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A B C D
A 1
B 0.8 1
C 0.5 –0,2 1
D –0,3 0.4 0.6 1
[Valori puramente casuali, riportati esclusivamente per esemplificare una matrice di correlazione]
Tornando al caso esemplificato in precedenza, possiamo ora consapevolmente introdurre il dato
mancante per risolvere il problema, che assumiamo essere: Corr = 80% = 0,8.
XXX,YYY
Avendo a questo punto tutti i dati necessari, manca solo la formula per l'aggregazione, che in ipotesi
di normalità risulta essere: X2 Y2
VAR = √ VAR + VAR +/– 2*Corr * VAR * VAR
X,Y X,Y X Y
[Si noti il segno +/–, la cui natura verrà spiegata nelle prossime righe]
Sostituendo in tale espressione i numeri dell'esempio considerato si ottiene:
2 2
VAR = √ 2,33 + 3,728 + 2*(+0,8)*(2,33)*(3,728) = 5,7641
XXX,YYY
che è il nostro valore-obiettivo: il VAR di portafoglio.
Balza all'occhio come nella formula generale si si utilizzato lo strano segno +/– prima del doppio
prodotto (2*...), e come invece nell'esempio pratico si sia utilizzato il segno “più” (+).
Cerchiamo di seguito di spiegare la natura di tale apparente stranezza.
Sui manuali e nei testi scolastici, la formula è comunemente riportata con il segno “+” prima del
doppio prodotto.
Accade tuttavia, ad esempio in caso di posizioni opposte sui titoli considerati (es. una posizione
lunga ed una posizione corta), che si verifichino difformità tra fattore di rischio e posizione dei due
titoli, dovute alla collocazione dei rispettivi VAR su code opposte della normale.
Ipotizzando ad esempio che la banca considerata in precedenza avesse una posizione lunga su XXX
ed una posizione corta su YYY (anzi che due posizioni lunghe):
il VAR di XXX rimarrebbe invariato, poiché la situazione con riferimento a tale titolo non è
• mutata; si avrebbe dunque VAR = 2,33
XXX
il VAR di YYY rimarrebbe anch'esso invariato, poiché avendo ipotizzato nullo il rendimento
• medio, “graficamente” c'è simmetria rispetto allo “0”, ed avendo deciso tempo fa di
considerare sempre il VAR in valore assoluto si avrebbe anche in questo caso VAR =
YYY
3,728; tuttavia esso si troverebbe sulla coda destra della distribuzione normale.
In tal caso, ad un aumento del fattore di rischio corrisponderebbe una diminuzione del
valore della posizione, ed è proprio questa la preannunciata difformità tra fattore di rischio e
posizione, che richiederebbe di invertire il segno nella formula (inserendo un “meno” (–)
prima del doppio prodotto al posto del “più” (+) previsto dai manuali).
Per essere sicuri di non sbagliare segno, dunque, risulta utile utilizzare in prima battuta il segno +/–,
andando poi a chiedersi, per ciascun titolo, che conseguenza avrebbe un aumento del fattore di
rischio su ciascuna posizione:
se la risposta è la stessa in entrambi i casi (es. guadagno sia dall'aumento del fattore di
• rischio di X che dall'aumento del fattore di rischio di Y) si utilizza il segno “più” (+).
se la risposta nei due casi è differente (es. guadagno dall'aumento del fattore di rischio di X,
• ma perdo in seguito all'aumento del fattore di rischio di Y) si utilizza il segno “meno” (–).
Poichè in questo caso (in cui si sono ipotizzate una posizione lunga ed una posizione corta) le
risposte sarebbero diverse, nella formula andrebbe inserito il segno “meno” (–), ed il VAR
risulterebbe dunque: 2 2
VAR = √ 2,33 + 3,728 – 2*(+0,8)*(2,33)*(3,728) = 2,33
XXX,YYY
[N.B.: Tutto ciò non riguarda in alcun modo il segno della correlazione tra i due titoli considerati,
che rimane invariato indipendentemente dalla combinazione delle posizioni sui titoli: la
correlazione fa riferimento ai fattori di rischio, non alle posizioni, e tali fattori di rischio risultano e
rimangono positivamente o negativamente correlati indipendentemente dalle posizioni (lunga o
corta) che si assumono sui titoli considerati.
Non a caso, nella formula precedente è stato evidenziato, riportandolo, il segno positivo del valore
di correlazione (+0,8), che rimarrebbe tale anche qualora su uno dei due titoli, o su entrambi, si
assumesse una posizione corta (così come rimarrebbe negativo, se lo fosse)].
Naturalmente, spesso i titoli da aggregare sono più di due. Nel caso di tre titoli, ad esempio, la
formula diverrebbe: X2 Y2 Z2
VAR = √ VAR + VAR + VAR
X,Y, Z
+/– 2*Corr *VAR *VAR +/– 2*Corr *VAR *VAR +/– 2*Corr *VAR *VAR
X,Y X Y X,Z X Z Y,Z Y Z
2
E così via: dovendo aggregare quattro titoli si avrebbero quattro VAR e quattro doppi prodotti;
2
aggregando cinque titoli si avrebbero cinque VAR e cinque doppi prodotti; ecc.
Il ragionamento nell'ambito della scelta del segno nei casi di “+/–” rimarrebbe naturalmente
invariato, e sarebbe dunque necessario valutare l'impatto di un aumento dei fattori di rischio su
ciascuna coppia di titoli.
[Volendo fare un'osservazione di carattere matematico, va detto che per come è costruita la formula
di aggregazione dei VAR, indipendentemente dal numero degli stessi, considerando due posizioni
lunghe, si ottiene VAR massimo per correlazione perfettamente positiva, e VAR minimo per
correlazione perfettamente negativa; ciò giustifica l'accenno fatto tempo fa al desiderio dei trader di
trovare correlazioni negative].
[Prima di proseguire, si rimanda alla note poste a conclusione della dispensa per un breve excursus di approfondimento
attinente al calcolo del VAR su azioni].
Siamo dunque ora in grado di calcolare il VAR su indici ed azioni, e di aggregare gli stessi per
calcolare il VAR complessivo di un portafoglio composto da tali strumenti.
Come già detto, tuttavia, esistono anche strumenti differenti, in cui fattore di rischio e posizione non
coincidono. Vediamo dunque di seguito come calcolare ed aggregare i VAR in tali casi.
Il VAR su obbligazioni in valuta domestica
Per calcolare il VAR su obbligazioni in valuta domestica ipotizziamo, riprendendo anche in questo
caso un vecchio tema d'esame, che una banca francese abbia investito 100 milioni di euro (€) in un
titolo zero coupon con vita residua 3 anni, avente tasso di rendimento (yield) del 5%.
L'unica differenza rispetto a quanto sin qui visto è data dal fatto che il fattore di rischio di tale
investimento risulta essere il tasso di interesse (o di rendimento), di cui risulta necessario conoscere
la volatilità (intesa come volatilità storica del tasso di rendimento delle obbligazioni con scadenza 3
anni), che viene indicata essere 20 bps, ossia 0,2%.
Per calcolare il VAR di tale investimento si utilizza la formula:
€ VAR = σK(Sens) * Valore
€
di cui però non è noto il coefficiente (Sens).
Come già accennato in passato, il coefficiente di sensibilità delle obbligazioni è la duration
modificata (DM); si avrà dunque: (Sens) = DM.
Come noto dalla prima parte del corso, DM = D/(1 + i), e (come accennato, seppur
superficialmente, trattando il modello di Duration GAP nella prima parte del corso) in un titolo zero
coupon la duration (D) coincide con la vita residua poiché, essendo la duration un “frullato di
scadenza e cedola”, in assenza della cedola rimane solo la scadenza.
Si avrà dunque: (Sens) = DM = 3/(1 + 5%) = 2,857, da cui risulta:
VAR = 0,2% * 2,33 * (2,857) * 10 = 0,13 milioni di euro (€)
€
Il VAR su obbligazioni in valuta estera
Come già accennato, i fattori di rischio relativi ad un'obbligazione in valuta estera sono due: il tasso
di interesse (tasso di rendimento) dell'obbligazione ed il tasso di cambio.
Sarà dunque necessario calcolare il VAR relativo ad entrambi tali fattori, ottenendo due VAR per la
medesima posizione, e procedere poi all'aggregazione degli stessi tramite la medesima formula vista
in precedenza, che mette sotto radice la somma algebrica tra i quadrati dei singoli VAR ed il doppio
prodotto degli stessi con la correlazione tra i fattori (tasso di cambio e tasso d'interesse).
Particolare attenzione va posta, nell'ambito del ragionamento relativo all'aggregazione, riguardo la
scelta del segno da anteporre al “doppio prodotto”, poiché:
Il fattore di rischio “tasso d'interesse” agisce in maniera “inversa” (rispetto a quanto visto
• per azioni ed indici azionari), poiché “se i tassi salgono, i prezzi scendono, e viceversa”.
Il fattore di rischio “tasso di cambio” può creare confusione, poiché capita spesso di
• confondere le diverse convenzioni con cui è possibile esprimerlo.
Posto che sostanzialmente i tassi di cambio sono dei prezzi, e dunque esprimono il rapporto
tra un bene ed il suo prezzo, va detto che prima dell'introduzione dell'euro (€) era in vigore
una convenzione tale per cui la valuta domestica (le lire (£)) era considerata il prezzo, e la
valuta estera era considerata il bene (es. 1$ = 2000£ - “2000£ per dollaro”); da quando è
entrato in vigore l'euro, tuttavia, si è cambiata convenzione, ed il tasso di cambio è
generalmente espresso in modo tale per cui la valuta domestica sia considerata il bene e la
valuta estera il prezzo (1€ = 0,80$ - “0,8$ per euro”).
Parlando di tasso €/$ (letteralmente indicato come tasso EUR/USD) si intende dunque
generalmente il numero di dollari necessari per ottenere 1 €.
Nell'ambito di questo corso, tuttavia, utilizzeremo la vecchia convenzione, in vigore
all'epoca delle lire, intendendo per tasso €/$ il numero di euro necessari per ottenere un
dollaro.
Posto che l'utilizzo di una convenzione piuttosto che dell'altra porta ad un risultato che altro
non è che il reciproco di quello che si sarebbe ottenuto utilizzando la convenzione opposta,
e che comunque nell'ambito degli esercizi (e soprattutto dei temi d'esame) questa scelta
verrà sempre espressamente specificata, va detto che la motivazione della stessa (scelta)
riguarda il fatto che comunemente i prezzi sono espressi in euro (es. al bar, al supermercato,
in libreria, ecc.), e non esiste dunque alcun motivo valido perchè il prezzo delle valute
straniere non debba essere espresso in euro.
Utilizzando la nuova convenzione, un aumento del tasso di cambio corrisponderebbe alla
necessità di un maggior numero di dollari per comprare un euro, dunque, chi avesse una
posizione lunga su un'obbligazione in valuta estera perderebbe.
Al contrario, utilizzando la vecchia convenzione, che come detto sarà la norma di qui in
avanti, ad un aumento del tasso di cambio corrisponderebbe un guadagno.
[N.B.: Quella che è sta