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L OSITIVISMO
Nell’esistenza quotidiana era ancora molto diffusa una sensibilità di
tipo romantico, soprattutto nei comportamenti giovanili e nelle
passioni amorose. Eppure nei termini più generali la cultura europea
della seconda metà dell’Ottocento appare dominata dal positivismo,
che raccoglie l’eredità della tradizione scientifica laica. Il termine
positivismo fu introdotto nel 1820 dal filosofo Henri de Saint-Simon
per indicare il metodo rigoroso delle scienze positive, fondate
sull’osservazione dei fatti e la verifica empirica delle teorie. Più tardi,
con Auguste Comte e il suo Corso di filosofia positiva del 1830, il
positivismo diventerà un vero e proprio orientamento dominante nella
seconda metà del secolo, rifacendosi in parte alla tradizione
settecentesca. Ma siamo lontani dall’Illuminismo: il progresso
positivista non si commisura direttamente ai principi della ragione, ma
a quelli della fattualità, mirando più a ricavare idee e giudizi
dall’osservazione della realtà che non a sistematizzare il pensiero su
principi razionali. I nuovi modelli del meccanicismo (che si riallaccia alla
fisica classica) e quello dell’organicismo (che concepisce la realtà come il
risultato di equilibri vitali), comportano l’elaborazione di nuove teorie
e l’effettuazione di nuove scoperte: tra queste innanzitutto
l’evoluzionismo, che si pone come schema guida di tutto il percorso
dell’umanità, trovando feconda applicazione anche nella storiografia,
come dimostra la concezione di Hippolyte Taine delle realtà storiche
come complessi organici, la cui trasformazione è regolata da leggi
costanti. La storiografia positivista ricerca infatti la verifica dei fatti e
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il confronto di dati concreti, comportando la nascita di nuove discipline
per lo studio delle comunità umane e delle società, appunto la
sociologia e l’antropologia.
Il nuovo atteggiamento determina le prime grandi conquiste nel
campo della biologia e della medicina, ma anche nella diffusione su
larga scala delle nuove tecnologie, che contribuiranno a modificare
radicalmente la vita quotidiana: pensiamo solo alle comunicazione
velocizzate dall’invenzione della ferrovia e soprattutto del telegrafo,
nonché del motore a scoppio sulla fine dell’Ottocento. Ma nella
seconda metà del secolo viene anche diffusa ampiamente la fotografia.
In sostanza, la vita per come l’uomo la conosceva fino all’inizio del
secolo viene rivoluzionata: le necessità, gli scambi, i piaceri e
divertimenti, nonché la realtà metropolitana tutta, ne escono
decisamente modificati.
Ma accanto al pensiero positivista sorgono anche filosofie radicali
contrarie alle nozioni di progresso e di sviluppo: da un lato nasce il
materialismo storico di Marx ed Engels – che diventa la filosofia del
socialismo scientifico e del comunismo, soprattutto con l’opera Il
Capitale apparsa con un primo libro nel 1867 – ponendosi come
interpretazione globale dei processi storici e individuando la possibilità
di un rovesciamento del nefasto sistema capitalistico; dall’altro lato
invece nacque una reazione ai modelli rigidi dell’evoluzionismo, che
portò alla nascita della psicoanalisi per opera di Sigmund Freud (che
studiò i desideri e le pulsioni nascoste alla base dei comportamenti
umani), all’emergere di filosofie irrazionalistiche e intuitive quale
quella di Henri Bergson, ma soprattutto al sorgere di un pensiero
negativo quale quello di Friedrich Nietzsche. In Italia il positivismo
fece imporre nell’ambito della sociologia Cesare Lombroso, che
nonostante gli equivoci anche pericolosi a cui la sua teoria diede luogo,
si prefisse l’obiettivo di studiare le forme della devianza sociale
facendola risalire a caratteri somatici e psicologici prefissati dalla
nascita.
4. L A SITUAZIONE STORICA ITALIANA
Il raggiungimento dell’unità politica con la proclamazione del regno
d’Italia nel 1861 non vuol dire che il nostro paese si fosse
automaticamente messo al passo con l’Europa. Esistevano ancora
sacche enormi di povertà ed enormi disparità tra nord e sud: la
monarchia sabauda, d’altronde, tese a perpetuare sé e i propri ceti
piuttosto che redistribuire incarichi a tutti. Roma e gran parte del Lazio
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erano ancora sotto il controllo della Chiesa e anche il suffragio fu
introdotto solo per un numero esiguo di cittadini: d’altronde la
capitale divenne tale solo nel 1870, all’indomani della caduta della
monarchia di Napoleone III. In realtà i gruppi repubblicani e
democratici furono vinti dall’atteggiamento moderato della monarchia
sabauda e tutto il Risorgimento fu interpretato quasi come un disegno
divino in favore dei Savoia, sottolineato anche dalla morte in
incognito di Mazzini e dallo sdegnoso ritiro del vecchio Garibaldi a
Caprera. Il paese fu unificato amministrativamente con molte difficoltà,
schiacciando i potentati locali e le clientele, e determinando spesso un
senso di estraneità allo Stato: l’Italia era in effetti ancora un paese
agricolo e latifondista, che ben presto vedrà emergere la questione
meridionale, il fenomeno dell’emigrazione e quello del brigantaggio.
Eppure per la prima volta il paese fu dotato di un sistema giuridico
uniforme ed efficiente, nonché di un esercito di leva.
Nella prima fase della vita politica il governo fu in mano alla Destra,
che condusse un’austera politica finanziaria e guidò in modo
inflessibile la centralizzazione amministrativa. Nel 1876 invece il ptoere
passò in mano alla Sinistra liberale, più aperta a moderne forme di
sviluppo, sotto la guida di Agostino Depretis: eppure fu proprio in
questo periodo – detto “umbertino” dal nome del re Umberto I – che
nacque il trasformismo politico, caratterizzato da opportunistici
spostamenti di deputati tra i diversi schieramenti e anche da scandali
notevoli, tra cui il crollo della Banca Romana. Agli effetti della grande
depressione si tentò di rispondere con misure protezionistiche e con
una politica autoritaria, intrapresa tra l’altro dall’ex garibaldino
Francesco Crispi, che represse duramente la rivolta proletaria dei Fasci
Siciliani nel 1894.
Più in generale, possiamo distinguere due schieramenti ideologici
che seguirono l’esaurirsi delle tendenze politiche maturate durante la
lotta risorgimentale: da un lato, il pensiero liberale ispirato a Francesco
De Sanctis si degradò e si orientò in senso conservatore e rinunciò alle
grandi lotte ideali, esercitando il potere con una serie di compromessi
coni notabili; dall’altro lato i repubblicani ispirati a Cattaneo a Mazzini
accettarono la monarchia liberale e si spostarono su posizioni moderate
o addirittura conservatrici. Ma tra queste tendenze sorge anche il
socialismo, che dopo una prima fase di incubazione e di esperimenti
anarchici si configura nel Partito Socialista dei Lavoratori Italiani nel
1893, guidato da Filippo Turati ma di cui Antonio Labriola fu
filosoficamente più rilevante. Il mondo cattolico invece si chiuse
totalmente alla modernità della nuova trionfante borghesia laica: il
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Concilio Vaticano del 1896 ribadisce la condanna del papa Pio IX ai
valori e alla vita politica, a cui però succede un periodo di
collaborazione e di attenzione ai valori della solidarietà con i più
deboli, espressi con il nuovo pontefice Leone XII nel 1878.
5. L’ EDITORIA E LA QUESTIONE DELLA LINGUA
L’unificazione italiana portò in primo piano anche il problema della
comunicazione linguistica, praticabile da tutti i cittadini e da tutti i ceti.
Il dilemma fu enorme anche perché l’analfabetismo toccava punte del
70%: per questo la scuola divenne il mezzo essenziale per il
conseguimento dell’alfabetizzazione generale. Ma l’ottocentesca
questione della lingua fu ripresa con una generale approvazione della
teoria manzoniana, per l’orizzonte moderato in cui s’inscriveva il suo
romanzo: essa prevedeva l’uso del fiorentino contemporaneo sia nella
lingua scritta che in quella parlata. Il limite di questa teoria fu appunto
quello dell’imposizione di una lingua pura, basata in realtà su grande
affettazione e su un buon gusto tutto paternalistico: infatti grande
avversario di Manzoni fu Graziadio Isaia Ascoli, fondatore della
moderna linguistica italiana, secondo cui era impossibile imporre
modelli normativi e occorreva piuttosto attendere lo sviluppo sociale e
civile del paese, in cui germinasse una lingua spontanea e recettiva
delle più varie esperienze.
In ambito editoriale gli scrittori devono ormai confrontarsi con un
pubblico che sembra sempre più indifferente ai valori autentici e cerca
piuttosto prodotti di consumo e di intrattenimento: ciò genera la
paradossale situazione di uno scrittore solo davanti al mercato eppure
svincolato dall’essere espressione di un’istituzionalità ufficiale. Ciò
nonostante sono pochi quegli scrittori che riescono a vivere dei soli
proventi delle proprie opere: non è un caso che proprio in questo
periodo si diffonda la stampa moderna su larga scala, all’interno della
quale la letteratura d’appendice raggiunge il suo massimo sviluppo,
così come grande importanza riveste la «terza pagina» destinata alla
cultura e così come si diffondono anche le riviste intimamente culturali
tra cui «Nuova antologia» e «Critica sociale».
In realtà l’Italia è ancora una volta chiusa nel suo privincialismo e
stenta a competere con la grande letteratura europea. Il punto di
riferimento per i nostri scrittori resta innanzitutto Parigi, centro
indiscusso della cultura mondiale, da cui si diramano tanto le nuove
tendenze postromantiche decadenti e simbolisti – soprattutto in ambiti
poetico – quanto quelle della grande narrativa naturalista da Flaubert a
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Zola, a Maupassant. Per la cultura tedesca rimane essenziale il
contributo garantito dalla filosofia idealista, che in Italia viene recepito
innanzitutto da Benedetto Croce: in ambito più prettamente poetico
invece verranno studiate le forme più audaci del pensiero e dell’arte
tedesca, cioè quelle di Nietzsche e di Wagner. Ma un interesse
principale offrono anche i romanzieri russi e angloamericani, tra cui
Gogol, Dostoevskij, Tolstoj da un lato e Poe dall’altro.
Volendo periodizzare, data la grande diffusione di movimenti e
scelte di poetica dovute al boom del mercato editoriale, grossomodo
possiamo distinguere due fasi cronologiche. Se in genere si usa la
parol