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Estratto del documento

Era originario di una famiglia modesta di Venosa, che in seguito si trasferirà a Roma. Studiò con il

grammatico Orbilio e poi si recò in Grecia ad approfondire la sua preparazione filosofica finché, attratto

dalla libertas, si arruolò nell’armata di Bruto. Dopo la sconfitta di Filippi poté tornare a Roma grazie ad

un’amnistia, ma il suo fondo era stato sequestrato e dovette lavorare come scriba quaestorius per

guadagnarsi da vivere. Nel 38, Virgilio e Vario lo presentano a Mecenate, che lo accolse nel suo circolo e

qualche anno dopo gli donò un podere nella campagna sabina. Si avvicinò molto anche ad Augusto, ma

declinò l’offerta di diventare suo segretario personale.

Gli Epodi

Sono 17 componimenti scritti tra il 41 e il 30, in distici (epodo indica il verso più corto di un distico).

Costituiscono la fase giovanile della sua attività poetica, a cui è mosso dalla povertà dopo Filippi

(“paupertas impulit audax ut versus facerem”). Ciò comporta toni molto spesso polemici, carichi e violenti,

diversi dall’ideale di buon gusto e affabilità tipici della maturità del poeta. In ogni caso, questi toni sono

dovuti anche ai modelli di Orazio, che dichiara esplicitamente di rifarsi ad Archiloco: dice di aver mutuato i

metri (numeri) e l’aggressività (animi), ma non i contenuti (res): l’aggressività di Orazio, infatti, non può

rivolgersi che contro bersagli minori e fittizi (usuraio, arricchito, fattucchiera, vecchia), a causa della sua

situazione economica e politica. Le motivazioni del rancore spesso non sono esplicitate, pertanto tendono a

suonare un po’ a vuoto e a risultare artificiose.

Le Satire

Un primo libro di 10 componimenti viene pubblicato forse nel 35, mentre un secondo di 8 viene pubblicato

nel 30 contemporaneamente agli Epodi. Gli argomenti sono vari: letterario-programmatico, indulgenza

verso i difetti, diario di viaggio, riflessioni sociali, battibecchi, mimi, teorie gastronomiche.

Secondo Quintiliano, la Satira è un genere completamente romano. Infatti anche Orazio indica Lucilio come

suo predecessore, e lo ricollega ai poeti della commedia greca antica Eupoli, Cratino e Aristofane. Nella sua

coscienza letteraria, Orazio indicava la sua satira come luciliana per l’aggressività e l’autobiografia, ma

critica la sciatteria stilistica del suo predecessore. Orazio cerca anche di utilizzare l’aggressività come mezzo

per una ricerca morale: c’è esigenza di analizzare i vizi mediante l’osservazione critica e la rappresentazione

comica. Mentre “insegna”, “impara”: guarda e analizza i vizi delle persone che più gli sono vicine nella

quotidianità, avendo come obiettivo l’autarkeia e la metriotes: ci sono satire contro adulterio e lusso, ed

altre che affrontano i temi dell’amicizia e dell’affinità secondo gli ideali epicurei. Nel secondo libro di satire

si riduce la componente autobiografica e spesso le riflessioni sono messe in bocca agli interlocutori del

poeta o a personaggi completamente estranei.

Per Orazio la satira non è vera poesia, perché non è caratterizzata da ispirazione divina. Si distingue dalla

prosa solo per il vincolo del metro in esametri. In realtà la sua musa pedestris richiede una cura raffinata:

mira puntigliosamente a una lingua disciplinata e semplice, che si adatti bene alle caratteristiche di mobilità

e varietà dei contenuti.

Le Odi

Una prima raccolta di tre libri venne pubblicata nel 23, mentre un quarto libro venne aggiunto una decina di

anni più tardi in cui rientra il Carmen Saeculare composto su incarico di Augusto in occasione dei ludi

saeculares.

Orazio dichiara esplicitamente di rifarsi ad Alceo, ma ciò non presuppone un’imitazione pedissequa: si

comporta liberamente nei confronti del modello e nonostante i temi e le occasioni spesso tradizionali non

manca mai una sensibilità spiccatamente romana. Spesso inizia riprendendo palesemente una citazione

greca, ma poi il carme si sviluppa in maniera sua propria. Altri modelli, ma meno apprezzati, sono Saffo e gli

esponenti della lirica corale come Stesicoro, Bacchilide e Pindaro, imitando il quale Orazio dichiara di essere

consapevole di esporsi ad un grande rischio. La lirica pindarica si sviluppa soprattutto nel IV libro, nelle

cosiddette odi romane, dove Orazio sembra ricercare il sublime attraverso periodi ampi, impetuosi e

solenni. La scelta di richiamarsi alla lirica arcaica esprimeva la volontà di distinguersi dall’alessandrinismo

dei neoteroi.

Nelle Odi si consolida l’immagine di Orazio come poeta dell’equilibrio sereno e del distacco dalle passioni,

per cui la meditazione e la cultura filosofica hanno un’importanza fondamentale. Il punto centrale è la

consapevolezza della brevità della vita, che comporta la necessità di appropriarsi delle gioie del momento

senza perdersi in speranze e paure.

Il vocabolario è molto semplice e lascia spazio anche a parole sentite come prosastiche da altri autori.

L’elevatezza dignitosa dello stile è ottenuta con una riduzione dei mezzi espressivi e con una dizione libera

da ogni ridondanza. Orazio primeggia nell’arte della iunctura, cioè nel saper accostare termini semplici in

maniera inedita in modo da colorirli di nuovi significati.

Le Epistole

Il I libro è stato pubblicato nel 20 ed è composto da 20 componimenti in esametri. Il II libro forse è stato

pubblicato postumo e contiene due lunghe epistole di argomento letterario: in questo libro molti fanno

rientrare l’epistola ai Pisoni, detta Ars Poetica.

Le Epistole si distinguono dalle Satire perché ogni epistola ha un suo destinatario ben precisato, anche se

sono logicamente una finzione letteraria. Dal punto di vista formale erano una novità, perché mai prima

d’ora si aveva avuta una raccolta sistematica di lettere in versi. Inoltre, nelle Epistole manca l’aggressività

comica che era la marca evidente del genere satirico. Sembra venir meno l’ottimismo etico: Orazio pare

fuggire da Roma e raccogliersi nella campagna, allontanandosi inquietamente da impegni e sollecitazioni

nei confronti delle quali il poeta si sente indifeso. Tuttavia, quest’autarchia non gli garantisce la felicità:

sembra oscillare tra un rigore morale che lo attrae ma lo spaventa e un edonismo di cui avverte concretezza

e fragilità, c’è un’insoddisfazione di fondo.

L’ELEGIA: TIBULLO E PROPERZIO

L’elegia

A Roma si caratterizza soprattutto come poesia d’amore, dai tratti marcatamente soggettivi. I canoni

romani indicano come maggiori poeti elegiaci Tibullo, Properzio, Gallo e Ovidio. Jacoby sostiene che l’elegia

latina sia un ampliamento e sviluppo dell’epigramma greco, dal quale avrebbe ricavato il carattere

soggettivo. Pur trattando elementi autobiografici, tende ad inquadrare le singole esperienze in formule e

situazioni tipiche, secondo modalità ricorrenti. Si può parlare di un universo elegiaco con ruoli e

comportamenti convenzionali all’interno dei quali il poeta si muove con le sue esperienze autobiografiche,

che riguardano in primis l’amore, come scelta di vita che rivendica orgogliosamente. Il poeta si pone come

schiavo nei confronti della donna amata, spesso inflessibile e spietata, e si dedica completamente a questa

passione devastante, abbandonandosi a una voluttà della sofferenza. Le amarezze e le delusioni lo portano

a proiettare la propria vicenda nel mito, paragonandosi ai grandi amori eroici. Pratica una vita di nequitia,

in quanto l’amore assorbe completamente tutto il suo essere non lasciando spazio ai suoi doveri di

cittadino. La poesia elegiaca ha un grande debito nei confronti di Catullo, con cui condivide la rivoluzione

del gusto letterario, la rivalorizzazione dell’otium e la centralità degli affetti privati.

Tibullo (50?-29?)

Non abbiamo grandi informazioni sulla sua vita: il punto centrale è la sua amicizia con Messalla Corvino,

nobile uomo politico che conservò una posizione di prestigio nel regime augusteo. Lo seguì in alcune

spedizioni militari, per esempio in Aquitania. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nella campagna del

Lazio, dove Orazio lo descrive come appartato e malinconico.

L’antichità ci ha trasmesso una raccolta eterogenea di elegie, il cosiddetto Corpus Tibullianum in quattro

libri, di cui solo i primi due possono essere a lui attribuiti con certezza. Dovrebbero essere suoi anche gli

ultimi due componimenti del quarto libro e i cinque riguardanti l’amore di Sulpicia, nipote di Messalla.

Il primo libro è dominato dalla figura di Delia, donna capricciosa e amante del lusso, con cui il poeta

intraprende una relazione sempre insediata dai rischi del tradimento. Alle elegie per Delia si alternano

quelle per il giovinetto Marato, venate di ironia. Nel secondo libro compare invece Nemesi, la donna che

sostituisce Delia nel cuore del poeta. Fanno da contorno dei componimenti per compleanni degli amici e

una celebra della nomina di Messalino, figlio di Messalla, nel collegio dei quindecemviri.

Tibullo è ricordato come il poeta dei campi e della vita agreste, mondo idilliaco dove il poeta si rifugia dalle

sue delusioni amorose. Il mondo del mito è assente, e la sua funzione consolatoria è assolta dal mondo

agreste. Nell’opera di Tibullo si ritrovano frequenti richiami agli Alessandrini, anche se non si ritrovano

tracce di quella erudizione sottile esibita da essi. Il suo stile semplice è frutto ricercato di una laboriosa

scelta artistica, ed è segno visibile di una fiducia espressiva attribuita alle parole stesse che non necessitano

di intensificazioni patetiche.

Nel Corpus Tibullianum rientrano sei componimenti dedicati ad una donna di nome Neera, opera di un

poeta che si denomina Ligdamo ma non si riesce ad identificare con precisione, di sicuro è un poeta della

cerchia di Messalla, forse è il giovane Ovidio. Ci sono poi le elegie di Sulpicia: i primi cinque sono attribuibili

a Tibullo, gli altri sono forse dei bigliettini d’amore di Sulpicia stessa.

Properzio (Umbria 49?-16?)

Nasce in Umbria da famiglia benestante che subisce confische a seguito della guerra di Perugia. Si

trasferisce a Roma dove si inserisce nei circoli mondano-letterali e si lega a una donna il cui pseudonimo è

Cinzia (secondo Apuleio il vero nome era Hostia).

Possediamo 4 libri di elegie, di cui il primo è noto anche come Monòbiblos ed è incentrato sulla figura di

Cinzia, fu pubblicato nel 28. In questo canzoniere Properzio si presenta come schiavo d’amore di Cinzia, alla

quale si sottomette offrendole il suo servitium: l’amore è l’unica esperienza di vita e tutto è dedicato ad

essa.

Il secondo e il terzo libro furono pubblicati 5-6 anni più

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
9 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher atychifobia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Delvigo Maria.