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La riflessione sul linguaggio nel pensiero di Platone
La riflessione sul linguaggio è un aspetto significativo del pensiero di Platone. L’autore infatti, vi dedica
un intero dialogo, il Cratilo, che è il primo testo in cui si parla del linguaggio ed è la fonte più antica
delle conoscenze grammaticali.
Il tema è inserito nel contesto della problematica relativa alla conoscenza, il linguaggio è considerato
uno strumento di conoscenza.
Il problema fondamentale per Platone, è se si possa formulare tramite le parole ciò che conosciamo
intorno alla realtà e se sia quindi possibile, partendo da ciò che diciamo, risalire alla conoscenza della
verità delle cose. A questo punto, egli si pone alcune domande fondamentali:
- Qual è la natura dei nomi? (e quindi anche dl linguaggio stesso?)
- Qual è la loro funzione?
- Come sono costituiti?
In apertura del dialogo vengono subito presentate le due tesi antitetiche allora dibattute, circa l’origine
e l’esattezza dei nomi.
1) TESI CONVENZIONALISTA (sostenuta da Ermogene): i nomi sono di origine convenzionale,
esiste una sorta di accordo secondo il quale si decide di nominare qualcosa in un certo modo.
Per natura, infatti, non vi è nessun nome per nessuna cosa, ma solo per legge e per abitudine di
coloro che lo usano parlando.
2) TESI NATURALISTA: i nomi sono tali per natura, essendo la cosa fatta così, viene chiamata in
quel modo. Il nome è tale solo se è in grado di mostrare ciò che la cosa denominata è in realtà o,
in altri termini, se conoscendo il nome si conosce anche la cosa a cui si riferisce. Un esempio
possono essere le onomatopee, il nome è legato alla cosa/realtà che denomina e sentendo un
nome si ha anche il concetto della realtà.
Platone sostiene inizialmente la tesi naturalista, dicendo che se ci sono discorsi veri e discorsi
falsi, anche i nomi, devono essere a loro volta veri o falsi. Non vi può essere, quindi, altro criterio per
stabilire la verità/falsità dei nomi se non la loro conformità o meno alla “stabile natura” delle cose
denominate. Contro quella convenzionalista, dice invece che le cose hanno una loro propria stabile
natura e non rispetto a noi e da noi, come tirate di qua e di la dalla nostra fantasia (come sosteneva
Protagora).
Se questo è vero per le cose in generale, continua Platone, deve valere anche per le azioni, che si
fanno secondo una loro natura, e non secondo quel che a noi pare. Nel compiere delle azioni, queste
devono essere adeguate ad uno scopo e si devono utilizzare degli strumenti idonei per compierle.
L’azione del denominare ha lo scopo di istruirci gli uni gli altri e di distinguere le cose; i nomi devono
pertanto risultare degli strumenti adatti a tale scopo.
Pagg.2,3 nomoteta, dialettici
Questa precisazione è fondamentale, perché Platone afferma che il dire (il linguaggio ed il parlare) è
un’azione. Tra il dire e il fare non c’è differenza, sono entrambi due azioni. Ma perché? Il dire è un fare
perché comporta due azioni: domandare e rispondere. Non è infatti possibile parlare se il nostro dire
non è una risposta. La negazione di una frase vera deve essere falsa e viceversa, altrimenti è una frase
che non dice nulla è priva di senso. Per moltissimi anni lo studio del linguaggio si è concentrato sullo
studio delle affermazioni, perché esse possono essere vere o false (logica). Le affermazioni sono
sempre un rispondere e il modello di Platone di fonda essenzialmente sullo studio delle affermazioni.
Tuttavia questa parte del dialogo suscita qualche perplessità, in quanto i nomi presi in considerazione
sono tutti composti o derivati e non possono quindi servire a sostenere la tesi naturalista. Infatti,
questi sono costruiti combinando o modificando nomi comunque preesistenti e non hanno
propriamente a che vedere con il procedimento di attribuzione dei nomi di cui si è parlato finora.
Egli affronta allora, a questo punto, l’analisi dei nomi primitivi andando a spiegare che le parole non