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DUENOS MED FECED EN MANOM EINOM DUENOI NE MED MALO STATOD
Iurat deos qui me mittit nisi in te comis virgo sit.
[-----]
At te nisi Toteria pacari vis.
[----------]
Bonus me fecit in bono. Ne me malo stato.
Chi mi manda giura per gli dèi che nessuna vergine ti sia compagna.
Se non vuoi essere soddisfatto per opera di Toteria.
Un abile artigiano mi ha fatto per un uso buono. Non usarmi per un fine cattivo.
- "Tutera" o "Toteria", nome della committente
Toitesiai: per molto tempo si è pensato che fosse un nome proprio, indicante l'artigiano che
Duenos:
- aveva fabbricato il vaso, secondo la tradizione tipica degli "oggetti parlanti"; di recente, invece,
si è individuata in la forma arcaica di che quindi indicherebbe la qualità abile di
duenos bonus,
chi ha costruito l'oggetto
Il Vaso di Dueno può essere equiparato a quelle lamine di piombo attestate dal IV secolo a.C.,
dette o si trattava di testi di contenuto magico, spesso
tabellae defixiones tabellae defixionum:
contenenti maledizioni agonistiche o amorose o politiche o giudiziarie, arrotolate e poi infilate
nella tomba del defunto come malocchio, affinché potessero giungere agli dei degli Inferi dai
quali ci si aspettava la realizzazione delle richieste formulate.
- Lapis Satricanus
Il è una base di sostegno per quello che doveva essere un dono votivo al
Lapis Satricanus
tempio di rinvenuta a vicino a Latina, nel 1977 e datata alla fine del V
Mater Matuta, Satricum,
secolo a.C.
Sulla sua superficie sono incise due righe di andamento destrorso, che contengono una dedica
al dio Marte da parte dei compagni di Publio Valerio Publicola, il quale fu console romano
insieme a Lucio Giunio Bruto nel 509 a.C., fondatore della e promotore di una serie
Res Publica
di leggi a sfondo democratico:
[-------]IEI STÉTERAI POPLIOSIO VALESIOSIO
SUODALES MAMÁRTEI
(Soc)iei steterunt Publii Valerii
sodales Marti
I compagni di Publio Valerio (Publicola) donarono a Marte
- Cista Ficoroni É una cista etrusco-italica di fine IV-inizio III secolo a.C., ritrovata a
Labìco, un paesino in provincia di Roma: si tratta di un recipiente di
forma cilindrica contenente oggetti da toletta, in rame finemente
cesellato e sormontato da un coperchio ornato da tre sculture che fanno
da manico e che ritraggono Dioniso e due satiri, alto 77 cm, ed è il dono
di nozze di una madre, Dindia Malcolnia, alla figlia. Il coperchio contiene
un'iscrizione in latino arcaico:
DINDIA MACOLNIA FILEAI DEDIT
NOVIOS PLAUTIOS MED ROMAI FECID
Dindia Macolnia filiae dedit
Novius Plautios me Roma fecit
Dindia Macolnia (mi) diede alla figlia
Novio Plauzio mi fece a Roma
- Leggi delle XII Tavole É un corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C. dai
"decemviri con
decemvĭri legibus scribundis,
l'incarico di scrivere le leggi", contenenti regole di
diritto privato e pubblico in precedenza tramandate
oralmente; sotto l'aspetto della storia del diritto
romano, esse costituiscono non a caso la prima
redazione scritta di leggi nella storia di Roma.
Secondo la storia, la creazione di un codice di leggi
scritte sarebbe stata voluta dai plebei nel quadro
delle lotte tra patrizi e plebei che si ebbero all'inizio dell'epoca repubblicana; in particolare, i
plebei chiedevano un'attenuazione delle leggi contro i debitori non in grado di pagare e leggi
scritte che limitassero l'arbitrio dei patrizi nell'amministrazione della giustizia (in quell'epoca,
infatti, l'interpretazione del diritto era affidata al collegio sacerdotale dei pontefici che era di
esclusiva composizione patrizia).
Le originarie 12 Tavole in bronzo sono andate perdute e ciò che è pervenuto ai posteri è una
redazione posteriore risalente probabilmente al 200 a.C. Ciascuna di esse tratta un argomento
particolare: vi erano disposizioni che regolavano il diritto del danneggiato a chiedere giustizia e il
dovere di chi era chiamato in causa a venire in tribunale, quelle che riguardavano le limitazioni
del potere del o l'applicazione della legge del taglione, quelle che osservavano la
pater familias
tutela della proprietà privata, e così via.
Per esempio, la I Tavola riguarda il giudizio e recita:
SI IN IUS VOCAT, ITO.
NI IT, ANTESTAMINO.
IGITUR EM CAPITO.
SI CALVITUR PEDEMVE STRUIT, MANUM ENDO IACITO. [...]
Se (l'attore) lo cita in giudizio, (il convenuto) ci vada.
Se non ci va, (l'attore) chiami dei testimoni.
Quindi lo afferri.
Se si sottrae o tenta di fuggire, si imponga la mano. [...]
- Scipionum elogia
Gli sono due iscrizioni funebri rinvenute nel 1614 e tra il 1780 e il 1783 nel
Scipionum elogia
sepolcro della famiglia degli Scipioni sulla via Appia. Del tutto simili a una ma
laudatio funebris
più brevi, essi erano dei testi elogiativi che celebravano il defunto, ricordandone le imprese più
illustri, la carriera politica e le sue origini familiari, il tutto per perpetuarne la gloria per secoli e
secoli.
Gli elogi di Lucio Cornelio Scipione Barbato e del figlio Lucio Cornelio Scipione, non
precisamente databili ma comunque posteriori al 240 a.C., sono in un latino arcaico, così come il
verso utilizzato, ovvero il saturnio.
a. di Barbato: si compone di due parti distinte, il incompleto, dipinto in rosso
Elogium titulus
sull'orlo del coperchio, e un testo in versi di epoca più recente inciso sul sarcofago. Così recita:
L. CORNELIO CN. F. SCIPIO
CORNELIUS LUCIUS SCIPIO BARBATUS
GNAIVOD PATRE PROGNATUS FORTIS VIR SAPIENSQUE
QUOIUS FORMA VIRTUTEI PARISUMA FUIT
CONSOL CENSOR AIDILIS QUEI FUIT APUD VOS
TAURASIA CISAUNA SAMNIO CEPIT
SUBIGIT OMNE LOUCANAM OPSIDESQUE ABDOUCIT
A Cornelio Lucio, figlio di Gneo Scipione
Cornelio Lucio Scipione Barbato,
generato da Gneo suo padre, uomo forte e saggio,
la cui bellezza era in armonia con la virtù,
console, censore ed edile fra voi,
prese Taurasia Cisauna, nel Sannio,
soggiogò tutta la Lucania e liberò ostaggi.
b. di Lucio Scipione, figlio di Barbato: appare per grafia e stile più arcaico dell'altra
Elogium
iscrizione, sebbene di epoca posteriore. Esso si compone di due parti distinte, il dipinto in
titulus
rosso sull'orlo del coperchio, e un testo, anch'esso in saturni, di epoca più recente inciso sul
sarcofago. Così recita: L. CORNELIO L. F. SCIPIO
AIDILES COSOL CESOR
HONC OINO PLOIRUME CONSENTIONT R(OMAI)
DUONORO OPTUMO FUISE VIRO
LUCIOM SCIPIONE FILIOS BARBATI
CONSOL CENSOR AIDILIS HIC FUET A(PUD VOS)
HEC CEPIT CORSICA ALERIAQUE URBE
DEDET TEMPESTATEBUS AIDE MERETO(D)
A Lucio Cornelio Scipione, figlio di Lucio,
edile, console, censore
A Roma moltissimi riconoscono che
lui solo è stato tra i buoni cittadini il migliore,
Lucio Scipione, figlio di Barbato.
Fu console, censore ed edile presso di voi.
Prese la Corsica e la città di Aleria,
consacrò alle Tempeste un tempio a buon diritto.
Gli esempi più antichi orali della lingua latina di epoca preletteraria sono invece di natura religiosa:
- Carmen fratrum arvalium
Il era il canto che il collegio sacerdotale dei
Carmen fratrum Arvalium Fratres Arvales
intonavano ai Lari, le divinità romane di origine etrusca protettrici delle proprietà dei
campi, durante le processioni denominate "Ambarvalia" subito dopo il solenne sacrificio
di due porche, un'agnella grassa e una bianca giovenca alla dea Dia (Cerere) perché
continuasse ad assicurare la fertilità dei campi coltivati (lat. arva).
Il fu ritrovato su una lapide marmorea rinvenuta in territorio vaticano durante
Carmen Arvale
alcuni scavi del 1778; l'iscrizione è datata 218 a.C., ma il testo in fu
scriptio continua
probabilmente composto tra il VI e il IV secolo a.C.
E' composto di 5 versi, che venivano poi ripetuti per tre volte consecutive, e il metro usato è il
saturnio: si tratta del verso più antico della cultura latina, che i Romani di epoca successiva
guardavano come esempio di rozzezza e arcaicità; introdotto forse per contatto con le città
magnogreche, esso venne destinato in origine al canto di ambito religioso e conviviale, per poi
essere utilizzato negli elogi funebri e nella di Livio Andronico e nel di
Odusìa Bellum Poenicum
Gneo Nevio. ENOS, LASES, IUVATE! (ter)
NEVE LUE, RUE, MARMAR, SINS INCURRERE IN PLEORES! (ter)
SATUR FU, FERE MARS, LIMEN SALI, STA BER, BER! (ter)
SEMUNIS ALTERNEI ADVOCAPIT CONCTOS. (ter)
E NOS, MARMOR, IUVATO! (ter)
TRIUMPE TRIUMPE TRIUMPE TRIUMPE TRIUMPE!
(ter)
O nos, Lares, iuvate! (ter)
Ne luem, ruinam, Marmar, sinas incurrere in plures!
(ter)
Satur esto, fere Mars, limen sali, sta illic, illic!
(ter)
Semones alterni advocabit cunctos.
(ter)
O nos, Marmor, iuvato! (ter)
Triumphe triumphe triumphe triumphe triumphe!
Oh, a noi, Lari, aiutateci! (tre volte)
O Marte, non permettere che pestilenza e rovina trascorrano tra il popolo! (tre volte)
Sii sazio, o feroce Marte, balza sulla soglia, fermati là, là! (tre volte)
I Semòni li chiamerà tutti a turno. (tre volte)
A noi, o Marte, aiutaci! (tre volte)
Trionfo, trionfo, trionfo, trionfo, trionfo!
- Carmen saliare
Il è un frammento di III-II sec. a.C. in latino arcaico il cui testo veniva recitato nei
Carmen Saliare
rituali praticati dai sacerdoti Salii.
Il nome dei deriva dal verbo latino "saltare", per via della particolare andatura
Salii salire,
saltellante che tenevano durante le processioni sacre; essi erano presieduti da un al
magister,
quale si affiancavano il direttore del coro, e il che dirigeva le danze mostrando i
vates, praesul,
passi agli altri sacerdoti, che dovevano poi ripeterle.
I erano distinti in due collegi di 12 ciascuno, ovvero i e i i
Salii Salii Salii Palatini Salii Quirinales:
erano i sacerdoti consacrati a Marte ed erano uomini prestanti e di bell'aspetto che
Salii Palatini
custodivano dodici scudi ovali tagliati ai lati, mentre i erano i sacerdoti consacrati
Salii Quirinales
al dio Quirinus.
I avevano il compito di aprire e chiudere ogni anno il tempo della guerra e per gli antichi
Salii
romani tale periodo andava da marzo a ottobre; questo tempo di passaggio aveva un'importanza
fondamentale per il cittadino romano: in particolare, con il mese di marzo il cittadino romano
diveniva "soldato", e passava sotto la giurisdizione militare e la tutela del dio Marte,
miles,
passaggio -questo- segnato dai invece, nel mese di ottobre il cittadino romano
Salii Palatini;
tornava a essere "cittadino", e a occuparsi delle attività produttive sotto la tutel