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I PERCORSI DELLA POESIA
La poesia italiana del 900 segue percorsi separati dalle dinamiche del sistema culturale e letterario. Negli anni 20, essa si mostra indifferente sia alle
Avanguardia e tradizione –
istanze tradizionaliste sostenute dai rondisti e dai selvaggi, sia al progetto modernizzatore dei novecentisti. L’autonomia che caratterizza la poesia novecentesca rende problematico
l’inquadramento critico e storiografico. È possibile comunque distinguere la poesia italiana del 900 in due grandi periodi, il primo racchiuso fra le due guerre mondiali, il secondo
coincidente con la fase terminale del secolo breve. A riassumere le pluralità di fenomeni che contraddistinguono il venticinquennio compreso fra il 1919 (anno di pubblicazione di “Allegria
di naufragi” di Ungaretti) e il 1946 (data inaugurale della poesia civile) e a definirne i caratteri dominanti, si mostrano inadeguate sia la categoria di ermetismo, coniata da Francesco
Flora, sia la nozione di lirica nuova. Gli aspetti peculiari di questo periodo vanno individuati nella metabolizzazione della lezione del simbolismo, nel recupero della tradizione lirica italiana
e nella valorizzazione della letteratura inglese e nordamericana dell’800 e 900. Da questo punto di vista, esemplari risultano le esperienze di Ungaretti e Montale. La formazione culturale
e letteraria di Ungaretti si svolge a Parigi, dove segue i corsi della Sorbona e conosce Apollinaire, che lo introdurrà alla conoscenza del simbolismo. La rivoluzione metrica e lessicale
operata da Ungaretti in “Allegria di naufragi” attraverso la frantumazione del verso tradizionale in brevi segmenti strofici e l’adozione di un vocabolario antiretorico, teso ad esaltare
l’essenzialità della parola, la sua purezza e forza evocativa, risente della lezione di Mallarmè. Nel corso degli anni 20, Ungaretti si converte al cattolicesimo e riscopre la tradizione
poetica italiana. In “Sentimento del tempo”, questo ritorno alla radici comporta la ripresa dei moduli della metrica tradizionale ma anche la consapevolezza dell’impossibilità di restituire la
parola al suo incontaminato, illimitato potere connotativo. La funzione della poesia è così legata alla capacità di riannodare il filo di una continuità interrotta dall’avvento della modernità,
di rivitalizzare una lingua ridotta all’insignificanza. Ma la parola non riesce ad abolire questa distanza e quindi la poesia si inclina verso l’evocazione mitica. La consapevolezza
dell’esaurimento della funzione conoscitiva del linguaggio ispirano le raccolte “Il dolore”, diario di una tragedia personale (la morte del figlio Antonietto) e storica (gli orrori della seconda
guerra mondiale). L’opera di Montale presenta un profilo più omogeneo, uno svolgimento più coerente, seppure non privo di variazioni. Il suo peculiare nucleo semantico è già delineato
in “Ossi di seppia”, dove il taglio autobiografico del discorso, la ricchezza di temi e soluzioni stilistiche sottintendono l’attraversamento delle poetiche delle ideologie letterarie della fine
secolo: un attraversamento che approda all’amara constatazione dell’inconsistenza dell’identità soggettiva, confinata nel mondo della necessità, nel dominio delle apparenze e quindi
dell’impotenza conoscitiva ed espressiva della poesia. Alla fine degli anni venti, Montale entra in contatto con Thomas Eliot, a cui è tributario della scoperta della poesia inglese. Ciò che
Montale ne ricava è già visibile nella sua seconda raccolta di versi, “Le occasioni” dove si realizza un perfetto equilibrio fra autobiografia e storia. Il poeta cerca nella memoria gli indizi, le
occasioni, di una possibilità inattuata, che consenta la restaurazione di un’identità negata dall’insensatezza, dall’artificiosità della realtà moderna. La poesia è chiamata a redimere un
mondo disumanizzato dal trionfo dell’industrialismo, dai falsi miti del progresso. Ma l’esperienza vissuta e la tradizione culturale restituiscono solo dei frammenti di un tempo tramontato:
la presa d’atto dell’irreversibilità della condizione del soggetto, dell’immutabilità del presente storico, provoca il passaggio dal simbolo (che presuppone l’esistenza almeno ipotetica di
un’altra dimensione dell’essere) all’allegoria, che verrà celebrata nell’altra raccolta, “La bufera e altro”. Qui le evocazioni delle cerimonie dei regimi totalitari, che preludono alla tragedia
della guerra, si intrecciano alla raffigurazione dello squallore del dopoguerra, al disincanto che segue alla caduta delle speranze dell’umanità. La vittoria del male che Montale vede
confermati dallo scenario del secondo dopoguerra, ispirano lo stile umile, il tono dimesso delle sue ultime raccolte di versi (Satura e Diario), in cui il divorzio tra il poeta e il suo tempo
storico è declinato a volte nei termini dell’accettazione, altre volte nel registro della satira, della polemica che si rivolge contro gli aspetti più insopportabili della società contemporanea.
Montale accompagna alla denuncia delle cause della crescente spersonalizzazione e omologazione degli individui la demistificazione degli idoli del potere, la parodia delle mode
culturali, dei loro linguaggi. L’influenza di Montale sulla lirica è italiana è cospicua. Si guardi all’esempio di Mario Luzi, che matura la sua formazione culturale e letteraria nel circolo
ermetico fiorentino. Con la pubblicazione di “Quaderno gotico”, Luzi abbandona il culto della parola, l’atteggiamento di aristocratica separatezza del soggetto dalla realtà, l’idea di una
poesia indifferente alle vicende del suo tempo storico, per sperimentare un linguaggio essenziale ed espressivo di una condizione umana sospesa tra l’angoscia della finitudine e l’attesa
di un improbabile miracolo. L’esaurimento della passione della trascendenza si compie a partire dagli anni 60, quando Luzi elegge la vita quotidiana a spazio esclusivo della
rappresentazione poetica: nelle raccolte di quel periodo, alla allegorizzazione della realtà si sostituisce il racconto dell’esperienza vissuta. Alla lezione di Montale può anche riferirsi sia
l’opera di Giorgio Orelli (secondo cui la decadenza della poesia, costretta a ricercare negli oggetti più semplici, nelle umili creature, nelle modeste vicende dell’esistenza quotidiana, i
segni superstiti di un’autenticità del vivere che sembra essere stata bandita dalla modernità) sia di Vittorio Sereni (si pensi alla metafora “frontiera” che dà il titolo alla sua prima raccolta
di versi e che rimanda al muro degli Ossi, che separa l’Italia della dittatura fascista dall’Europa delle democrazie liberali, e che divide anche un presente attraversato dai presagi di guerra
da un incerto futuro). L’insegnamento di Ungaretti ebbe un’incidenza maggiore e più diretta rispetto all’influenza esercitata da Montale: l’ermetismo lo
Ermetismo, orfismo, realismo simbolico –
elesse a maestro, sebbene si nutrisse di una pluralità di apporti. Il gruppo ermetico accoglie infatti alcuni postulati fondamentali della poetica ungarettiana, come l’uso ambiguo delle
parole, ma anche le suggestioni di Coleridge, Mallarmè e dei surrealisti. In più, la sua delimitazione non è esattamente definibile e la sua stessa data di nascita appare incerta
(convenzionalmente viene individuata nel 1932). A fissare il profilo identitario dell’ermetismo concorrono la riflessione e il dibattito sviluppatisi negli anni 30 su alcune riviste ed il saggio
“Letteratura come vita” di Carlo Bo: sebbene il critico esortasse a non considerarlo come un manifesto, questo intervento conferì consapevolezza ma anche coerenza programmatica a
una tendenza fino a allora spontanea. Bo muoveva dalla riaffermazione dell’autonomia della letteratura per esaltarne la missione che consiste in un’interrogazione del mondo e della vita,
in un ininterrotto scandaglio interiore e di emanciparsi dall’oggettività attraverso la tensione verso l’assoluto ed il trascendente. In questo modo Bo offriva una giustificazione ai motivi che
avevano caratterizzato la breve stagione della poesia ermetica: il rifiuto del presente storico e l’attesa di una rivelazione salvifica che costituiscono il nucleo della poetica dell’assenza.
C’è anche la volontà di evadere da un mondo spoglio di senso e valore per trovare rifugio nella dimensione del mito, identificata con la terra natale o l’infanzia, come in Quasimodo; il
tentativo di allontanare la precarietà della condizione umana e la caducità dell’esistenza nella comunione con la natura. Si sviluppa una ricerca linguistica tesa a restituire la parola alla
sua primigenia condizione di purezza, di essenzialità, di innocenza, al suo magico potere di evocazione. L’ermetismo fa entrare nella sua cerchia anche un poeta come Arturo Onofri,
che in realtà si colloca in un autonomo percorso di ricerca: è la linea orfica, che si fa risalire impropriamente a Dino Campana. Nei suoi versi della maturità, la parola, elevata a strumento
rivelatore, riscatta la limitatezza e la precarietà della condizione umana. Dalla poesia di Saba discende un’altra linea della lirica italiana del 900, che traspone la fedeltà realistica e
l’immediatezza autobiografica nella trasparenza del simbolo e nella musicalità del verso. Ad essa può essere ascritto Attilio Bertolucci, che nella sua opera dispiega una vasta elegia
della civiltà contadina, dei suoi valori e della sua cultura, contrapposti a un presente volgare e degradato raffigurato nello scenario della metropoli. La poesia di Sandro Penna si nutre di
una materia autobiografica, il cui motivo dominante è costituito dalla confessione della sua omosessualità: le sdegnate reazioni del senso comune divengono metafora dell’esclusione
sociale dell’artista. La vena realista della lirica di Giorgio Caproni si esprime soprattutto nell’evoluzione del linguaggio. La costante tematica della sua opera è costituita dal motivo del
viaggio, inteso come transito dal nulla alla morte: il poeta si identifica nella figura del passante, dell’ospite provvisorio di un mondo estraneo e ostile.
La novità del panorama letterario dell’ultima parte del secolo è rappresentata, sul versante della poesia, da due tendenze che
Neosperimentalismo e neoavanguardia –
fanno la loro apparizione nel breve arco di anni racchiuso fra la fine della stagione dell’impegno e il boom economico che consente all’Italia di far parte dei paesi più industrializzati. Il
laboratorio del neosperimentalismo è costituito dalla rivista “Officina”: il gruppo polemizzò contro il provincialismo e i residui della letteratura neorealista, criticò l’avversione manifestata
dalla cultura impegnata nei confronti del