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LA LIRICA DEI POETAE NOVI

Per "lirica" si intende una forma di poesia che è espressione di sentimenti, pensieri e gusti

personali dell'autore, destinata soltanto alla lettura, a differenza della lirica greca che, invece, era

indirizzata a un'esecuzione orale con l'accompagnamento musicale della lira, della cetra o del

flauto. La lirica presenta alcune costanti che si ritroveranno anche nella modernità:

la struttura metrica, riconducibile al distico elegiaco (esametro + pentametro);

la veste formale particolarmente curata e ricca di figure retoriche;

l'arte allusiva, intesa come la capacità di elaborare il testo con riferimenti dotti, citazioni più

o meno occulte tratte dai predecessori, imitazioni dei testi presi a modello, ecc., tanto che il

testo lirico risulta irrobustito dallo spessore della cultura;

il paesaggio lirico, per cui l'ambientazione naturale non viene intesa come una descrizione

fine a sé stessa, ma come la scenografia per uno stato d'animo;

il carattere personale e soggettivo dei contenuti; ma, a differenza del poeta lirico moderno,

quello antico non parla soltanto di sé e di quello che gli sta a cuore, ma allarga la propria

esperienza all'uomo in generale, affermando un complesso di valori condivisi dal suo

uditorio; ecco perché, quando il poeta dice "io", non si deve necessariamente pensare all'io

dell'autore, poiché l'io di colui che parla può appartenere anche a un personaggio a cui

l'autore cede la parola per esprimere pensieri e idee collettive.

Il primo attestarsi della lirica latina si può datare tra il 70 e il 40 a.C. circa; essa si affermò come

riflesso del clima socio-politico disastroso del tempo e fu una produzione poetica di carattere più

leggero ed evasivo, all'insegna del soggettivismo, della raffinatezza del gusto e dello

sperimentalismo linguistico; il destinatario dell'opera non era più l'intero corpo civico ma una

ristretta cerchia di amici, accomunati dall'affinità di un gusto aristocratico e raffinato che trovava

nella lirica il genere meglio disposto a interpretare il nuovo stile di vita.

Questo gruppo di amici era costituito dai cosiddetti poetae novi o neoterici, denominazione data

polemicamente da Cicerone per il gusto ellenizzante e aristocratico che essi possedevano e per il

loro atteggiamento da innovatori e anticonformisti; il tono della loro poesia, infatti, era spesso

scherzoso e lieve ed è per questo che i loro componimenti, per quanto raffinati e preziosi nella

forma, venivano chiamati nugae, "sciocchezze", "cosucce", "cose di poco conto"; i loro versi

evitavano i grandi temi tradizionali del genere epico e drammatico e non amavano trattare

argomenti di carattere politico e sociale, ma si volgevano soprattutto alla sfera personale e

avevano come tema centrale l'amore.

Modello ispiratore del neoterismo era Callimaco, la cui opera affermava:

la brevitas: componimenti molto brevi;

• il labor limae: componimenti molto ricercati e raffinati stilisticamente;

• la doctrina: riferimenti molto ricercati sia dal punto di vista mitografico che geografico.

- CATULLO

Tra gli appartenenti al gruppo dei poetae novi si può includere primo fra tutti il veronese Catullo.

Nato da famiglia agiata, per perfezionare i propri studi Catullo si recò a Roma, dove incontrò e si

innamorò di Lesbia, pseudonimo che egli utilizza per riferirsi a Clodia, una donna dai costumi

emancipati, in quel tempo sposata con il console Quinto Metello Celere; la loro relazione terminò

quando Catullo fece ritorno a Verona per la morte del fratello.

L'opera catulliana contiene 116 carmi ed è probabile che essa sia stata ordinata e pubblicata

postuma da altri (forse da Cornelio Nepote). Essa è divisa in tre parti secondo un ordine

sostanzialmente metrico:

1. nugae (1-60) di vario metro: si tratta di carmi di breve respiro, di contenuto vario, come

l'amore per Lesbia e il rapporto con la cerchia di conoscenti a cui Catullo è legato da vincoli

di amicizia o da interessi polemici;

2. carmina docta (61-68) di vario metro: si tratta di carmi caratterizzati da un forte impegno

letterario che si riscontra nella maggiore estensione, nella forte ambizione stilistica e

nell'inserimento di tematiche complesse;

3. epigrammata (69-116) in distici elegiaci: si tratta di carmi che ripropongono le situazioni

delle nugae, prima fra tutte la storia d'amore con Lesbia.

In Catullo l'amore è concepito come esperienza totalizzante in grado di assorbire tutta la vita

dell'uomo, come passione devastante inconcepibile dal punto di vista logico, che nello stesso

tempo recupera le virtù della fides ("fedeltà"), della pietas ("rispetto") e della castitas ("purezza"),

tanto da essere concepito come un patto coniugale. La sua poesia, quindi, è una libera

manifestazione e comunicazione del proprio sentire, priva di fini morali o civili.

Per quanto concerne la lingua, Catullo utilizzava svariati registri espressivi, che spaziavano dalla

lingua colloquiale e familiare (sermo humilis), ricca di diminutivi e di espressioni di uso quotidiano

finalizzati a rendere la tenerezza del linguaggio amoroso o a ironizzare nei confronti di amici e

rivali, a quella dotta (lepos), ricca di arcaismi, grecismi, neologismi utili per conferire al testo una

patina di letterarietà; la compresenza dei due fa sì che Catullo possa essere considerato l'iniziatore

del sermo liricus, ovvero uno stile che si trova a metà fra l'altezza dello stile epico e la bassezza

dello stile arcaico.

L'ORATORIA E LA RETORICA: RETHORICA AD HERENNIUM E CICERONE

L'oratoria è la produzione di discorsi scritti o orali da parte di uno specialista del genere, il quale

poteva essere anche una persona diversa da colui che avrebbe pronunciato l'orazione; la retorica,

invece, indica l'arte del parlare e dello scrivere bene attraverso particolari figure retoriche, citazioni

ed esempi dotti.

Per quanto riguarda l'oratoria, gli oratori non scrivevano per esteso tutta l'orazione che dovevano

pronunciare, ma preparavano il loro intervento a memoria, stendendo appunti e schemi dei nodi

più significativi; soltanto dopo aver pronunciato l'orazione, l'oratore passava alla redazione scritta,

che poteva essere di tipo:

giudiziario (genus iudiciale): si usa nei tribunali durante i processi e il suo fine è accusare o

• difendere secondo il criterio del giusto;

deliberativo (genus deliberativum): si usa quando si deve parlare davanti a un'assemblea

• politica, quando cioè si deve consigliare i membri della comunità secondo il criterio

dell'utile;

epidittico (genus demonstrativum): si usa quando si deve tenere un elogio di qualcuno o

• comunque si deve parlare davanti a un pubblico.

Per quanto riguarda invece la retorica, intorno agli anni 86-82 a.C. vide la luce uno scritto anonimo,

intitolato Rhetorica ad Herennium, che costituisce il più antico trattato in lingua latina a riguardo.

Esso canonizza la suddivisione della retorica in cinque parti

:

1. inventio: ricerca delle idee e degli argomenti per svolgere la tesi prefissata;

2. dispositio: organizzazione degli argomenti e degli ornamenti del discorso in modo ordinato

e coerente;

3. elocutio: scelta di un lessico appropriato e di artifici retorici;

4. memoria: memorizzazione del discorso utile per ricordare le posizioni avversarie e

controbatterle (i testi, infatti, non venivano letti);

5. pronuntiatio: declamazione del discorso modulando la voce e ricorrendo alla gestualità.

La Rhetorica ad Herennium dedica anche un intero libro alla teoria dei tre stili, sintetizzata nella

Rota Virgilii, che consiste nella distinzione in:

1. stile umile (humilis): è il più basso dei tre stili e le sue caratteristiche sono l'adozione di

termini ed espressioni del linguaggio comune e lo scarso grado di ornamentazione; esso,

infatti, si addice a temi quotidiani e realistici e si propone soltanto di informare (docēre);

2. medio (mediŏcris): si propone essenzialmente di suscitare piacere (delectāre) ed è perciò

gradevolmente ornato, senza però raggiungere il grado di elaborazione artistica propria

dello stile sublime; esso si addice ad argomenti di media importanza sui quali il lettore può

essere intrattenuto con piacere;

3. sublime/grave (gravis): è il più elevato dei tre stili e si propone di suscitare forti emozioni

nell'ascoltatore (ammirazione, stupore, indignazione, pietà, ecc.) (movēre / flectĕre); è

caratterizzato da un alto grado di ornamentazione attraverso l'uso di numerose figure

retoriche e si addice esclusivamente ad argomenti elevati.

Questa distinzione viene messa in rapporto anche con il livello sociale dei personaggi e con i nomi

propri, gli animali, gli strumenti, la residenza e le piante che a loro si possono attribuire.

La Rota Virgilii ha come punto di riferimento le Bucoliche, le Georgiche e l'Eneide di Virgilio: esse,

infatti, vengono assunte come modelli dei generi in cui si realizzano i tre stili, essendo dedicati il

primo alla pastorizia, il secondo all'agricoltura e il terzo alla fondazione di Roma da parte dell'eroe

troiano Enea.

Questa distinzione sarà valida fino a tutto il Medioevo, ovvero fino a quando la letteratura cristiana

giungerà a teorizzare la mescolanza degli stili sul modello della Sacra Scrittura, che aveva saputo

esprimere la più sublime verità di fede con il linguaggio umile dei pescatori.

Inoltre, la Rhetorica ad Herennium parla anche delle figure retoriche, e le più importanti da

ricordare sono:

1. figure di suono:

allitterazione: consiste nella ripetizione di suoni vocalici o consonantici uguali (es. fruscio

che fan le foglie);

assonanza: consiste nella ripetizione di suoni vocalici uguali a partire dalla vocale

accentata (es. io son come lòro / in perpetuo vòlo / la vita sfiòro);

consonanza: consiste nella ripetizione di suoni consonantici uguali a partire dalla vocale

accentata (es. Com'è tutta la vita e il suo travàglio / in questo seguitare una muràglia / che

ha in cima cocci aguzzi di bottìglia);

onomatopea: consiste nell'imitazione di un rumore (es. tin tin, tac tac).

2. figure di parola:

iperbato: consiste nell'alterazione dell'ordine consueto della frase (es. O belle a gli occhi

miei tende latine);

anafora: consiste nel ripetere una parola o un'espressione all'inizio di due o più versi

successivi (es. Sei ne la terra fredda, / sei ne la terra negra);

geminatio: consiste nel ripetere una parola o un'espressione al centro di uno stesso verso

(es. La neve fiocca lenta, lenta, lenta);

epifora: consiste nel ripetere u

Dettagli
Publisher
A.A. 2007-2008
16 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Tonnina di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Cavarzere Alberto.