenne il modello
linguistico più diffuso, pur non essendo imposto dall'alto. Il processo di
romanizzazione e latinizzazione dipese quindi dal desiderio di integrazione
delle genti sottoposte alla dominazione entro le forme di vita proprie della
cultura dominante e la dimensione linguistica rappresentò un forte strumento
accelerante tale integrazione.
Per l'Oriente questo processo risultò più debole, perché chi abitava in territori
grecofoni continuava a parlare la propria lingua, così come in Persia, Siria ed
Egitto – regioni con cultura e tradizioni antichissime e ben radicate, già
grecizzate da Alessandro Magno – le popolazioni resistettero alla diffusione del
latino.
I romani, non volendo perdere produzione culturale veicolata dalla lingua
greca, fecero della cultura greca un punto di riferimento per la cultura latina.
Ecco perché per il romano sapere il greco era fondamentale già in epoca
repubblicana. Alle soglie dell'era imperiale, il divario fra le due culture risultava
essere praticamente annullato o comunque attenuato.
In periodo imperiale, il greco e il latino raggiunsero un buon livello di
convergenza linguistica e culturale: utilizzando materiali diversi a livello
fonologico, morfosintattico e lessicale (anche se i prestiti ormai erano
numerosi), le due lingue esprimevano modelli culturali comuni e diffondevano
parallelamente nelle due lingue il messaggio cristiano. A questo proposito,
Kramer ha parlato dell'esistenza di una koinè greco-romana di età imperiale.
La koiné greco-romana aveva come simbolico punto di riferimento la via
Egnazia, una via consolare che da tramite fra Roma e Costantinopoli.
Tale linea fu infranta fra il VI e il VII secolo sotto la pressione di genti
indoeuropee slavo meridionali e non indoeuropee (turco-tatari), presto fusesi
con le componenti slavo-meridionali così da formare una nuova unità
linguistico-culturale.
La presenza degli sclavini nella penisola balcanica rappresentò il primo
elemento di crisi e di progressiva separazione tra la componente
greco-bizantina e latino-romana/romano-germanica, con riflessi importanti
anche sul piano della definizione del quadro linguistico europeo.
Un episodio cruciale è rappresentato dalla politica religiosa e linguistica di
Bisanzio nei confronti degli slavi. Nella seconda metà del IX secolo, l'imperatore
bizantino Michele VIII affidò ai due fratelli tessalonicesi Cirillo e Metodio
l'evangelizzazione del mondo slavo. I due apostoli del mondo slavo, di lingua
slavo-macedone ed esponenti della cultura greco-slava di Tessalonica
(diventata ormai centro biculturale/bilingue greco-slavo), inventarono un
alfabeto sul modello greco, chiamato “alfabeto glagolitico”, base dell'alfabeto
cirillico e crearono anche una lingua (il paleo-slavo) che potesse valere come
elemento identitario per l'ambiente slavo, fondata sul dialetto slavo-macedone
parlato dalla popolazione slavo-meridionale di Tessalonica e modellata, in
sintassi e lessico, sul greco-bizantino ecclesiastico. Questa lingua inizialmente
venne usata solo come mezzo di conversione, successivamente vanne usata
anche nell'ambiente amministrativo e divenne, per tutte le genti slave, da forte
elemento identitario.
La scelta cirillo-metodiana condizionò le componenti slave orientate verso
Bisanzio (russi, ucraini, bielorussi, bulgari, macedoni e serbi), mentre le
componenti slavo-occidentali furono invece attratte dall'orbita
romano-germanica e subirono, attraverso l'influenza del cristianesimo,
l'influsso del latino come lingua di cultura.
Nell'alto medioevo (secoli IX-X) il mondo romano si scontrava con il mondo
greco-bizantino per ragioni religiose. Il grande scisma del 1054 che separò ed
oppose le due Chiese (la romana cattolica e la greca ortodossa), confermò
queste divergenze e accentuò la separazione anche fra i due modelli imperiali.
In conseguenza alla scisma, l'Europa si trovò ad avere tre lingue veicolari:
latino, greco e paleo-slavo.
Nei primi secoli dell'alto medioevo (secoli VI-VII) il greco e il latino avevano una
posizione paritaria, ma con la diminuzione della coesione all'interno dell'impero
con la crescente opposizione fra Roma e Costantinopoli, il ruolo del greco in
Occidente iniziò a diminuire: nel VII secolo scomparve come lingua liturgica (ne
resta solo una traccia nell'invocazione kyrie eleison < Signore, abbi pietà) e fu
sostituito completamente dal latino, che funzionò anche come lingua
amministrativa e di insegnamento.
Va ricordato che dal V all'XI secolo (ovvero dall'inizio della crisi dell'impero
romano d'Occidente fino alle prime produzioni in volgare) la Chiesa romana era
una punto di riferimento istituzionale su tutto il mondo civile per tutta l'Europa
occidentale. Inoltre a partire da Carlo Magno le memorie dell'antico splendore
dell'impero romano d'Occidente furono l'elemento ideologico attorno al quale si
svilupparono i primi tentativi di costruire una struttura politica europea, basata
sul diritto romano.
In Occidente la lingua delle Chiesa non era usata solo nella liturgia ma anche
nella gestione delle cose laiche: di conseguenza le persone colte dell'Europa
occidentale (i clerici) potevano, attraverso il latino, interagire con i loro pari, da
qualunque parte venissero.
Tra i secoli XII e XIV il latino visse un periodo di grande fioritura: esso divenne la
lingua degli studi nelle sedi universitarie (studia) in tutta l'Europa occidentale e
la lingua del diritto.
In questo periodo c'era la scolastica (cristiana, ebraica e islamica) che aveva
come obiettivi la razionalizzazione della fede e la fondazione di propri assunti
sul pensiero aristotelico con lo scopo di sistematizzare il pensiero scientifico e
filosofico del tempo in un'ottica cristiana.
Il latino dei clerici non era la lingua madre di nessuno di loro. Questo latino
aveva rigide regole scritte, che venivano studiate nella grammatica< arte della
lingua scritta. La forza di questo latino era proprio nel fatto che venisse
tramandato sempre uguale e immutabile da una generazione di clerici all'altra,
per trasmettere un messaggio immutabile: la parola divina. Questa lingua era
quindi innaturale e una seconda lingua per i clerici, che normalmente
parlavano volgare.
Nelle parte non romanza dell'Europa il latino esprimeva una cultura estranea.
Ciò portò a due conseguenze:
i tentativi di usare la propria lingua come lingua letteraria furono più
– precoci rispetto alle aree romanizzate (ad esempio, la traduzione della
Bibbia in gotico da parte di Wulfila; la produzione dei bardi in antico
irlandese)
in quelle regioni i clerici usavano un latino più conservatore rispetto a
– quello usato dai clerici di area romanza e per questo, le produzioni dei
clerici di area non romanza vennero presi come modello linguistico. La
grammatica dei clerici di lingua non romanza era considerata “pura”
Situazione socio-linguistica del latino medievale può essere riassunta alla luce
di 3 fattori:
democratizzazione dell'insegnamento della lingua scritta a nuovi clerici e
– moltiplicazione del numero di litterati grazie alla creazione di scuole di
grammatica e di studia universitari non destinati al clero;
laicizzazione della cultura e progressivo contrasto tra uso del latino e uso
– del volgare
semi-artificializzazione del latino ed elaborazione di un sistema linguistico
– semplificato, adatto ai clerici
il pubblico poi di rivolse anche a opere scritte in volgare, ma con esiti alterni:
molti scrittori (gli umanisti) rifiutavano l'uso del volgare come lingua scritta,
come Erasmo da Rotterdam e Lorenzo Valla, mentre altri, come Dante, Petrarca
e Boccaccio, avevano già scritto in volgare.
In pieno Umanesimo e Rinascimento, il latino era ancora la lingua principale del
dibattito scientifico internazionale: Copernico, Keplero, Newton, Spinoza e
Leibniz scrissero in latino, mentre Cartesio scrisse in francese il “Discorso sul
metodo”, ma in latino le “Meditazioni sulla metafisica”.
Il ruolo del latino (ma anche del greco) rimase di primaria importanza nella
formazione culturale alta di tutti i paesi dell'Europa occidentale per tutto il XIX
secolo.
Il XX secolo ha visto un ridimensionamento del peso del latino: solo la Chiesa
continua ad usarlo solo nelle encicliche, dato che dal Concilio Vaticano II ha
decretato la sostituzione del latino con i volgari nella Messa.
Fino a pochi decenni fa si pensava che il latino potesse ancora trovare spazio
come lingua internazionale, ma ciò è difficile, ma non è certamente da
dimenticare che nell'ambito lessicale, praticamente tutti i settori di riflessione
teorica devono al latino gran parte del loro lessico.
Il greco-bizantino medievale non è mai riuscito a imporsi come lingua comune
per esprimere i bisogni comunicativi alti entro gli ambienti slavi orientale e
meridionale con cui era in contatto: si formò quindi una cultura greco-slava, ma
non un'unità linguistica nuova greco-slava. Da sottolineare anche il fatto che il
greco non interagì mai con le lingue con cui era entrato in contatto così da far
nascere una serie di volgari neogreci.
Questo perché la Chiesa ortodossa di Bisanzio non aveva un atteggiamento
polarizzatore nei confronti delle altre Chiese dell'Impero: il cristianesimo
orientale non si basava sull'unico magistero del patriarcato di Bisanzio;
affidando il compito alle Chiese autocefale di gestirsi da sole, esso favorì un
processo di emancipazione delle singole e future identità nazionali che da esso
dipendevano. Inoltre, non si formò una rete di studia dove il greco-bizantino
fosse usato come lingua di cultura.
Tale condizione è definita “aureo-isolamento” del greco rispetto alle dinamiche
della storia. Nel modello culturale greco-bizantino, veniva marcata soprattutto
la differenza fra i greci e il resto del mondo, che determinava un atteggiamento
di forte chiusura, causato dal considerare il greco come una lingua sacra e dal
disprezzo dei dotti bizantini verso il greco parlato, considerato una corruzione
della lingua classica e perciò indegno di attenzione.
La dominazione ottomana (XV – XX secolo) non fece che ac