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POESIA:
l’analogia, che mette in contatto diretto le parole fra di loro, sia a livello semantico (un significato si apre a
“squilla un vetro di volontà”, il vetro (e anche lo specchio, che non è altro che
un altro) sia a livello fonico.
un vetro), è un elemento che si ritrova spesso all’interno dei testi ermetici, e significa la separazione, o la
visione dell’oggetto da cui si è separati. Il vetro quindi separa e connette, ciò che separa o unisce riprende
quel rapporto individuato da Ungaretti, tra silenzio e parola, tra bianco della pagina e segno, ma che
connette i due elementi che vengono separati, così come la pausa rende possibile la comprensione del
discorso. Il vetro è rappresentato come un mezzo di connessione ed è una sinestesia (figura che connette
elementi di un discorso con elementi che non sono pertinenti al discorso). Il verbo squillare non è pertinente
significato è afferente al campo fonico, poco sembra pertinente all’ambito
al vetro, è una metafora, il primo
del vetro che dà un suono (bicchieri di cristallo). Nell’ambito della luminosità si inserisce un colore
squillante che , come il cristallo o la pietra, viene preceduto nella poesia dal rondinino, con le piume
verdacee come lo smeraldo, che si collega idealmente col vetro. Si passa così all’idea del cristallo e della
pietra, ripresa nel vetro di volontà che si esprime negli occhi della donna. Da questo passiamo alla relazione
il sostantivo “vetro”, che esprime la volontà ferma e dura, all’aggettivo “vitreo”, che può afferire alla
fra
qualificazione degli occhi della donna, indicandone da un lato la fissità, dall’altro, la sua tendenza verso la
meta della sua discesa. Il fondovalle chiasticamente conclude il rapporto col cielo, che aveva aperto il
discorso; è nel fondovalle che emerge la figura femminile, che è caratterizzata dalla sua volontà, dalla
fermezza del suo intento, e dalla pietà, che ne caratterizza e umanizza l’immagine. Proprio in quanto tale, è
desiderabile e contemporaneamente dà pace. Si mette la figura femminile in connessione col soggetto
parlante: la donna stabilisce un rapporto col tipo della donna angelicata stilnovista, immagine ripresa già da
Montale, la “Clizia” a cui si riferisce. Valenza finita, connette il soggetto poetico immerso nella realtà
fenomenica, alla realtà noumenica (Beatrice connette Dante alla realtà noumenica per esempio). Il rapporto
però è contrario, non c’è il rapporto fra cielo e terra, ma fra terra e inferi. Il ruolo della donna, nel
rovesciamento bigongiariano, è la connessione fra fenomeno e noumeno, quest’ultimo trovabile negli inferi
del mito orfico. Qui è la donna, non Orfeo, che scende agli inferi, e porta con sé il poeta, non c’è una
riproposizione del mito orfico esatta.
Il vetro è un elemento in comune con Montale, nella poesia “Forse un mattino andando in un aria di vetro,
limpida /d’improvviso girandomi/ vedrò avvenire il miracolo/ il nulla alle mie spalle/ poi come su uno
di gitto/ alberi, case, colli/per l’inganno consueto/ma io non dirò nulla e me ne
schermo/s’accamperanno
andrò/zitto/fra gli uomini che non si voltano/col mio segreto”
I versi montaliani presentano elementi importanti, che si connettono e non si connettono: la cosa che appare
importante è il concetto di realtà come inganno e come apparenza della realtà e concezione della stessa.
Ritorna il discorso di Bigongiari nell’intervista, quando parla del visibile e del reale. Il vero per Montale è il
dice di sostituire al nulla simbolista l’assenza della parola. Per Montale il nulla è
nulla, laddove Bigongiari
percepibile solo in rari momenti, nei disguidi del possibile, nell’ambito della possibilità che regolano la
nostra realtà, che fa sì che “il calcolo dei dadi più non torni”. Montale dice che girandosi coglierà per un
attimo il vero, cioè il nulla, poi quest’aria di vetro diventa uno schermo, come se lo schermo riproponga le
immagini dell’inconscio e del conscio. Le immagini sono apparenza, non sostanza, nel momento del
disguido il poeta vede l’inganno, capisce che la verità è il nulla. Montale però non dirà nulla, se ne andrà
perché esso è INCOMUNICABILE. Ungaretti invece facendo una lezione sull’
zitto, non rivelerà il nulla,
“Infinito” leopardiano mette in evidenza come Leopardi, per parlare dell’infinito deve limitarlo (colle,
siepe…), mettendo in evidenza anche l’aspetto ironico della sperimentazione leopardiana che per esprimere
l’indicibile deve avvalersi di ciò che è opposto ad esso. Il segreto, termine usato da Montale e da Ungaretti a
chiusura de “Il porto sepolto”. A Ungaretti dell’immersione nell’abisso resta la percezione del nulla, e
l’esperienza dell’immersione, del nulla e del segreto.
Tornando alla spiegazione di POESIA: “tu chiami…accestire” c’è un rapporto importante fra interlocutore e
autore, di separazione, la figura femminile è lontana, questa procede attraverso un percorso che sembra
sempre più distante, nella seconda strofa, il rapporto di separazione e connessione si caratterizza per essere
un procedimento in senso centrifugo. Si stabilisce un rapporto fra un soggetto e l’oggetto del proprio
poetico, ma dall’oggetto “Tu chiami”, perché è oggetto del
desiderio, che è innescato non dal soggetto
“Andremo insieme, col passo che è un lento accestire”
desiderio, questo è attraente. riprende il tema della
pavana, del muoversi verso fermandosi. L’azione è resa dall’immagine di tipo paesaggistico, dove sembra
esserci una meta, che è quella in cui si delinea uno spazio, che si allarga al fine della strada. Nella poesia
“Antares”, troviamo “s’apre uno spazio, e al lato degli uccelli notturni vi entrerai. Un pavone celeste si
addormenta”, lo spazio è la meta verso cui tendono il poeta e la donna, è lo spazio entro cui si può avere
accesso al silenzio, al nulla, a quella esperienza dell’assenza, che dà origine a ogni discorso nel linguaggio, la
manifestazione e motivazione della realtà. Valenza semantica del mito, lo spazio che si apre è come la porta
degli inferi, teniamo presente sempre il mito orfico. Va tenuto presente come nell’evoluzione del linguaggio
e della parola poetica, lo spazio sia quello che divide una parola dall’altra, il silenzio, la pausa, l’interruzione
“un’Ebe
che la rende possibile. (cioè tutto ciò che rappresenta) insazia cade ancora in cielo, sulle ginocchia
nuda vergognandosi” questi versi sono tra parentesi, come una didascalia, Ebe è la divinità coppiera degli
dèi, e dea della giovinezza, è figlia di Zeus e Hera, che cade verso il cielo, parola che apre la poesia, insazia
(termine che anticipa “ancora”) cioè piena dei desideri della gioventù. Ebe si vergogna perché è nuda,
diventando rossa come l’alba che torna dopo la notte (preannunciata dal tramonto), mostrando i colori che si
credevano perduti. La giovinezza è il tempo che ritorna, la figura di Ebe è prosecuzione della giovinezza, del
desiderio, della vita, è per questo che è insazia, un insieme di qualificazioni che, così come la pietà veniva a
correggere il rigore della donna, sottolinea l’incedere della donna, il cui andare verso la notte è compensato
dall’alba della giovinezza, che da una parte ne attenua la negatività, dall’altra ne mette in evidenza il ciclo di
ritorno. Bigongiari ritiene che nel procedere di un discorso ritornano le apparenze della realtà. La didascalia
è una dichiarazione di poetica, il rapporto che connette il contenuto poetico con la riflessione sul linguaggio.
La figura femminile, quindi, va verso la morte, ma il ciclo rigenerativo la riporterà alla giovinezza.
Bigongiari come rovescia il mito di Orfeo, rovescia quello di Ebe, perché lei deve saziare la sete degli dèi,
mentre qua è lei ad essere insazia, mentre dall’altra parte ogni parola apre a possibili interpretazioni.
Attraverso l’aggettivo insazia, e la pulsione ottativa, si anticipa ciò che teoricamente viene espresso da Bart
nel 1970 in “frammenti di un discorso amoroso”, che collega chi scrive il proprio testo e il lettore.
–
MEMORIA MISERA E SVENTURATA: entrambe vedono stabilirsi un rapporto fra la memoria e la
pronuncia di un nome. La funzione delle parentetiche delle poesie già analizzate, in queste si stabilisce un
rapporto tra il dato di fatto fenomenico e il dato di fatto fenomenico e noumenico, cioè fra la stria e il mito.
Il mito ritorna sempre uguale a sé stesso nella ritualità della sua ripetizione.
DODICESIMA LEZIONE: 30/03/2015
Vacanze di Pasqua: Giovedì 2- Martedì 7, riprendiamo Mercoledì 8. “La
MEMORIA: Non dobbiamo dare per scontato che chi scrive sia il soggetto della poesia. più feminea
mano” qualità del femminile, non importa se la mano è di un uomo o di una donna, il senso è la delicatezza
del gesto. Testo fra i più surreali della raccolta, non ci sono referenze geografiche, ha la caratteristica di
passaggio. Tutto quello che appare nel testo, ogni elemento del testo non è osservato e nominato nella sua
essenza presente, ma nel transito, nella metamorfosi verso un altro termine. Ciò è determinato fin dall’inizio
caratteristica temporale all’interno della quale si situa il componimento stesso, che è il momento di
dalla
passaggio fra il tramonto e la notte, il crepuscolo. Questo momento di passaggio che viene indicato da due
elementi: la porpora, valenza cromatica e termica (intiepidisce, riesce a scaldare nonostante il tramonto).
“Diana è senza memoria” sia Dea della caccia (in riferimento al capriolo) sia Luna. La logica del discorso è
diversa da quella colloquiale. E’ senza memoria perché è
strettissima, anche se così un personaggio mitico, è
fuori dalla storia. “Andiamo…mano”: in questa situazione, quasi di sfondo, descrive una particolare
atmosfera, dove si situa l’intento che dà il senso al testo stesso, cioè il procedere verso qualcosa. Questo
andare non è solo proprio delle donna, ma anche del poeta che la segue, in un procedimento che è di
movimento ed attraversamento che avevamo già trovato, e che costituisce la dinam