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Lingua e letteratura latina - De clementia, Seneca Pag. 1
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Estratto del documento

Il regno del giovane Princeps nasce, dunque, in maniera molto ambigua, in una Roma che per la

prima volta, sotto Claudio, si era discostata dalle indicazioni Augustee.

Le innovazioni volute da Claudio stavano lentamente mutando il contesto sociale di una Roma non

più solo dei romani, ma anche aperta, anche per cariche di un certo rilievo, a coloro che senza

ombra di dubbio potevano considerarsi “Stranieri”, come appunto i Galli che vivevano oltre le Alpi,

ricordiamo, infatti, la famosa orazione in senato del 48 d.C. Ove Claudio utilizza tutte le sue

capacità retoriche per concedere l'accesso al Senato agli abitanti della Gallia Transalpina.

I primi anni del Principato di Nerone furono, comunque, estremamente sereni, tanto da essere

definiti “quinquennio felice”, proprio perchè Roma non era ancora amministrata dal controverso

Princeps, ma dallo stesso Seneca, che era stato voluto come Precettore da Agrppina, alla ricerca

della migliore educazione possibile per il figlio.

Seneca era considerato uno dei maggiori intellettuali del suo tempo, tanto che Agrippina minore

utilizzò la sua figura per potersi accaparrare le simpatie e la benevolenza degli aristocratici romani.

Nei cinque anni di governo, lo Stoico accumulò enormi ricchezze e potere politico, mentre Nerone

sviluppava una crescente insofferenza per gli insegnamenti del precettore e di S.A. Burro, prefetto

del Pretorio, amico e compagno di Seneca in questo periodo di governo.

Ma il momento di rottura si affacciò sulla vita dello Stoico: nel 59 il Princeps, oramai desideroso di

poter esercitare il potere sulla sua Roma, fa ordire a Seneca una congiura, che porterà all'assassinio

di Agrippina minore, iniziando a gettare non pochi dubbi nella mente del precettore.

Seneca categorizzò l'accaduto come “il male minore”, cercando di osservare il quadro generale ed il

bene dell'impero, ma la morte di Burro, nel 62, destabilizzerà definitivamente quello che per cinque

anni era stato un buon equilibrio politico.

La rottura definitiva vide la morte, oltremodo tragica, di un oramai anziano Seneca, che fu costretto

a togliersi la vita, accusato di un male che non aveva compiuto: una congiura fu ordita ai danni di

Nerone, quella di Pisone, fallita miseramente, della quale forse Seneca era informato, ma alla quale

non aveva partecipato in modo alcuno; eppure Nerone non attendeva che una scusa per liberarsi del

Filosofo, che fu accusato e, per questo, condannato ad una drammatica dipartita.

Nerone era oramai solo, come aveva tanto desiderato, libero di vivere Roma secondo i suoi ideali e

le sue scelte, tutti fattori che lo porteranno ad essere visto come l'Archetipo dell'imperatore

malevolo, costringendo i suoi successori al processo di Damnatio Memoriae, ossia la cancellazione

del suo nome dagli annali, la ribattitura della sua effige sulle monete, e la sostituzione dei volti delle

statue che lo vedevano rappresentato.

Il De Clementia:

Malgrado la tragica piega presa dagli avvenimenti, non si può dire che Seneca non avesse provato a

trasmettere i forti ideali che hanno regolato la sua vita, infatti quest'opera nasce con lo specifico

intento di educare Nerone, portandogli davanti agli occhi gli esempi di cosa fosse la clemenza e chi

fosse categorizzato come Principe benevolo e ben voluto, e chi no.

La sfortuna vuole che dei tre libri che dovevano comporre questa opera, solo due ce ne siano

pervenuti, di cui uno in maniera frammentaria ed oltremodo incompleta.

Nel proemio l'autore ci mostra lo scopo dell'opera stessa, ossia quello di fungere da “specchio” al

neo principe Nerone, come spunto di riflessione sulle politiche di buon governo, sulla funzione

della clemenza nella politica romana, e sulla figura del buon regnante.

Il libro primo descrive la Clemenza, questa virtù che è vista come la più umana: re e principi

devono essere tra i più clementi, proprio in virtù del loro ruolo. Seneca paragona i regnanti

all'anima e lo stato al corpo, dicendo che gli uni necessita gli altri per vivere. Nasce proprio da

questo paragone il concetto di clemenza verso il popolo, infatti se il regnante sarà clemente con chi

gli è suddito, lo sarà anche con se stesso, facendo parte dello stesso meccanismo che necessita di

entrambe le parti.

Secondo l'autore la Clemenza porta unicamente benefici, infatti più un sovrano si mostrerà

benevolo verso il suo popolo, più questi tenderà a proteggerlo, diminuendo notevolmente il pericolo

di congiure e aumentando la gloria stessa del proprio regno.

Il libro prosegue con una serie di paragoni tra regnanti benevoli e malevoli. Si paragona, oltretutto,

il sovrano a un medico, agli dei, all'ape regina e al sole stesso, dandogli sempre una posizione,

giustamente, di spicco, ma attribuendogli anche doveri, non solo diritti incontrastati: un sovrano

infatti dovrà rinunciare alla vendetta e misurare il proprio comportamento, le proprie pulsioni, nei

minimi dettagli, per il bene del popolo che lo sostiene.

Sempre in questo frangente si parla del sovrano e del tiranno, esaltando le buone qualità del primo e

denigrando la vena autocratica eccessiva del secondo.

Seneca ha un giudizio molto forte delle tirannidi, infatti dice che questi, a differenza del sovrano,

traggono piacere dall'uccidere, dalla morte e che, pur uccidendo anche i sovrani, questi lo fanno

unicamente per il bene dello stato, per un bene superiore e comune, non per desiderio personale.

E' la clemenza a determinare la differenza tra tiranno e sovrano, una linea sottile, in quanto entrambi

hanno le redini del governo e sono protetti dalle armi, ma soltanto il primo esercita il potere per il

bene dello stato.

Proseguendo troviamo il secondo libro, pervenutoci in maniera frammentaria: in questo volume la

contrapposizione tra clemenza e severità si fa più marcata, ma la seconda non viene vista in maniera

totalmente negativa, tant'è che anche essa è caratterizzata come una virtù che, come tale, non può

contrapporsi alla clemenza ma soltanto una diversa virtù. Le punizioni devono essere inflitte, per il

bene dello stato, ma devono essere elargite senza esagerazioni, infatti coloro che non seguono

questo principio ricadono nella crudeltà, questa realmente contrapposta alla clemenza.

Eppure nella sua accezione totalmente positiva la clemenza rischia di cadere nella compassione se

esercitata, anche in questo caso, senza moderazione.

La compassione non è una virtù, ma un vizio, poiché mette davanti all'incapacità di controllare le

pulsioni dell'animo e di non abbattersi dinnanzi alle sofferenze altrui, dunque lasciandosi trasportare

Dettagli
A.A. 2011-2012
5 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher francescofederico.migliaccio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lingua e letteratura latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scotti Maria Teresa.