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Il secondo libro continua la sua introspezione, ponendosi come domanda quanto la volontà abbia un
ruolo sull'ira, come sia possibile essere meno sospettosi e si dice che i giovani devono essere
protetti dall'ira, processo che avviene attraverso lo studio ed una buona educazione.
Una delle insidie dell'ira infatti è che essa appare liberatoria quando la si esercita: Seneca avverte
che essa non deve mai portare soddisfazione, poiché essa diviene pericolosa per coloro che la
esercitano. L'unico sistema è quello di pensare a cosa che possano farci ritrovare la calma . Sempre
nel secondo libro proseguono invettive contro coloro che si fanno accecare dall'ira.
Nel terzo libro invece si cerca di capire come frenare l'ira altrui, facendo attenzione alle sue
caratteristiche, in quanto se è pericolosa su un singolo, ancora di più lo diviene quando si
impadronisce delle masse. Si torna a polemizzare su Aristotele, come per altro già fatto nel primo
libro, insistendo sugli aspetti esteriori dell'ira, con quali mezzi si può evitare e frenarla negli altri. In
conclusione viene detto, attraverso un esortazione finale, di cercare un motivo di pace nel nostro
animo e di bontà verso il prossimo, rifuggendo questo istinto bruciante e che tutto offusca.
Il De Ira, le pulsioni, l'introspezione di Seneca:
Seneca, dunque, indaga sulle passioni, sulle pulsioni dell'animo umano.
Al centro della sua riflessione la ragione domina sovrana su qualsiasi altro moto dell'animo. La
Ragione e le virtù devono troneggiare sull'intera vita di un essere umano.
Molti sono gli accorgimenti che Seneca descrive come utili, al fine di controllare l'ira, e non solo
quella, come vedremo avanti nel “De Clementia”, egli si prodigherà a distinguere severità e
crudeltà, descrivendo le caratteristiche del buon sovrano.
Una delle prime descrizioni che troviamo all'interno del De Ira è proprio quella dell'adirato, una
minuziosa “fotografia” dei sintomi fisici che appaiono quando si viene travolti da questa pulsione.
Secondo lui l'Ira è complice del vizio, visto addirittura come un malanno, una malattia che
corrompe l'animo e la ragione.
Egli teorizza diversi modi per allontanarsi dai vizi, tra cui l'allenamento del pensiero, volgendolo a
immagini calme e che sappiano quietare lo spirito.
Ci troviamo davanti ad un opera molto particolare, letterariamente confusionaria, senza ombra di
dubbio, forse anche perché, secondo alcune teoria, potrebbe esser stata scritta da Seneca durante
l'esilio in Corsica, dunque da un filosofo privato della sua dignità e, allo stesso tempo, privo delle
fonti letterarie da citare.
Ma ci troviamo davanti ad un opera filosofica o letteraria?
Senza ombra di dubbio lo scopo di Seneca è quello di dare vita ad un opera di genere filosofico,
ispirandosi al genere letterario del “dialogo” che, dopo Platone, divenne il metodo principe delle
discussioni filosofiche.
Seneca esaspera, all'interno dei suoi scritti, questo sistema.
Seppure la produzione filosofica antica abbia trattato largamente dell'ira è interessante notare come
troneggi l'intento di Seneca di proteggere l'animo da questo sentimento: egli fa introspezione
profonda, quasi come se cercasse di prevenire e curare questo stato d'animo.
Per utilizzare dei termini moderni, Seneca oltre ad essere un filosofo è anche uno Psicologo, che
indaga all'interno della mente e nell'animo degli esseri umani.
Non a caso, nei primi anni di diffusione di questa scienza, questa era strettamente legata alle facoltà
universitarie di Filosofia.
L'intento è dunque salvifico, per così dire, alla ricerca di una cura dalla pulsione.
E' forse qua che vediamo maggiormente la differenza tra lo Stoicismo e l'Epicureismo, che
professano entrambi un allontanamento dal desiderio, dal sentimento, dal turbamento, ma il primo,
differentemente dal secondo, vuole essere d'esempio, vuole insegnare ed essere d'aiuto se possibile.
Questo intendo dualistico lo si intuisce anche dalle varie contraddizioni nella vita di Seneca, sempre
a cavallo tra un ascetismo filosofico ed una forte propensione verso la vita pubblica.
In una lettera alla madre, durante l'esilio in Corsica, Seneca afferma che il saggio è in grado di
esercitare le virtù ovunque, eppure appare svuotato del suo mordente e confuso, come si potrebbe
intuire dalla stesura del “De Ira” stesso.
Questa sua forte contraddizione, comunque, non deve influenzare il giudizio su questa figura, non
priva di chiaroscuri, ma fondamentale all'interno della scena politica e filosofica romana,
amatissimo per certi versi, temuto per altri o addirittura, odiato.
Seneca si pone tra i primi ad indagare all'interno della psiche umana, non solo come esercizio
filosofico, ma anche quale “guaritore” delle ferite dello spirito, dei vizi, in cerca di una vita più
virtuosa.
Già nel “De Ira”, opera giovanile, ancora confusionaria e caotica, troviamo i capisaldi della sua