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VERSO LA SOCIETÀ DI MASSA
Di società di massa, nel senso di moltitudine indifferenziata al suo interno, si parlava già all’inizio
dell’800, dopo che la Rivoluzione francese aveva visto il popolo entrare per la prima volta da
protagonista sulla scena politica. Me è solo alla fine dell’800, col diffondersi dell’industrializzazione
e dei connessi fenomeni di urbanizzazione, che si vengono delineando i contorni di quella che oggi
chiamiamo società di massa. La maggioranza dei cittadini vive in grandi e medi agglomerati
urbani; gli uomini sono a più stretto contatto gli uni con gli altri; entrano in rapporto tra loro, grazie
anche alla disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione e d’informazione, ma questi rapporti
a volte hanno un carattere anonimo e impersonale. Il sistema delle relazioni fa capo alle grandi
istituzioni nazionali: agli apparati statali, ai partiti e in genere alle organizzazioni di massa. La
popolazione è uscita dalla dimensione dell’autoconsumo e quasi tutti sono entrati nel circolo
dell’economia di mercato. La società di massa è dunque la risultante di un intreccio di una serie di
processi economici, di trasformazioni politiche e di mutamenti culturali. Una realtà che è stata
dipinta con tratti ottimistici (l’ascesa delle masse come frutto della democratizzazione e della
diffusione del benessere). L’avvento della società di massa è un fenomeno che ha segnato come
pochi altri la storia degli ultimi cent’anni.
Nel ventennio che precedette la prima guerra mondiale, l’economia conobbe una fase di
espansione intensa, interrotta solo da una breve crisi nel 1907-08. Se il periodo 1873-95 era stato
caratterizzato soprattutto dalle innovazioni tecnologiche, gli anni 1896-1913 furono segnati da uno
sviluppo generalizzato della produzione che toccò anche la Russia e l’Italia. In questo periodo,
l’indice della produzione industriale e quello del commercio mondiale risultarono più o meno
raddoppiati; crebbe anche il livello medio dei salari. La crescita generalizzata dei redditi determinò
a sua volta l’allargamento del mercato. La domanda assumeva sempre di più dimensioni di massa.
Le industrie iniziarono la produzione in serie e le vendite attraverso le reti commerciali, si
moltiplicarono i negozi. Si aprirono nuovi canali di vendita a domicilio e per corrispondenza, con
forme di pagamento rateale che rendevano gli acquisti più accessibili ai ceti meno abbienti. Le
imprese accelerarono i processi di meccanizzazione e, nel 1913, nelle officine automobilistiche
Ford di Detroit, fu introdotta la prima catena di montaggio. Il tentativo più organico e fortunato si
dovette a un ingegnere statunitense, Frederick W. Taylor, autore nel 1911 di un libro intitolato
Princìpi di organizzazione scientifica del lavoro. Il metodo Taylor si basava sullo studio sistematico
del lavoro in fabbrica, sulla rilevazione dei tempi standard necessari per compiere le singole
operazioni e sulla fissazione, e di regole e ritmi cui gli operai avrebbero dovuto uniformarsi. Le
tecniche del taylorismo assicurarono notevoli progressi in termini di produttività. Tipico fu il caso
della Ford (il fordismo) basata sui consumi di massa, sui prezzi competitivi e sugli alti salari. I
sistemi tayloristici incontrarono però una diffusa ostilità fra i lavoratori che si sentivano spossessati
di qualsiasi autonomia.
Nella classe operaia si veniva accentuando la distinzione tra la manodopera generica e i lavoratori
qualificati. L’espansione del settore dei servizi e la crescita degli apparati burocratici facevano
aumentare la consistenza di un ceto medio urbano. La crescita dei lavoratori autonomi fu dovuta
alla moltiplicazione degli esercizi commerciali e di nuove attività (il fotografo, il meccanico, il
dattilografo). La categoria di dipendenti pubblici si allargava di pari passo con l’aumento delle
competenze dello Stato e delle amministrazioni locali. Cresceva la massa degli addetti al settore
privato (tecnici, impiegati e commessi), quelli che più tardi sarebbero stati chiamati colletti bianchi;
una massa abbastanza omogenea e numerosa, anche se non paragonabile per consistenza a
quella dei lavoratori manuali. I ceti medi rifiutavano ogni identificazione con le masse lavoratrici,
erano per lo più refrattari a inquadrarsi nelle organizzazioni sindacali e puntavano al merito
individuale per progredire nella scala sociale. Il ceto di confine era la piccola borghesia
impiegatizia, che svolgeva un ruolo di primo piano: sia nel campo economico, poiché principale
destinataria di una serie di beni di consumo prodotti dall’industria, sia in quello politico, come
elettorato di massa, capace di far pendere la bilancia dalla parte delle forze conservatrici o di
quelle progressiste.
Un ruolo di fondamentale importanza nel plasmare i lineamenti della nuova società fu svolto senza
dubbio dalla scuola. Costituiva un’opportunità da cui nessuno doveva essere escluso, un servizio
reso alla collettività. Per assicurare questo servizio, oltre all’impegno della Chiesa fu necessario
l’intervento dello Stato e delle amministrazioni locali. La scolarizzazione diffusa poteva
rappresentare un mezzo per educare il popolo e ridurre la criminalità, ma anche uno strumento di
nazionalizzazione delle masse, attraverso cui lo Stato poteva diffondere tra le giovani generazioni
immagini e valori patriottici. Dagli anni ’70 tutti i governi dell’Europa s’impegnarono a rendere
l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita. Il processo di laicizzazione e di statizzazione del
sistema scolastico ebbe tempi, forme e risultati diversi a seconda dei paesi. Fu meno spinto in
Gran Bretagna, più radicale in Francia; più rapido in quegli Stati come la Francia e la Germania, in
cui esisteva già da qualche tempo una scolarizzazione diffusa; più lento nell’Europa orientale.
L’effetto più immediato fu l’aumento generalizzato della frequenza scolastica (in tutta l’Europa, alla
vigilia della prima guerra mondiale, andare a scuola era diventa tata la regola per i bambini sotto i
dieci anni), con conseguente rapida diminuzione del tasso di analfabetismo. Strettamente legato ai
progressi dell’istruzione fu l’incremento nella diffusione della stampa quotidiana e periodica; crebbe
rapidamente il numero dei lettori. Si allargava così l’area di coloro che contribuivano a formare
l’opinione pubblica; diventava più facile accedere alle informazioni d’interesse generale.
Un contributo notevole allo sviluppo della società di massa avvenne anche dagli ordinamenti
militari, che furono realizzate in tutta Europa, ad eccezione della gran Bretagna. Il principio su cui
si fondavano queste riforme era quello del servizio militare obbligatorio per la popolazione
maschile, ossia la trasformazione degli eserciti a lunga ferma, composta in pratica da
professionisti, in eserciti a ferma più o meno breve formata da cittadini in armi. Due gli ostacoli: Il
primo, era di carattere economico, le risorse finanziarie degli Stati non erano sufficienti a
mantenere, armare e addestrare. Da qui la permanenza di criteri di scelta arbitrari: la possibilità di
comprare l’esonero versando una tassa o pagando un sostituto o addirittura affidati alla sorte. Il
secondo di natura politica. Come e per quanto tempo le classi dirigenti avrebbero potuto negare il
diritto di voto a coloro ai quali lo Stato chiedeva di mettere a repentaglio la propria vita? Tanto più
che i ceti borghesi mostravano, col ricorso all’esonero, una diffusa riluttanza a sottostare alla dura
condizione del soldato: e dunque la truppa era nella quasi totalità di estrazione popolare,
soprattutto contadina. Alcuni potenti fattori spingevano però per la trasformazione degli eserciti.
Uno era di carattere politico-militare: senza la disponibilità di grandi masse non era possibile avere
un esercito. Un altro elemento favorevole era dato dal fatto che la tecnologia e l’industria
consentivano la produzione in serie di armi tale da coprire le esigenze di grandi eserciti, mentre lo
sviluppo delle ferrovie offriva a questi eserciti la possibilità di spostamenti veloci. Fra il 1870 e il
1914, l’impegno crescente di governi e Stati maggiori nell’organizzare la mobilitazione e
l’armamento di grandi quantità di coscritti, servì anche a estendere la capacità di controllo dei
poteri statali sulla società civile.
Società di massa non è sinonimo di società democratica. Già nel XIX secolo si erano avuti tentativi
di usare il coinvolgimento della massa per dare maggior forza a regimi autoritari; e il XX secolo
avrebbe conosciuto regimi autoritari di massa ben più tirannici e meglio attrezzati. Nel 1890 il
suffragio universale maschile era praticato solo in Francia, in Germania, in Spagna e in Svizzera.
Nel 1893 in Belgio; nel 1898 in Norvegia; nel 1907 in Austria e nel Granducato di Finlandia; nel
1907 la Norvegia e la Finlandia furono i primi paesi a concedere il voto anche alle donne; in Italia
nel 1912. Inghilterra e Olanda furono le ultime. L’allargamento del diritto di voto alle grandi masse
determinò mutamenti di rilievo nelle forme organizzative e nei meccanismi della lotta politica. Tutti i
gruppi, sperimentarono nuove tecniche per conquistare e mantenere il consenso popolare. Si
affermò un nuovo modello di partito: quello proposto per la prima volta dai socialisti, basato
sull’inquadramento di larghi strati della popolazione, articolata in organizzazioni locali (sezioni,
federazioni) e facente capo a un unico centro dirigente. Alla vigilia della prima guerra mondiale,
appariva chiaro come, in nessun paese dell’Europa occidentale, la vita pubblica potesse essere
più considerata un terreno riservato a un gruppo ristretto di notabili. Nuovi centri di potere si
andavano affiancando a quelli tradizionali. Un altro canale efficientissimo di socializzazione delle
masse fu costituito dalle organizzazioni sindacali. Sino alla fine del secolo XIX, il sindacalismo
operaio era una realtà solida solo in Gran Bretagna, dove le Trade Unions, intorno al 1890,
contavano già un milione e mezzo d’iscritti. Negli ultimi anni dell’800, grazie all’impulso del
movimento socialista, le organizzazioni dei lavoratori crebbero in tutti i paesi europei; quasi
ovunque riuscirono a far valere il proprio diritto all’esistenza contro le resistenze degli imprenditori
e delle classi dirigenti conservatrici e contro i pregiudizi della dottrina liberista che vedeva nei
sindacati nient’altro che un ostacolo al libero gioco di contrattazione. I sindacati si federarono,
sull’esempio delle Trade Unions inglesi, in grandi organismi nazionali. I più importanti furono quelli
d’ispirazione socialista, c