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Bisogna inoltre avere un certo livello di formazione linguistica e storica pregressa, oltre a strumenti che aiutino la comprensione.
Dall’epoca dell’Accademia ateniese, fino a metà del XX secolo, una condizione simile coincideva con la definizione di cultura. In misura
maggiore o minore, essa costituì sempre il privilegio dell’èlite (Alessandria, S. Girolamo, Montaigne, Karl Marx). Le arti della
concentrazioni hanno sempre avuto un ruolo centrale nella vita del libro. Malebranche le definiva come la <<devozione naturale
dell’animo>>.
Oggi tuttavia queste arti hanno ridotto il proprio campo d’azione, diventando sempre più un <<mestiere>> universitario e di competenza
di specialisti. Molti giovani non sono in grado di leggere in silenzio, e la solitudine che rende possibile un incontro approfondito tra lettera
e spirito è una singolarità eccentrica.
Il declino del nostro insegnamento ha portato ad una forma di amnesia pianificata, di disprezzo verso l’apprendimento classico e lo studio
mnemonico.
Anche la struttura del libro tradizionale e del copyright è in pieno mutamento. Oggi gli autori possono raggiungere i propri lettori
direttamente su Internet, instaurando un metodo di comunicazione diretto online. Nessuno, per quanto bene informato, può prevedere che
cosa ne sarà del concetto stesso di autore, di testualità, di lettura personale.
Esse sono si evoluzioni elettrizzanti e che implicano liberalizzazioni economiche e opportunità sociali, ma sono anche la causa scatenante
di grandi perdite. I libri stampati alla “vecchia maniera” faranno parte sempre di più della letteratura di intrattenimento e l’informazione
ed il sapere, trasmessi e memorizzati tramite strumenti elettronici, porteranno ad una accentuazione della crisi già presente nella nostra
cultura.
Più che mai abbiamo bisogno dei libri e i libri hanno bisogno di noi. Quale privilegio più grande, se non quello di essere al loro servizio?
Capitolo II: <<Popolo del libro>>
Parte I
Il <<popolo del libro>> è una designazione gloriosa e ambigua, a cui non è facile attribuire un significato preciso, a fortiori
onnicomprensivo.
Israele e il giudaismo sono l’origine, la fonte e il custode eletto delle Sacre Scritture. Si passa dalla Torà come comunità, in cui sono
apparsi i libri dei Salmi, dei profeti, alla letteratura della Sapienza, di Giobbe (non israelita), il Nuovo Testamento. La <<bibliografia
dell’universale>> è enunciata dalle due immagini o metafore chiave del Libro di vita e dell’Apocalisse. Dio stesso comanda ad Ezechiele di
<<mangiare il rotolo>>, di fare del testo una parte della sua identità corporea e mentale. Dio esige dall’ebreo che il libro e la persona siano
una cosa sola. Sebbene Antigone richiami l’autorità della legge non scritta, l’incisione sul Sinai delle Tavole della legge fanno di
quest’ultima una testualità, un atto, uno scritto e una prescrizione da venerare, interpretare, commentare e applicare in un dialogo
incessante tra lettera scritta e lettori. Si tratta di una legislazione o lex a legere.
Il giudaismo svolge anche un ruolo vitale nella tradizione , nella trasmissione e nell’insegnamento orale, ma esso è reso un caso unico per
la santità assoluta del testo, del marcatore fonetico, a partire dalla Legge depositata nell’Arca dell’alleanza per giungere oggi a
Gerusalemme, casa del Libro.
Mentre altre nazioni hanno prosperato e creato la loro storia in base alle frontiere geografiche linguistiche (molti popoli altrettanto abili
e produttivi sono scomparsi, il popolo ebraico no) , il popolo di Abramo è stato un popolo nomade, che ha errato per secoli ed è stato
afflitto da interminabili persecuzioni. L’ebreo non ha una terra, è sempre stato estraneo e privo di difese in ciascuna terra. E’ il ruolo del
libro ad essere primordiale. Difatti il primo e inviolabile comandamento halakhico è <<ohni giorno studierai la Torà>>. Finché un ebreo
ha con sé le sue scritture e le può studiare, riuscirà a preservare la propria identità, rendendola produttiva. La nostra vera patria sarà
quindi sempre un testo, benché ci sia stato sempre un lato negativo. Lo stesso Platone mostra un rifiuto nei confronti della scrittura.
Tuttavia, come l’oralità comporta un apprendimento mnemonico, anche la scrittura divenuta auctoritas, come nella Torà o legge,
paradossalmente porta ad una memorizzazione ripetitiva e stabilisce il canone dell’oralità, imponendosi senza permettere la vivacità della
discussione e del riesame.
<<Non si finisce mai di scrivere libri>>, dice Qohelet, ma in questo caso si tratta di una produzione interminabile e parassitaria, sterile
(anche la presunta dialettica della scolastica marxista e postmarxista tradisce il precedente talmudico a cui s’ispira). Vi è quindi un tabù,
quello dell’incapacità creativa ebraica in letteratura. Nonostante eccezioni come Spinoza, il vero contesto è quello del commento
talmudico, midrashico e mishnaico in mano ai rabbini. La nozione stessa di letteraura profana e speculazione metafisica disinteressata è
estranea al ghetto.
Dove irrompe la creatività spontanea, le circostanze sono ibride e, storicamente, tarde. Ad esempio:
Montaigne,
Proust, che è per metà un ebreo a disagio;
Hofmannsthal, un erede dell’assimilazione battezzato,
Mandel’stàm e Pasternak , che abitano un simbolismo cristologico, come se volessero sovracompensare origini ebraiche.
il destino quasi schizofrenico di Heine getta ancora la propria ombra sui riflessi letterari ebraici.
Bisognerà attendere Kafka e gli ultimi maestri del romanzo americano come Malamud, Henry e P. Roth, Mailer e Saul Bellow, Agnon,
Isaac Bashevis e Singer il meglio della poesia e della narrativa israeliane di oggi perché il lungo monopolio della testualità rituale e
giudaicoesegetica del giudaismo sia effettivamente spezzato. Da qui l’eterna accusa di sterilità mossa da non ebrei e da ebrei scettici,
perfino votati all’<<odio di sé>>.
In Otto Weininger, il motivo dell’incapacità ebraica, della mentalità derivata e della sensibilità limitata diventa isteria che spinge al
suicidio. Il sospetto che il talento specifico del giudaismo, e al tempo stesso la sua rovina, sia quello del giornalismo, dei media, ossessiona
Karl Kraus. Wittgenstein ritorna senza requie all’idea che le quantità intellettuali degli ebrei siano per natura di second’ordine, sulla
propria capacità di fornire contributi alla logica formale, che è una ricerca quasi talmudica tipica di un professore, piuttosto che alle
invenzioni filosofiche, a fortiori, poetiche e narrative dei grandi (Platone, Kant, Goethe, Dostoevskij). L’ebreo bibliofilo è pedante, recita
meccanicamente, appartiene al repertorio iconografico dell’antisemitismo.
Ma l’accusa è più profonda. Socrate e Gesù di Nazaret non scrivono. Le scoperte filosofiche e le rivelazioni d’ispirazione divina sono
orali. Nascono dall’incontro personale, dalla vitalità metaforica della parola pronunciata. Sulla base di questa differenza il cristianesimo
istituirà quella tra lettera e spirito. La sinagoga è accecata dall’idolatria per la lettera, mentre il cristianesimo, in simbiosi con il
neoplatonismo, cerca il libero pneuma dello spirito, il Geist che racchiude in sé il soffio stesso vitale. All’ebreo il compito filologico, al
cristiano la via filosofica dell’essere animato. La sensibilità ebraica ne è rimasta ineluttabilmente ferita, con conseguenze sconcertanti
come il decostruzionismo, oggi prevalente negli studi umanistici, il quale muove da una ribellione giudaica contro l’autorità, la stabilità e
le pretese trascendentali della testualità, quelle del discorso razionale o a sua volta ispirato. Tutto questo è in rivolta contro una fede o
una morale incapaci di evitare barbarie come ha Shoà, il decostruzionismo derridiano e il postmodernismo, che a essa s’ispira, che a essa si
ispira, e che si sforzano di abolire il contratto tra la Parola e il Mondo, tra il Logos e il significato, che è stato il fondamento della
promessa di Dio a Isdraele. Ci viene detto che non c’è più la minima equivalenza duratura o garantita tra significante e significato, tra
intenzionalità e significato dimostrabili. Per Derrida i marcatori semantici non possono avere un significato stabile, condiviso, <<a meno
che siano rivolti verso Dio>>. Essa ormai è una condizione ritenuta assurda.
Qualunque affermazione è continuamente soggetta a fraintendimenti, a cambiamenti repentini, ad alterazioni di significato in un eterno
gioco autoriflessivo dei possibili. Nella chiave della psicanalisi la scienza cristiana degli ebrei, o decostruzionismo, è una rivolta edipica.
Essa mira a demolire il logocentrismo patriarcale che ha imposto alle tradizioni ebraiche e non solo i loro imperativi prescrittivi.
Popolo e Libro sono termini in piena evoluzione.
Parte II
L’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg rappresentò un’estensione o accelerazione della diffusione del
manoscritto, anche se la trasformazione digitale a cui assistiamo oggi è un cambiamento di ordine incomparabilmente più rivoluzionario.
Internet e il web, oltre a farci cogliere nuove forme di significato e di comunicazione, sono tecniche che implicano una nuova metafisica
della coscienza sia individuale sia sociale. Ad esempio a Washington ci sono ottanta milioni di volumi accessibili sono on line, mentre a
Parigi la biblioteca di Francois Mitterrand ha tre sezioni principali: una mediateca, una fonoteca e un’iconoteca. Il web è la biblioteca
universale e illimitata di Leibniz, di accesso planetario.
Inoltre Internet è interattivo e permette la formazione costante di gruppi in cui persone si ritrovano on line per coltivare interessi comuni
e dialogare. E’ dinamico, come non lo è mai stata la testualità in passato. A breve (già avvenuto) si potranno caricare materiali con solo
testo o immagini, a scelta. Penguin ha messo a disposizione un migliaio di classici. La <<carta elettronica>> annunciata da Xerox, può
essere riutilizzata un migliaio di volte. Sono disponibili interi volumi con una rapidità incredibile. Nel 2020 sarà superata l’arte della
fabbricazione del libro, secondo una dichiarazione del MIT,<<come per l’arte del fabbro>>.
Certo, il libro nella sua veste consueta continuerà a essere pubblicato, allo stesso modo in cui furono realizzati manoscritti per quasi
ottant’anni dopo Gutenbe