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PARADIGMI:
hăbĕo, hăbes, habui, habitum, hăbēre mercor, mercāris, mercatus sum, mercāri
accĭpĭo, accĭpis, accepi, acceptum, accĭpĕre vendo, vendis, vendidi, venditum, vendĕre
imprŏbo, imprŏbas, improbavi, improbatum, prōfĭcĭo, prōfĭcis, profeci, profectum, prōfĭcĕre
imprŏbāre mentĭor, mentīris, mentitus sum, mentīri
incurro, incurris, incurri, incursum, incurrĕre verso, versas, versavi, versatum, versāre
emi, emptum,
ĕmo, ĕmis, ĕmĕre addo, addis, addidi, additum, addĕre
pŭto, pŭtas, putavi, putatum, pŭtāre apporto, apportas, apportavi, apportatum, apportāre
convĕnĭo, convĕnis, conveni, conventum, convĕnīre adquīro, adquīris, adquisivi, adquisitum, adquīrĕre
vĭtŭpĕro, vĭtŭpĕras, vituperavi, vituperatum, adsūmo, adsūmis, adsumpsi, adsumptum, adsūmĕre
vĭtŭpĕrāre
quæro, quæris, quæsii, quæsitum, quærĕre
impertĭo, impertis, impertii, impertitum, impertīre
LEZIONE TRE: LE TUSCOLANAE DISPUTATIONES: dialogo fra Cicerone e un interlocutore anonimo,
dedicato a Bruto, ambientato nella villa a Tuscolo, è una summa dell'antica etica e in ogni libro dei cinque si
parla di un argomento (morte,dolore, tristezza,turbamenti dell'anima, virtù). E' un'opera in cui l'autore
mostra parte dei suoi dubbi e delle sue sofferenze, molto "lirica". Fa un accenno anche allo stato dell'oratoria,
che a Roma gode buona salute, e della filosofia, che invece no. L'opera fu scritta durante la dittatura di Giulio
Cesare, in un'epoca che aveva già conosciuto il suicidio di Catone Uticense, e vedeva la Repubblica romana
volgere al tramonto. Il dittatore romano si era dimostrato clemente, ma aveva dato a intendere agli
intellettuali che non avrebbe tollerato una loro "insubordinazione": a Cicerone, che aveva scritto un libro in
memoria di Catone, Cesare aveva risposto con l'Anticato (Anticatone), in cui criticava l'illustre scomparso,
mostrando quale sarebbe stato il suo atteggiamento verso gli oppositori. Per Cicerone la situazione era
davvero complicata: era appena morta sua figlia Tullia, e la vita politica aveva perso per lui ogni senso.
L'oratore decise dunque di ritirarsi nella villa di Tusculum, particolarmente amata da Tullia, dove si dedicò allo
studio della filosofia.
Quam ob rem/ hortor/ omnes/ qui facere id possunt/,ut huius/
quoque generis/ laudem/ iam languenti Graeciae/ eripiant /et transferant in hanc urbem,/
sicut reliquas/ omnes,/ quae quidem erant expetendae, /studio atque industria sua/ maiores nostri/ transtulerunt.
Atque oratorum quidem laus/ ita ducta /ab humili /venit ad summum,/ut iam/,
quod natura fert/ in omnibus fere rebus/, senescat brevique tempore/ ad nihilum ventura videatur,/ philosophia
nascatur /Latinis quidem litteris/ ex/his temporibus,/ eamque nos/ adiuvemus/ nosque ipsos /redargui refellique
patiamur.Quod ii ferunt/ animo iniquo /qui/ certis quibusdam destinatisque sententiis/ quasi addicti et consecrat
i sunt/ eaque necessitate constricti,/ ut, /etiam quae non probare soleant,/
ea cogantur/ constantiae causa/ defendere; nos /qui sequimur probabilia/ nec ultra/ quam id/
quod veri simile occurrit,/ progredi possumus,et refellere/ sine pertinacia /et refelli sine iracundia /parati sumus.
Quodsi/ haec studia traducta erunt/ ad/nostros/ne bibliothecis quidem Graecis egebimus,/ in quibus multitudo i
nfinita/ librorum /propter eorum est multitudinem qui scripserunt./ Eadem enim dicuntur/ a multis, /ex
quo/ libris omnia referserunt. Quod accidet etiam nostris/, si ad haec studia plures confluxerint. Sed eos,/
si possumus/, excitemus,qui/ liberaliter eruditi/ adhibita etiam disserendi /elegantia ratione et via/ philosophantu
r. Est enim /quoddam genus/ eorum qui/ se philosophos/ appellari volunt,/ quorum / Latini sane multi libri;/
quos non contemno/ equidem,/ quippe quos numquam legerim; /sed quia profitentur /ipsi illi /qui
eos scribunt /se/neque/distincte/ neque distribute/ neque eleganter/ neque ornate scribere/ lectionem/ sine ulla
delectatione/ neglego. Quid enim/ dicant et quid sentiant /ii qui sunt /ab ea disciplina/
nemo/ne mediocriter /quidem doctus ignorat. Quam ob rem/, quoniam quem ad modum dicant/ ipsi
non laborant, /cur legendi sint nisi ipsi/ inter se/ qui idem sentiunt, non intellego.
"Perciò io esorto tutti quelli che possono farlo a strappare anche la gloria di questo genere letterario alla Grecia
ormai decadente, ed a trasferirlo in questa città, così come i nostri antenati, col loro zelo e la loro industria
trasferirono anche le altre cose, almeno tutte quelle che erano desiderabili. E certamente la gloria degli oratori,
partita così dal basso, raggiunse il culmine, tanto che ormai, come per legge di natura succede a quasi tutte le
cose, invecchia, e sembra destinata a ridursi al nulla in poco tempo, la filosofia, almeno nella letteratura latina,
nasce in quest'epoca, e io le do il mio contributo e accetto di essere confutato e contraddetto io stesso.
Sopportano malvolentieri ciò coloro che si sono quasi votati e consacrati ad alcune idee fisse e ben determinate e
spinti dalla necessità, sono costretti a sostenere, per coerenza, anche ciò che sono abituati a non approvare; io che
seguo il principio della probabilità e non posso avventurarmi al di fuori di ciò che si presenta come verosimile,
sono pronto sia a confutare senza ostinazione sia ad essere confutato senza ira.
E se questi studi saranno tramandati a noi, non avremo neppure bisogno delle biblioteche greche, nelle quali si
trova una moltitudine di libri, per la moltitudine di quelli che scrissero. Le stesse cose, infatti, sono dette da molti,
per cui riempirono di ogni cosa i libri. Ciò accadrà anche ai nostri, se in troppi si daranno a questi studi. Ma se
possiamo, invitiamo coloro che , istruiti nelle arti liberali, filosofano con metodo avendo usato anche eleganza
nel parlare.
Infatti c'è un certo genere di quelli (epicurei) che vogliono che siano chiamati filosofi, dei quali si dice che ci siano
davvero molti libri latini; di certo non li disprezzo, poiché non li ho mai letti, ma dal momento che quelli stessi
che li scrivono dichiarano apertamente che essi non li scrivono né con precisione, né con ordine, né in modo
accurato, né elegantemente, trascuro una lettura senza alcun diletto. Infatti che cosa dicano e che cosa pensino
coloro che sono seguaci di tale scuola filosofica, nessuno, neppure mediocremente istruito, lo ignora. Perciò,
poiché essi stessi non si preoccupano del modo in cui si esprimono, non capisco perché debbano essere letti, a
meno che non vogliano leggersi fra loro, che condividono le stesse idee. "
Colore: gerundi e gerundivi Colore: poliptoto Sottolineatura: figure retoriche
PARADIGMI:
languĕo, langues, languēre păro, păras, paravi, paratum, părāre
expĕto, expĕtis, expetii, expetitum, expĕtĕre conflŭo, conflŭis, confluxi, confluxum, conflŭĕre
sĕnesco, sĕnescis, senui, sĕnescĕre excĭto, excĭtas, excitavi, excitatum, excĭtāre
nascor, nascĕris, natus sum, nasci contemno, contemnis, contempsi, contemptum,
contemnĕre
adiŭvo, adiŭvas, adiuvi, adiutum, adiŭvāre prŏfĭtĕor, prŏfĭtēris, professus sum, prŏfĭtēri
rĕdargŭo, rĕdargŭis, redargui, redargutum, rĕdargŭĕre neglĕgo, neglĕgis, neglexi, neglectum, neglĕgĕre
rĕfello, rĕfellis, refelli, rĕfellĕre sentĭo, sentis, sensi, sensum, sentīre
LEZIONE 4: INTRODUZIONE ALLA PRO ARCHIA
Tutto ciò che sappiamo di Archia lo ricostruiamo esclusivamente d quest'orazione, che Cicerone pronunciò
nell'Estate del '62. Archia nasce intorno al 120 a.C ad Antiochia, da una famiglia agiata, che lo introduce fin
dall'infanzia allo studio della poesia, per cui è straordinariamente portato, sia nel campo della composizione che
nell'improvvisazione dei versi. Sempre giovanissimo si recò in Magna Grecia, forse in tour nei numerosi festival
culturali che la regione ospitava., fatto comune a molti artisti, che venivan0po a cercare fortuna in Italia. Molti
sfruttavano la remunerativa abitudine di elogiare la città e gli abitanti di essa ogniqualvolta si spostavano, facendo
leva soprattutto sui fondatori mitici delle città, di solito eroi omerici erranti. In Magna Grecia Archia viene
accolto con favore, ed entra prepotentemente nelle case dell'elite italica di Taranto, Reggio e Napoli. All'età di
diciassette anni arriva finalmente a Roma, dove ottiene la benevolenza dei consoli Caio Mario, che pure non
amava le lettere, e Lutazio Catulo, console poeta (precursore dei neòteroi, fautore di una poesia come lusus), dei
quali celebrò la vittoria sui cimbri. La cerchia di Catulo lo apprezza, e per loro inizia a comporre su commissione.
Scrive anche un componimento dedicato a Roscio, il più grande attore del periodo, basandosi sulla leggenda che
voleva il piccolo Roscio interessato da un prodigio: un serpente si sarebbe infatti messo accanto alla sua culla. In
questo periodo, infatti, la celebrazione è sempre più incentrata sul singolo potente che non sulla collettività.
Archia viene poi protetto dai Luculli e con uno di loro andò in Sicilia e soggiornò a Eraclea, dove ottenne la
cittadinanza ad onorem. E' poi a fianco di Lucio Lucullo il giovane nella guerra contro Mitridate, e pare che
proprio dai luculli Archia prese il nomen Licinius. Il poeta però si legò a diverse casate aristocratiche, a
dimostrazione di quanto fossero ormai indipendenti gli intellettuali Greci: Archia stesso scrisse opere celebrative
anche per i Metelli e iniziò, senza mai portare a termine, un'opera sul consolato di Cicerone.
Archia viene sottoposto a processo perché è sospettato di aver usurpato la cittadinanza romana. Nell'89 la lex
Plautia Papiria concedeva la cittadinanza romana a tutte le città confederate con Roma, quindi anche Eraclea
tuttavia erano stati numerosi i casi di usurpazione. Le prove a favore di Archia sono labili, c'erano solo i registri di
Quinto Metello, all'epoca pretore, che lo attestavano cittadino di Eraclea, ma i registri "anagrafici" della città
errano andati distrutti con un incendio; inoltre il nome di Archia non era nella lista dei censori, e Cicerone spiega
ciò giustificando l'assenza di Archia perché in guerra con Lucullo. Nonostante la difficile posizione di Archia,
Cicerone era sicuro di vincere il processo, sia perché il tribunale era presieduto dal fratello Quinto, sia perché a
favore di Archia testimoniavano Lucullo e i legati di Eraclea (al tempo la testimonianza di persone illustri era
decisiva).
Spesso, come sappiamo, i processi a Roma avevano un retroscena politico, e in questo caso c'è una labile teoria
che vuole Archia accusato dall'entourage di Pompeo, nemico di Lucullo, per attaccare questi. Tuttavia, Cicerone
non attacca mai Pompeo, di cui anzi cercava l'appoggio, ma dipinge Archia non tanto come un protetto di