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CAPITOLO SETTIMO
Nell’autunno 1786 Goethe decise di ricercare la pace necessaria alla sua attività creatrice recandosi in Italia, paese dal glorioso
passato e ricco di testimonianze culturali. I due anni trascorsi soprattutto a Roma, indussero il poeta a porre nuovamente al centro
della propria vita la creatività artistica. Egli tornò a dedicarsi ai manoscritti dei suoi drammi: traspose in versi l’Ifigenia e lavorò al Faust.
Goethe conferisce un nuovo senso al conflitto drammatico. La tragedia in Euripide era impostata sul sentimento di superiorità che i
greci nutrivano nei confronti dei barbari e la risoluzione avveniva grazie all’intervento del mito nella figura della dea Atena. L’Ifigenia di
Goethe, invece, è stato definito il dramma della libertà umana: i protagonisti superano i pregiudizi e trasgrediscono i precetti religiosi
del mondo antico, offrendo importanti esempi attraverso le loro decisioni di carattere morale. Ifigenia salva suo fratello Oreste non con
l’inganno ma grazie a un esemplare comportamento etico. Così facendo, l’autore sostituisce alla sfera mitica quella psicologica.
Il classicismo di Goethe e in seguito quello di Schiller rappresenta una delle tendenze stilistiche perseguite dai due autori durante la
fase artistica definita “classicismo di weimar”. Classicista e classico non sono sinonimi: il primo è un concetto riguardante l’ambito
stilistico, che designa i procedimenti adottati all’interno di un sistema letterario; il secondo è un attributo conferito a una fase importante
della letteratura e cultura tedesca. Il classicismo tedesco rappresenta una letteratura per la quale l’autonomia dell’arte è considerata da
un lato come il segno della dignità e dell’autoconsapevolezza dell’autore e dall’altro come il simbolo della sua debolezza. Alcuni
intellettuali capirono che questa cultura, priva di un sostegno sufficiente da parte della borghesia, correva il rischio di restare tagliata
fuori o di scivolare verso il provincialismo. Lo sturm und drang andò in crisi presto. Il neoclassicismo weimariano si configura allora
come un tentativo di liberare la poesia dell’epoca dagli elementi localistici, per favorire un’espressione valida sul piano universale. Sia
Goethe che Schiller erano convinti che l’antichità classica offrisse questo modello di cultura universale, ritenendo esemplare
soprattutto la civiltà della polis greca: la loro concezione poeto logica è contraddistinta da un’angoscia per il passato classico, per
quella armonia tra spirito e corpo che caratterizzava l’antichità greca. Goethe inoltre condivideva con Schiller l’opinione che una cultura
orientata verso il cosmopolitismo piuttosto che verso l’identità nazionale, avrebbe rimediato alle mancanze di una Germania arretrata
sul piano politico e sviluppata solo in parte su quello economico. Il Germania il classicismo borghese rimase indifferente sul piano
politico. Sebbene nella prima fase molti intellettuali erano entusiasti della rivoluzione francese, tra loro dominava l’opinione che quanto
stava accadendo in Francia non fosse applicabile alla realtà tedesca. Anche Goethe nutriva dubbi in merito alla rivoluzione e
all’adozione di misure politiche radicali. Egli condivideva con Schiller una cultura orientata verso il cosmopolitismo piuttosto che verso
l’identità nazionale e consigliò ai tedeschi di coltivare la natura umana, visto la desiderata unità politica e nazionale non era stata
raggiunta. Dal punto di vista stilistico la tendenza generale si manifesta nelle opere di Goethe degli anni 90: il verso sostituisce la
prosa, il poema epico viene preferito al romanzo e la lirica si adegua ai modelli classici. Il soggiorno in Italia di Goethe è allora
rappresentato in tutta la sua ricchezza nella produzione lirica nelle elegie romane. Dal punto di vista tematico, si addice di più il titolo
iniziale “erotica romana”, poiché si riferisce meglio al motivo centrale dei componimenti, cioè l’esperienza erotica considerata sotto
l’aspetto passionale. Il manoscritto però trovò la disapprovazione di alcuni critici, così Goethe preferì eliminare alcune elegie in cui si
celebra la passionalità. Personaggi diversi sono presenti nell’unica opera in prosa di questo periodo, il romanzo “Wilhelm Meister, gli
anni dell’apprendistato”; la trama riguarda un giovane borghese che viene afferrato dalla passione per il teatro. Il processo di
maturazione del giovane però segue un percorso che non termina con lo sviluppo delle sue facoltà artistiche. Si narra la maturazione
graduale di una personalità nei diversi campi della vita nel momento in cui viene a contatto con i valori della società; negli ultimi anni di
vita, Goethe diede un seguito alla sua opera per completare il suo percorso di vita del suo eroe per condurlo alla meta, cioè a
impegnarsi per il bene della comunità. L’amicizia e la collaborazione letteraria tra Goethe e Schiller testimonia un sistematico scambio
di riflessioni poetiche. Schiller fu attratto dalle questioni filosofiche e poeto logiche: i suoi trattati sono molto importanti; il suo idealismo
è ad esempio riconoscibile nella concezione del conflitto tragico che per Schiller si fonda sulla libertà dello spirito umano, unico
elemento non sottomesso al determinismo. L’eroe tragico non deve ma vuole. La scissione tra spirito e corpo è tipica della concezione
tragica della vita: la visione dell’uomo completo, non limitato da interessi parziali e da bisogni di ordine pratico, può attuarsi solo tramite
una libertà di tipo estetico: l’uomo sviluppa tutte le sue possibilità se lavora in libertà, se non è vincolato a uno scopo specifico. Schiller
riconduce il rapporto estetico con la totalità della vita a due concetti: il poeta ingenuo, che accetta l’unità della natura e la rappresenta
senza distacco critico, e il poeta sentimentale che invece si accosta alla realtà con attenzione, perché prende le mosse da concezioni
ideali. In tutti i trattati Schiller sostiene che la letteratura è una creazione autonoma dello spirito umano, alla cui base stanno leggi e
tradizioni proprie, di conseguenza non si possono applicare meccanicamente forme e modi secondo cui si attua la realtà concreta. Le
poesie che Schiller compose in questo periodo vengono definite filosofia in versi perché in esse le idee esposte nei trattati d’estetica
vengono espresse in un linguaggio in cui il concetto si trasforma in immagini e in rimandi alla mitologia antica. Negli ultimi anni di vita,
Schiller scrisse una serie di opere drammatiche che costituirono l’apice della sua produzione; dal punto di vista tematico, lo affascinò il
problema della personalità storica. Aprì la serie dei drammi “Wallenstein”, articolata in tre parti; nella prima, si illustra la personalità del
condottiero imperiale durante la guerra dei 30 anni; nella seconda e terza parte, incentrate sul conflitto dei personaggi principali, c’è un
crescente drammatico. Il prologo è una raffigurazione dell’esercito accampato, un tentativo di tratteggiare la figura principale sulla base
del rispecchiamento nella coscienza collettiva; con lo sviluppo dell’azione drammatica, si restringe il campo visivo finchè al termine
resta solo il destino personale di Wallenstein.
Uno dei meriti di Schiller è quello di aver spronato Goethe a continuare il lavoro al Faust. Dopo 18 anni dall’Urfaust (1790), fu
pubblicato il capolavoro del poeta, che lo impegnò fin dalla giovinezza: infatti nella stesura finale si possono rinvenire le tracce delle
trasformazioni di pensiero e di stile del poeta. Il personaggio che Goethe costruisce è una figura astratta e concreta al tempo stesso;
Faust non è una figura impersonale, anzi è impermeata da numerosi elementi storici. Goethe fu attratto dalla narrazione sul ciarlatano
vissuto nel 1500, un’epoca gravata da forme di superstizione medievale ma anche un’età di rivolgimenti. Anche i luoghi in cui si
svolgono alcune scene presentano caratteristiche storiche reali, come le immagini di strada o quelle di vita cittadina. L’avventura di
Faust e la tragedia di Gretchen formano il nucleo della prima stesura dell’opera (Urfaust). Il motivo della fanciulla sedotta e infanticida
impressionava Goethe perché, oltre ad essere attuale, nascondeva un significato profondo, mettendo in evidenza la morale falsa dei
rapporti interpersonali. Il suo destino mostra che soddisfare la propria felicità personale è contrario alle rigide convenzioni sociali: alla
fanciulla rimasta incinta, senza prospettive di matrimonio, non resta che un atto disperato che la condurrà al patibolo. La forza motrice
dell’azione è rappresentata dall’incontro tra Faust e Mefistofele: l’opera diventa un lungo dialogo tra i due antagonisti, in cui opinioni e
conoscenze divergono o convergono. Goethe attribuisce a Mefistofele le sembianze del diavolo, tipiche della superstizione medievale.
Mefistofele stringe un patto con Faust: quest’ultimo, erudito deluso per aver fallito nei tentativi di conoscere l’essenza della vita, accetta
l’accordo con cui gli viene promessa la realizzazione di tutti i suoi desideri e piaceri terreni. Per Faust non si tratta di godimenti
transitori, bensì si parla di Streben, dell’infinito tendere verso la conoscenza, verso la scoperta di nuove possibilità. Mefistofele lo aiuta
proprio in questa ricerca; sotto la sua guida, Faust conoscerà i lati della vita che il suo accompagnatore gli proporrà. Nei momenti
decisivi Faust resta fedele a sé stesso: quando Mefistofele gli offre di conoscere il lato animalesco della vita, Faust scopre la profondità
dei sentimenti. La parte seconda del Faust è invece incentrata sulla conoscenza dei processi sociali. Goethe si allontana dalla
concezione usuale di tragedia, discostandosi anche dalla struttura drammatica convenzionale. I singoli episodi sono organizzati
secondo una libertà artistica che lede l’unità formale. Le avventure di Faust e Mefistofele vengono elencate in una sequenza di scene
allegoriche: l’incontro con il mondo della politica e della finanza alla corte imperiale, il turbinio di figure mitologiche, l’episodio di Elena,
incarnazione della bellezza femminile, e poi l’ultima esaltazione di Faust, che nelle vesti di colonizzatore di terre ancora inesistenti,
percepisce la gioia di una collettività umana libera; nel momento della visione, però, Faust muore e Mefistofele pensa di aver vinto la
scommessa. In realtà, l’opera di conclude con la salvazione di Faust.
Gli ultimi decenni di vita, il poeta li dedicò a guardarsi indietro. I ricordi dell’infanzia, della giovinezza fino alla partenza per Weimar
furono confluiti nella