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Marinetti il recupero del momento eroico del movimento e il ritorno a quelle istanze che proponevano il
patriottismo e la guerra. La guerra, inoltre, impone l'esigenza di definire il nemico in termini, e in effetti, allo
scoppio della Prima guerra mondiale Marinetti era giunto ad una classificazione razziale dei caratteri positivi o
negativi delle nazioni in conflitto, amiche o nemiche dell'Italia. La demonizzazione del nemico diventa più
facile in occasione della campagna di Etiopia in quanto, l'Africa tende ad assumere il carattere dell'elemento
storico passatista, ed è perciò già predisposta a caricarsi delle valenze negative che devono contraddistinguere
l'avversario nel conflitto, mentre la conquista italiana si definisce come affermazione di progresso. Alla
corruzione, alla staticità e al passatismo degli abissini, si contrappongono nel Poema africano l'eroismo, il
dinamismo e l'esaltazione della guerra, elementi vitali del futurismo italiano.
Del resto, mentre in Luci veloci il protagonista si allontanava dall'Europa, troncando la vita politica per
trasferirsi in Africa, nel nuovo poema marinettiano i caratteri propri della terra d'Africa esprimono soltanto
staticità e fissità di fronte alla dinamica geografica dell'Italia. L'autore non svolge tanto un'esaltazione del
fascismo, ma recupera i temi del futurismo del periodo eroico che si contrappongono alla negatività passatista
del nemico. Ma questo tentativo è destinato a fallire, dal momento che la stessa guerra etiopica contiene
un'intrinseca contraddizione. Infatti, ora che Marinetti identifica il nemico nel popolo abissino, tende a
distruggere e a demonizzare la valenza primigenia degli africani. La soppressione del primordiale, in questo
modo, ribalta tutta la prospettiva marinettiana e l'uomo futurista, che si era sempre nutrito di energia e ferocia,
si trasforma nel Poema africano in uomo meccanico «che unisce in sé la bontà e la forza».
V Il romanzo dei protagonisti indigeni e i tentativi di una narrativa realista. Cipolla,
Zuccoli, Vergani
l. Un'imperatrice d'Etiopia. Arnaldo Cipolla alla corte di Menelik
Scritto nel 1921, Il tamburo di fuoco si proponeva come un «dramma africano», perché narrava le vicende di
personaggi africani che erano gli unici protagonisti della storia. Il problema centrale, l'incontro tra le due
diverse culture e il difficile tentativo di conciliare i valori tradizionali con l'impulso verso il progresso che
derivava dal contatto con un mondo «altro», era descritto nel dramma vissuto dai neri, mentre era assente
qualsiasi rappresentante del mondo occidentale. Proprio in questo periodo, infatti, all'inizio degli anni Venti,
emergevano nella letteratura coloniale italiana diversi tentativi di elaborare un'immagine dell'Africa colta
attraverso le vicende dei popoli indigeni. Ma l'interesse del racconto non riguardava più il modo in cui
l'incontro dell'Africa con la civiltà europea veniva percepito e vissuto dal bianco, ma riguardava la maniera in
cui i personaggi indigeni vivevano la loro vita, all'interno dei propri usi e costumi, e attraverso la loro
mentalità, percepivano l'Occidente che invadeva il loro mondo.
Al personaggio indigeno veniva attribuita una percezione della propria realtà e dei suoi rapporti con la nuova
cultura proveniente dall'esterno, strettamente conforme ai canoni della visione dell'Africa diffusa presso il
pubblico occidentale. Inserire un personaggio «nero» come protagonista del racconto significava perciò
riproporre questa stessa visione, confermata dalle convinzioni non solo del conquistatore, ma anche dello
stesso indigeno da colonizzare. E l'operazione sembrava più convincente poiché i personaggi indigeni
venivano descritti con oggettività, anzi con simpatia, e il racconto appariva riferito a vicende storiche reali ed
era testimoniato da una diretta esperienza del mondo coloniale maturata dall'autore sul campo.
Di una lunga esperienza sul campo poteva vantarsi il giornalista, narratore e conferenziere Arnaldo Cipolla,
che aveva a lungo soggiornato in Africa dove era arrivato come mercenario inviato dal Belgio nella colonia del
Congo. Cipolla era arrivato nel Congo Belga nel1904 e vi era rimasto tre anni. Nel 1907 aveva pubblicato in
un volumetto (Dal Congo) le lettere inviate ai familiari ed era stato assunto dal «Corriere della sera» come
corrispondente dall'Africa. Aveva seguito le operazioni delle truppe inglesi e italiane in Somalia, e compiuto
una traversata dell'Etiopia raccogliendo le proprie corrispondenze in un volume, Nell'impero di Menelik,
apparso nel 1911. Nel 1910 era passato alla «Stampa» di Torino, e aveva seguito la campagna di Libia,
partecipando poi come volontario alla Prima guerra mondiale.
Cipolla riteneva che i caratteri propri della letteratura coloniale italiana dovessero essere «la sincerità, il
sentimento di profonda simpatia per i popoli cosiddetti inferiori, la loro completa comprensione», ed era
convinto di aver realizzato con i suoi romanzi qualcosa che «nessuno» in Italia aveva ancora compiuto. Mentre
due delle tre opere ruotavano intorno alla figura di un protagonista europeo (Evans, residente in una stazione
dell'Africa equatoriale e il tenente di vascello Guido Sillia in Oceana), La cometa sulla mummia era dedicata
alle vicende di personaggi africani, ed era proprio a quest'ultimo romanzo che Cipolla attribuiva una
particolare importanza. Cipolla nel 1910 era in Etiopia, impegnato a risolvere per i lettori del «Corriere della
sera» il mistero della sparizione dell'imperatore Menelik. Si mormorava infatti che questi fosse morto e che
l'imperatrice ne avesse nascosto la scomparsa detenendo arbitrariamente il potere e preparandosi a proclamarsi
autocrate dell'impero.
In effetti Menelik, dopo aver designato erede al trono il nipote ligg Jasu, era rimasto paralizzato e privo della
facoltà di parlare e non era più apparso in pubblico. Così anche tra i corrispondenti dei giornali occidentali si
era diffusa la convinzione che l'imperatore fosse ormai spirato. In realtà Menelik sarebbe morto solo quattro
anni dopo e la sua successione doveva favorire l'evolversi di tensioni interne al regno, alimentate dalla politica
di ligg Jasu che si appoggiavano alla parte islamica della popolazione, mentre la Germania e l'Austria allo
scoppio della guerra mondiale, giovandosi dell'alleanza della Turchia, ritenevano di poter trovare nell'Etiopia
un possibile alleato contro l'Intesa. Queste tensioni dovevano poi sfociare nel 1916 in una rivolta che segnava
la fine del potere di ligg Jasu mentre veniva proclamata imperatrice la figlia di Menelik.
E proprio all'interno delle vicende legato alla successione di Menelik, che Cipolla collocava il suo romanzo del
1921, sviluppando una storia che rielaborava una precisa situazione storica che l'autore aveva osservato da
vicino una decina di anni prima. La trama del racconto ruota intorno alla figura di Melograno d'oro,
un'incantevole principessa diciassettenne, la cui nascita reca però con sé un terribile presagio: ogni cinquecento
anni, spiega la madre a Melograno d'oro, «nasce una fanciulla bianca tra noi bruni, che abbiamo commesso il
peccato di mescolare il nostro sangue con quello degli schiavi. Per essa l'impero sopporta un sussulto che
sembra l'ultimo della sua vita millenaria. La giovinetta è promessa in moglie ad Amadiè, figlio del negus
Mikael, ma l'imperatrice Sole, decide di farla sposare a ligg Jasu, a sua volta figlio di Mikael e fratellastro di
Amadiè. La fanciulla parte quindi dal suo paese natale per recarsi alla corte di Menelik scortata da
un'imponente carovana inviata da Sole, e quando attraversa le terre dei Galla dove regna ras Mikael viene
accolta con tutti gli onori e incontra Amadiè.
Alla corte di Menelik si sta però preparando una rivolta che minaccia di travolgere l'unità dell'impero. Nessuno
riesce più a vedere il vecchio monarca e si diffondono le voci sulla sua morte, che verrebbe tenuta nascosta da
Sole. Così Vorcù, braccio destro dell'imperatrice e comandante della carovana, viene immediatamente
richiamato per sedare i fermenti, mentre Melograno d'oro rimane ospite e prigioniera presso ras Mikael. Il
pericolo della rivolta viene comunque soffocato da Vorcù e dal tutore di ligg J asu, Tesamma, che tuttavia si
accorge che Menelik è effettivamente morto e Sole ne ha occultato il cadavere decisa a rivelare la scomparsa
dell'imperatore soltanto quando Melograno abbia sposato ligg Jasu e questi possa assumere il potere. Sole è
convinta infatti che Melograno d'oro, proveniente dalla sua stessa antica stirpe, sia «la sola imperatrice che può
salvare l'Etiopia dalle potenze occidentali. Grazie all'amore di Amadié, Melograno d'oro riesce a fuggire dalla
prigionia, e dopo infinite peripezie giunge alla reggia di Menelik dove Sole, mostrata al popolo la mummia
dell'imperatore in modo da farlo apparire ancora vivo, presenta Melograno d'oro come futura sposa e nuova
imperatrice d'Etiopia.
Il matrimonio con ligg Jasu si rivela però un fallimento. Melograno d'oro vede il marito circondarsi dei
rappresentanti delle potenze occidentali e teme che si lasci convincere ad entrare nel conflitto che insanguina
l'Europa. Inoltre ama e ammira Amadiè, di cui invoca l'aiuto, richiamandolo dalle terre dei Galla. Ma alla fine
comprende che ligg Jasu finge soltanto di interessarsi alle proposte straniere senza lasciarsene influenzare.
Così quando Amadiè arriva con il suo esercito Melograno d'oro resta schierata accanto allo sposo. E dopo la
battaglia vinta da Amadiè con l'inganno, e la morte di Ligg Jasu su campo, Melograno d'oro muore a sua volta
mentre fugge per il deserto stremata dal caldo e dal sole rovente.
La storia d'amore e di morte di Melograno d'oro è un pretesto per disegnare la complicata rete di tensioni che
percorrono l'impero etiopico prima della sua fine. Sulle terre di Menelik, secondo Cipolla, incombe infatti una
minaccia inesorabile, che è evocata dalla prodigiosa e infausta nascita della meravigliosa creatura dalla pelle
bianca, ma è costituita dalla penetrazione della cultura e della conquista europea. Alla corte imperiale solo le
menti politiche più acute si rendono conto della necessità di un'«occidentalizzazione» dell'impero per disporre
di una difesa contro le mire delle potenze coloniali. Così proprio Tesamma, il tutore del principe affida il
compito di educare Iigg Jasu a Dadiratrè, un occidentale da venticinque anni esule volontario in Etiopia. Per
continuare la grande opera di Menelik, ligg Jasu dovrà