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Nel 1910 Cipolla era in Etiopia impegnato, come affermava nelle pagine de L’impero di

Menelik, a risolvere per i lettori del Corriere della Sera, il mistero della scomparsa

dell’imperatore Menelik, che si mormorava fosse morto e l’imperatrice ne avesse nascosto

la scomparsa in questo detenendo il potere e proclamarsi autocrate dell’impero.

In effetti Menelik, dopo aver designato come erede al trono il nipote Ligg Jasu, era rimasto

paralizzato e privo della facoltà di parlare in seguito a un ictus celebrale e non era più

apparso in pubblico. Così anche per i corrispondenti dei giornali si era diffusa la

convinzione che l’imperatore fosse ormai deceduto e che la figura che talvolta si poteva

scorgere da lontano fosse un manichino o addirittura il suo cadavere mummificato.

Ma in realtà Menelik morì quattro anni dopo (nel 1913) e la sua successione doveva

favorire l’evolversi di tensioni interne al regime (mentre la Germania e l’Austria allo

scoppio della guerra mondiale, giovandosi dell’alleanza della Turchia, ritenevano di poter

trovare nell’Etiopia un possibile alleato contro l’Intesa) che nel 1916 sfociarono in una

rivolta che segnarono la fine del potere di Ligg Jasu mentre veniva proclamata imperatrice

Zaudit, altra figlia di Menelik.

E proprio all’interno di queste vicende legate alle successione di Menelik, Cipolla collocava

il suo romanzo Un’imperatrice d’Etiopia, sviluppando una storia che, anche se avesse

dimensioni fantastiche, rappresentava una rielaborazione letteraria di una precisa

situazione storia che l’autore aveva osservato da vicino una decina di anni prima.

La trama del racconto ruota intorno alla figura di Melograno d’oro, una bellissima

principessa diciassettenne, che non solo è “bella come la regina di Saba”, ma è anche “la

più bianca fanciulla d’Etiopia”. La sua nascita, però, porta con sé un terribile presagio: ogni

500 anni, spiega la madre, “nasce una fanciulla bianca tra noi bruni, che abbiamo

commesso il peccato di mescolare il nostro sangue con quello degli schiavi…”.

La ragazza è promessa sposa ad Amadiè, figlio del negus Mikael, ma l’imperatrice Sole,

ormai padrona della volontà di Menelik, decide di farla sposare a Ligg Jasu, a sua volta

figlio di Menelik e fratellastro di Amadiè. La fanciulla parte quindi dal suo paese natale per

giungere alla corte di Menelik. Qui viene accolta con tutti gli onori e incontra Amadiè.

Tuttavia si sta preparando una rivolta che minaccia di travolgere l’unità dell’impero.

Nessuno riesce a vedere il vecchio monarca in faccia e di diffondo le voci della sua more,

che verrebbe mantenuta in segreto da Sole. Così Vorcù, braccio destro dell’imperatrice e

richiamato per sedare i fermenti, mentre Melograno d’oro viene resa prigioniera.

Vorcù e Tesamma (tutore di Ligg Jasu) riescono a placare il pericolo della rivolta.

Quest’ultimo però si accorge che Menelik è effettivamente morto e Sole ne ha occultato il

cadavere decisa di rivelare la sua scomparse solo quando Melograno avrà sposato Ligg

Jasu e avrà preso il potere. Sole è convinta che Melograno sia “la sola imperatrice” che

“può continuare il mio faticoso lavoro” e salvare l’Etiopia “dagli artigli” delle potenze

occidentali. Grazie all’amore di Amadiè, Melograno d’oro riesce a fuggire dalla prigionia e

dopo infinite peripezie giunge alla reggia di Menelik dove l’imperatrice, dopo aver mostrato

la mummia di Menelik in modo da farlo apparire ancora vivo, presenta Melograno d’oro

come nuova imperatrice d’Etiopia. Il matrimonio con Ligg Jasu si rivela però un fallimento.

Melograno d’oro vede il marito circondarsi dalle potenze occidentali e temi che si lasci

convincere ad entrare nel conflitto e in più chiede l’aiuto di Amadiè. Ma alla fine capisce

che Ligg Jasu finge solo di interessarsi alle proposte straniere senza lasciarsi influenzare.

Così quando Amediè attiva con il suo esercito, Melograno d’oro resta a fianco di suo

marito, e dopo la battaglia vinta da Amediè con l’inganno e con la morte di Ligg Jasu sul

campo, Melograno d’oro muore a sua volta mentre fugge stremata nel deserto.

La straziante storia d’amore e di morte di Melograno d’oro è la scusante per disegnare la

complicata rete di tensioni che percorrono l’impero etiopico, predisponendone la fine.

Sulle terre di Menelik, secondo Cipolla, infatti, incombe una minaccia inesorabile, che è

fantasticamente evocata dalla prodigiosa e infausta nascita di una bellissima creatura

dalla pelle bianca, ma è molto più concretamente costituita dalla penetrazione e della

conquista europea.

2. Zuccoli, gli arabi e l’evocazione all’obbedienza

Un’operazione simile a quella compiuta da Cipolla, che si era servito della sua esperienza

diretta alla corte di Menelik, veniva poco dopo tentata anche da Zuccoli, dedicandosi alla

narrativa con una cospicua produzione di romanzi che gli avevano procurato successo.

- L’abilità riconosciuta di Zuccoli era di saper analizzare la psicologia dei personaggi,

soprattutto femminili o adolescenziali. -

Verso la fine del ’22, l’autore compì in lungo viaggio in Libia, dove seguì le operazioni

militari delle truppe italiane impegnate in una lunga campagna nelle regioni interne per

reprimere le rivolte locali che, fin dalla conclusione della guerra con la Turchia, non

avevano mai consentito all’amministrazione italiana di esercitare un effettivo controllo sul

territorio. Dall’esperienza del viaggio nasceva un romanzo “Kif tebbi” (1923).

Nella prefazione, Zuccoli abbozza una sorta di poetica della narrativa coloniale, che ritiene

debba essere profondamente modificata. Infatti, dichiara che anche i massimi autore

hanno inteso il romanzo coloniale come “lo studio della nostra psicologia esotica; un

tessuto di avventure di cui è centro o molla d’azione un personaggio occidentale”. Ma in

questo modo il romanzo coloniale rimane “soggettivo” in quanto “la vita dell’indigeno passa

attraverso il temperamento del narratore europeo”, e al lettore interessa invece conoscere

“diretti e precisi” gli indigeni, lo loro passioni, i loro costumi e i “giorni del loro dramma”.

Così Zuccoli spiega di aver compiuto il suo viaggio in Libia “non per desiderio di impensate

avventure” ma per condurre “uno studio onesto e paziente dell’anima araba”.

Per Zuccoli sono tre i parametri che devono orientare la letteratura coloniale:

1) l’esperienza diretta delle genti, dei luoghi e degli ambienti;

2) uno sguardo realista, privo da pregiudizi, e quindi in grado di condurre un’osservazione

“scientifica” della realtà;

3) la capacità di narrare le vicende attraverso la prospettiva psicologica dell’indigeno,

senza interferenze causate dalla presenza o dalla centralità di personaggi occidentali.

Quindi, in questa proposta teorica si intrecciano le istanza di un realismo ancora concepito

secondo il modello di un’oggettività “scientifica” di influsso naturalista, con l’interesse per

l’indagine psicologica propria del grande romanzo ottocentesco, il tutto diretto per

redimere una letteratura coloniale dalle tentazioni evasive dell’esotismo, che impedisce

un’autentica percezione dell’Africa ricorrendo a storie, personaggi e avventure

immaginarie costruite solo per suggestionare il lettore allontanandolo dalle esperienze

consuete senza far apparire l’effettiva visione di mondi diversi, ma autentici e reali.

In Kif tebbi si ritrovano, all’interno di una vicenda in parte immaginaria, scene e figure che

Zuccoli osserva in modo diretto durante il suo viaggio: sono il solito arabo “infantile e

feroce”, il tumulto dei mercati, la “sposa stupenda di sedici anni comprata per duemila lire”,

la negra “professionista della danza del ventre”, le cerimonie indigene coi “martoriamenti

spietati della carne”, e così via…

Ma l’orientamento realistico della scrittura non si limita al “fedele” trasferimento sulla

pagina scritta di scene effettivamente osservate durante il viaggio, ma si prolunga fino

all’utilizzo dei reperti (indicazioni, oggetti e nomi) individuati dall’autore.

TRAMA: L’azione del racconto si svolge in Libia, nel momento in cui, nel 1911, gli italiani

sbarcarono a Tripoli e si apprestano a conquistare il paese, ma gli italiani non compaiono

mai nel corso della vicenda: restano una realtà distante.

I protagonisti, dunque, sono il ricco e influente arabo Ajàd, uomo giusto e pio, fedele alla

religione del profeta, e suo figlio Ismail, che contro la volontà del padre ha compiuto un

lungo viaggio in Europa dove ha gustato “il vino, il gioco e le donne” restandone

ammaliato, ed è ritornato a casa in una condizione di estremo disagio.

Così, tra il padre e il figlio nasce un amaro contrasto: uno racchiude nell’anima l’Oriente e

l’altro l’Occidente (esotismo alla rovescia).

Tuttavia Ismail finisce per innamorarsi di Mne, una giovanissima fanciulla accolta e

protetta nella casa paterna, e per lei uccide in un agguato il maturo e feroce Rassim che

vuole rapirla. Rassim era però amico dei turchi e con loro aveva progettato un sinistro

inganno contro i militari italiani. A capo di una banda di arabi si sarebbe finto amico degli

invasori per attirare in trappola le loro truppe e sterminarle. Così i turchi che sospettano di

Ismail in quanto conoscono i sentimenti filo europei, gli attribuiscono la colpa dell’omicidio

e lo giustiziano, mentre Mne tornerà con la propria madre.

La triste storia d’amore non è altro che una traccia che permette a Zuccoli di raffigurare la

realtà della guerra coloniale nella visione della popolazione araba. È una visione che

mostra, innanzitutto la brutalità degli dominatori turchi, che allo scoppio del conflitto si

lanciano in spiegare requisizioni, saccheggiando villaggi e carovane e costringendo gli

uomini ad arruolarsi. Uccidono chiunque si opponga nel tentativo di salvare i propri averi.

E muoiono così, il padre e il fidanzato di Mne, mentre la violenza si espande anche nel

villaggio di Ismail. Eppure gli arabi non si ribellano. Innanzitutto li lega ai turchi la comune

fede islamica, che li spinge a mantenersi federi, e anzi a continuare a combattere anche

quando la guerra non può essere vinta. Il fanatismo religioso, del resto, non viene solo

alimentato dalle menzogne della propaganda turca ma anche da cerimonie compiute dai

Dettagli
A.A. 2016-2017
32 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/14 Critica letteraria e letterature comparate

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher hardrockmetallover97 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letterature comparate e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Restuccia Laura.