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Estratto del documento

Così il sepolcro e l’incisione degli epitaffi non vennero fatti, ma io ho esaminato gli epitaffi e riporto qui

quello di Giovanni del Virgilio.

CRITICA A FIRENZE. Oh ingrata patria! Quale demenza ti teneva quando hai cacciato il tuo più illustre

cittadino? Perché, una volte finite le ire, non l’hai richiamato? Di quali cittadini illustri tu oggi sei

splendente? Le tue ricchezze, le tue bellezze e il tuo agiato stile di vita ti rendono nota al giudizio dei

popoli, che guardano solo le apparenze! Vergognati di aver fatto scelte sbagliate! Glorierai forse i tuoi

artigiani e i tuoi mercanti, di cui sei piena? Entrambi sono dominati solo dall’avarizia. Vana gloria sarà la

tua! Perché, se non avevi capacità di giudicare, non hai seguito l’esempio di città della Grecia, che

rivendicarono la paternità di Omero con questioni così forti che ancora oggi la disputa è aperta? E

similmente Mantova per Virgilio. Sulmona d’Ovidio, Venosa d’Orazio e Aquino di Giovenale: loro

sapevano ciò che potevi sapere anche tu, cioè che le opere perenni dei loro poeti avrebbero garantito la

loro fama anche dopo la loro distruzione. Non solo ti sei lasciata sfuggire Claudiano, ma anche Dante, e

il corso naturale delle cose ha fatto ciò che avresti fatto tu se fosse rimasto da te, uccidendolo. Se gli odi e

le inimicizie cessano per la morte di qualcuno, torna nella tua capacità di giudizio, e concedi le dovute

lacrime a tuo figlio, come una madre. Tu l’hai privato della cittadinanza, ma lui non ti ha mai privato

dell’onore delle sue opere. Sempre ti amò e sempre si dichiarò fiorentino. Tu vuoi essere creduta nipote di

Troia e figlia di Roma: ebbene comportati come loro. Troia: Priamo va da Achille per chiedere il corpo di

Ettore e disposto a pagarlo, e stesso fecero i Romani con Scipione. Cerca tu di voler essere guardiana del

tuo Dante, raddomandalo. Ma perché continuo a sollecitarti? Sono sicuro che se i corpi morti possono

sentire qualcosa, di certo lui sta meglio là, dove ha una compagnia più lodevole della tua. Ravenna è più

vecchia di te, e anche se vive un periodo di decadenza, è stata in passato molto più florida di te. Inoltre

ospita molte reliquie, e non si rallegra poco che Dio le abbia concesso di tenere tale tesoro. Anzi Ravenna

si indegna di essere ricordata con Firenze nelle città di Dante.

CARATTERISTICHE PERSONALI. Questa fu dunque la fine della vita di Dante, faticata tra vari studi.

Ora penso sia tempo di parlare della sua persona. Fu un uomo di mediocre statura, e con l’età andava un

po’ curvo, portando l’abito adatto alla sua età. Volto lungo, naso aquilino, occhi grossi, mascelle grandi,

bruno, capelli e barba spessi, neri e crespi, sempre pensoso e malinconico. Un aneddoto racconta che un

giorno a Verona, quando già era noto l’Inferno della Commedia, passa davanti a un gruppo di donne, che

dicono che questi è andato nell’Inferno e racconta di chi c’è laggiù, e infatti si vedono capelli e barba

bruciati dal fuoco e dal caldo. Lui sorride e prosegue. Fu sempre moderato nel mangiare e nel bere,

facendolo alle ore prestabilite e senza mai eccedere. Rare volte parlava se non interrogato, e a volte era

invece eloquentissimo. Nella sua giovinezza si dilettò in canti e musica ed era amico di ogni buon

suonatore e cantore. Usava spesso stare solo per non essere disturbato nelle sue contemplazioni, e se

qualche pensiero gli veniva anche tra la gente, non rispondeva a qualche domanda se prima non ne

arrivava alla conclusione. Negli studi su molto assiduo, tanto che si narra che un

giorno a Siena si pose su una panca con un libro e si mise a leggerlo per delle ore, senza alzare nemmeno

un attimo lo sguardo per vedere cosa stava succedendo davanti a lui, cioè una festa con balli e musica e

gioco d’armi. Ebbe una memoria fermissima, tanto che una volta a Parigi seppe recitare a memoria le

quattordici questioni su varie materie dette da altrettanti uomini. Oltre ad ogni altro studio credo amasse

la poesia, anche se la filosofia la supera di nobiltà: ma mentre essa è difficile da comunicare, la poesia

può essere più chiara. Voleva prendere la coronazione d’alloro, ma solo in Firenze, dov’era stato

battezzato. E non volle prenderla in nessun altro luogo, cosicchè, morì senza averla.

Ma poiché la gente spesso si chiede chi sia il poeta e perché venga coronato con l’alloro ecc, voglio fare

una regressione per spiegarlo. La gente antica dei primi secoli, rozza e incolta, notò che le cose della

natura avvenivano con ritmi e tempi precisi,secondo un certo ordine, e pensarono ci dovesse essere una

cosa che comandava tutte queste cose. Se la immaginarono e la chiamarono divinità, e pensarono fosse da

venerare, così costruirono templi. Scelsero dei sacerdoti che badassero ai servizi divini, costruirono

statue, vasellamenti, vestimenti purpurei appositi per i loro sacrifici ecc. Propiziavano questa cosa con

parole solenni. Poiché queste parole sembravano avere efficacia, decisero di scriverle sotto leggi di certi

numeri, ma non in forma volgare, bensì in un’altra nuova e esquisita. Fu chiamata dai Greci “poesis”, e

colore che la facevano “poeti”. Da questa invenzione della rozza civiltà ne nacquero poi altre, che

inventarono altre divinità. Cominciarono poi a definire le rozze questioni non secondo leggi scritte, ma

secondo una naturale equità, dando ordine alla loro civiltà. Questi si facevano chiamare re e si

presentavano con servi e ornamenti, e per tenere sotto controllo i sudditi intensificarono il sentimento

religioso. Usavano anche i poeti, che con le loro opere, esaltavano fatti di guerra e gli stessi re. Anche

oggi è esercizio di ciascun poeta. Molti pensano che la poesia sia solo un vuoto fantasticare. Possiamo

vedere che i poeti hanno imitato le vestigie dello Spirito Santo,che ha scritto attraverso altri, ciò che

voleva dire. E affinchè la scrittura poetica non fosse diversa dalla Sacra Scrittura, i poeti scrissero ciò che

era stato, che era, e che desideravano avvenisse nel futuro. La Sacra scrittura intende svelarci tutto del

Verbo divino, mentre i poeti ne mostrano la cagione delle cose, effetti di virtù e vizi con trasmutazioni di

uomini e con parole dolci ma che esortano. Con storie come quella di Ercole o Licaone, ci vogliono far

vedere che virtuosamente operando come Ercule, l’uomo diventa iddio per partecipazione, e Licaone per

la sua avarizia diventa lupo. Anche descrivendoci la bellezza dei campi elisii e la bruttezza di Dite

(oltretomba dei pagani), ci esortano a seguire le virtù che ci porteranno in Eliso. Soggetto della Sacra

scrittura: divina verità, quello della poesia è gli iddii dei Gentili e gli uomini. Ma molti accusano i poeti di

dire comporre sconce favole corrispondenti a nessuna verità, e che dovrebbero scrivere in altra forma

invece che con favole le dottrine ai loro mondani. Si sa che ogni cosa, se acquistata con fatica, è più cara

di una acquistata senza. E così, i poeti hanno nascosto la verità sotto cose ad essa contrarie. Ecco che

quindi l’hanno nascosta sotto belle favole, in modo da attirare con la loro bellezza chi con le persuasioni

filosofiche non avevano attirato.

La teologia e la poesia si possono considerare una cosa sola, anzi, la teologia è poesia di Dio. Aristotele

afferma di aver trovato tra i poeti i primi teologizzanti. Ma torniamo a spiegare perché solo i poeti, tra i

vari scienziati, vengono incoronati. I greci furono i primi ad occuparsi di filosofia, da cui trassero diverse

cose come la vita pubblica, la dottrina militare ecc, tra cui anche la sentenza di Solone. Ma tra le tante

cose presero a coronare in pubblico i poeti dopo le loro fatiche e gli imperatori che hanno reso grande la

repubblica. Ma perché per la coronazione si usa proprio l’alloro? Ciò ha origine dal mito di Febo e

Danne, trasformata in alloro e amata da Febo, che fu tra tutti il primo autore e fautore dei poeti. C’è

un’altra ipotesi, ovvero che l’alloro ha varie proprietà: non perde mai verdezza né fronda, non è mai stato

fulminato, e infine è molto odorifero. La sempre verdezza si ricollega alle opere dei poeti, che dovevano

sempre stare in vita. Dovevano sempre essere piacevoli anche col passare del tempo (odorifere) e non

dovevano essere colpite da niente (fulmini).

Dante fu di animo alto e disdegnoso: rifiutò di tornare a Firenze, cosa che desiderava moltissimo, perché

l’unico modo do tornarci concordato con chi aveva il potere era questo: stare per un certo periodo in

carcere, e poi venire pubblicamente umiliato e poi liberato. Il che era una cosa degna solo di uomini vili e

infami, e decise quindi di restare in esilio. Ebbe un’alta considerazione di sé, e ciò si vide una volta,

quando era priore, dalla parte dei guelfi bianchi. Chiamato dalla parte dei neri Carlo di Valois, per

provvedere a questo fatto si radunarono tutti quelli della parte di Dante, e decisero di mandare Dante

ambasciatore dal papa. Ma lui rifiutò di andare, quasi fosse l’unico che lì contava qualcosa.

Tutta la Toscana e la Lombardia (Italia settentrionale) si divisero in Guelfi (da Welfen, casa ducale di

Baviera) e Ghibellini (da Wibelingen, castello della Franconia degli Hohenstaufen). I guelfi furono

cacciati da Firenze due volte. Dante era guelfo, ma fu cacciato dalla città proprio dai guelfi stessi, tanto

che in esilio divenne ghibellino e forte avversario dei guelfi.

Devo però, con vergogna, oltre ai pregi e le virtù di quest’uomo, anche qualche difetto spiegare. Per

esempio quello della lussuria, che lui ebbe da giovane e anche da vecchio. Oh bestiale appetito degli

uomini! Cosa possono le femmine in noi! Cosa fecero David, Salomone, Erode? Quindi non scusato, ma

sicuramente meno accusato può passare il nostro poeta.

Veniamo ora alle opere: circa al suo 26 anno, scrisse un’opera intitolata la Vita Nova (in realtà scritta

intorno al 1294) , dove raccolse canzoni e sonetti in rima scritti precedentemente. Negli anni maturi si

vergognò di tale opera. (notizia non certa!) Poi, vedendo gli errori della gente, la loro vita ecc, decise di

scrivere un’opera dove mordere con grandi pene i viziosi, e glorificare i valorosi, e poiché lo studio a cui

più si era dedicato era la poesia, volle scriverla proprio con quella. Scrisse un volume intitolato

Commedia, diviso in tre parti, ciascuna con una vita diversa: dapprima la viziosa, poi la viziosa tendente

alla virtù e infine la virtuosa. Ogni libro diviso in canti, e ciascun canto in terzine, in rima volgare. Scritto

così bene che è impossibile criticarlo. Dante aveva composto i primi 7 canti dell’Inferno, quando fu

cacciato da Fi

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A.A. 2013-2014
6 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Brethil di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Viola Corrado.