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IL CINQUECENTO
1.1. Un secolo difficile.
Il Cinquecento è un secolo che porta notevoli cambiamenti per l’Italia. Dal punto di vista politico,
dopo il sacco di Roma (1527) e la fine della guerra fra Carlo V e Francesco I sancita con la pace di
Cateau Cambrésis (1559) i territori più ricchi della penisola passano sotto il dominio spagnolo.
Dal punto di vista economico, l’asse mondiale si sposta dall’Europa all’America mettendo in
ginocchio la rete dei banchieri e dei mercanti europei che fino ad allora erano stati egemoni.
Infine, dal punto di vista religioso, si assiste alla crisi della Chiesa a causa della Riforma
protestante di Martin Lutero la quale fu seguita da disumane violenze perpetrate proprio dalla
Chiesa al fine di riacquistare il potere e l’influenza perduti.
Lutero denunciava la decadenza morale e la corruzione evidenti nella corte pontificia romana e
nella Chiesa tedesca del primo Cinquecento proponendo una Riforma che la riportasse agli antichi
precetti evangelici. Colta da queste accuse la Chiesa Cattolica corse ai ripari con un vasto
movimento di restaurazione che venne definito Controriforma o Riforma cattolica puntando sulla
moralizzazione dei costumi e sulla riforma della liturgia e delle forme di comunicazione anche
artistiche.
In questa opera di revisione la Chiesa poté contare sull’ordine dei Gesuiti i quali si concentrarono
sul problema dell’educazione delle classi dirigenti raccogliendo l’eredità della scuola umanistica e
ponendola al servizio della militanza religiosa.
Ma la Controriforma ebbe anche un lato oscuro rappresentato dalla politica di repressione che agì
attraverso l’abolizione della libertà di pensiero e la persecuzione di protestanti, liberi intellettuali,
scienziati e filosofi che osavano contraddire opinioni filosofiche o scientifiche approvate dalla
Chiesa anche se del tutto irrilevanti nei confronti dei dogmi religiosi (basti pensare alla condanna a
morte nei confronti di Copernico solo per aver sostenuto la veridicità della teoria Eliocentrica
dell’Universo).
Anche dal punto di vista letterario la Chiesa operò diverse censure pubblicando l’indice dei libri
proibiti nel quale finirono anche diverse opere di Dante e Boccaccio.
Di fronte a questa chiusura di orizzonti, gli intellettuali dell’epoca avevano due scelte: sottostare
alla tirannia della Chiesa ottenendo come ricompensa la tranquillità sociale ed economica di una
sistemazione presso le strutture del potere, o rifugiarsi nel recinto protetto delle scuole e delle
università dove coltivare la lettura dei classici greci e latini divenendo sterili da un punto di vista
letterario.
In questo clima di censura, il cortigiano si trasforma in segretario mettendo la sua eloquenza e la
sua retorica al servizio del potere.
Una novità assoluta per l’epoca è l’affermazione a livello industriale dell’editoria il cui mercato e
le reti di distribuzione si stabilizzano a livello europeo sancendo l’espansione della stampa e con
essa il trionfo del volgare sul latino.
Verso la metà del Cinquecento i luoghi di aggregazione degli intellettuali non sono più le corti o le
università ma quelle forme di associazione libera chiamate Accademie le quali si diffondono in
tutta Italia con statuti e finalità anche molto diverse che vanno dalla promozione dell’attività teatrale
al dibattito filosofico e scientifico.
Sullo sfondo dell’incertezza e dell’inquietudine politica e religiosa, la cultura, la letteratura e la
lingua tentano di ritrovare regole stabili su cui fondare le proprie istituzioni e lo fanno con un’ampia
produzione di trattati, testi teorici, grammatiche, enciclopedie mentre nelle arti figurative gli artisti
del Cinquecento si trovano di fronte al dilemma di non sapere più su cosa basare la propria arte,
incerti fra l’imitazione della Natura, che nella sua imperfezione stona con i dettami del
Rinascimento, e l’imitazione dei Moderni. Fra queste due strade si impone il Manierismo vale a
dire la tendenza di taluni artisti a rifarsi ad una certa scuola, ad un codice riconoscibile di forme e
colori.
Eppure il Cinquecento è il secolo in cui gli ideali e le forme del Rinascimento passano dall’Italia
all’Europa mediante la formazione di scuole umanistiche che raccolgono l’ideale di humanitas
fondato sullo studio degli Antichi e lo coniugano con le nuove istanze politiche e religiose della
società europea, spesso in polemica con gli ultimi umanisti italiani accusati di essere esponenti di un
classicismo ciceroniano basato sulla sterile imitazione.
Tale era ad esempio la posizione di Erasmo da Rotterdam il quale univa una formazione iniziale
di intensa cultura spirituale (legata ad una forma di religiosità interiorizzata e individuale) alla
conoscenza approfondita della cultura classica e dell’umanesimo italiano.
Tra le sue opere più importanti si ricordano l’Encomio della Follia, gli Adagia e il dialogo
Ciceroniano che critica ferocemente il ciceronianesimo italiano ridotto ad una sterile imitazione
formale.
1.2. Guicciardini.
Di famiglia aristocratica vicina ai Medici, Francesco Guicciardini, oltre ad una iniziale formazione
umanistica con Marcello Virginio Adriani ha modo di compiere studi universitari di diritto a
Firenze, Ferrara e Padova e di esercitare poi la professione di avvocato.
La sua vita professionale sarà sempre collegata ai Medici per i quali egli svolgerà diversi incarichi
diplomatici.
Fra le sue opere più importanti ricordiamo: il Dialogo del reggimento di Firenze ambientato alla
fine del Quattrocento al quale prendevano parte il padre Piero, Pier Capponi e Bernardo del Nero.
Il dialogo evidenzia sia l’attaccamento di Guicciardini all’ideale di repubblica oligarchica ispirato al
modello di Venezia, sia il rapporto stretto del poeta con il Machiavelli dal punto di vista sia della
conoscenza personale che dalla lettura e dall’attenta riflessione sugli scritti del segretario dalla
quale nacquero le Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli in cui Guicciardini esprime
il suo disaccordo sulla possibilità di trarre dall’analisi degli eventi storici valutazioni applicabili a
situazioni contemporanee, affermando che, al contrario, ogni evento costituisce un caso a sé stante
sostanzialmente irripetibile.
Lo stesso punto di vista lo ritroviamo nei Ricordi, oltre duecento pensieri composti, rielaborati e
ordinati in un progetto di libro tra il 1512 e il 1530.
Il libro è permeato del pessimismo sulla possibilità di previsione degli eventi. Le variabili che
sfuggono alla comprensione umana sono così tante e imponderabili che il caso acquista una
dimensione enorme vanificando ogni sforzo della virtù per porre riparo al potere della fortuna.
Resta allora, in Guicciardini, il principio della discrezione, termine che indica precisamente la
capacità di valutazione di ogni evento per se stessa nell’insieme delle circostanze che la
determinano. Si tratta di un saper vedere che scende in profondità, analizza la vita degli uomini e il
loro agire politico con l’aiuto di una lente di ingrandimento che ingrandisce il “particulare”.
Ed è nell’analisi del particulare (inteso sia come dettaglio di una situazione che come interesse
privato dell’osservatore) che trova piena espressione la prudenza (preferita alla virtù del
Machiavelli) intesa come capacità di sopravvivere sull’imprevedibile mutabilità dei tempi e delle
condizioni politiche.
L’impegno letterario del Guicciardini si esprime anche nella storiografia mediante la scrittura di
libri quali le Storie fiorentine (dedicate al periodo 1494-1509 ) e il capolavoro Storie d’Italia, opera
articolata in venti libri che raccontano il periodo 1492-1534 vale a dire dalla morte di Lorenzo de’
Medici a quella di Clemente VII.
Si tratta di un grandioso affresco della rovina d’Italia raccontata da un testimone diretto che ricerca
minuziosamente le cause degli errori degli uomini nonché della cronaca di un evento epocale vale a
dire la crisi e la fine del Rinascimento.
1.3. Dibattiti di lingua e di poesia.
La scuola umanistica, nel momento della crisi e della metamorfosi, trasmette il suo insegnamento
anche alla letteratura in volgare, che fino ad allora si era sviluppata con una certa libertà di
sperimentazione linguistica e stilistica. Nasce allora una questione della lingua, da intendere come il
problema di definire una lingua letteraria comune a tutte le regioni della penisola.
Le città da dove partì questa spinta innovatrice furono Napoli e Venezia. In particolare in area
veneta nacquero i primi tentativi di dare regole alla lingua volgare, riprendendo i metodi della
filologia umanistica, con l’opera Regole grammaticali della volgar lingua di Giovan Francesco
Fortunio e le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo le quali fondarono la lingua letteraria
italiana sulla base della lingua fiorentina del Trecento ricostruita nell’imitazione dei grandi modelli
di Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.
Paradossalmente i principali avversari di questa lingua italiana furono proprio i fiorentini che
propugnarono la difesa ad oltranza della lingua fiorentina viva, della parlata contemporanea del
popolo fiorentino con tutte le sue caratteristiche fonetiche e grammaticali.
Solo nella seconda metà del Cinquecento, quando le ragioni del Bembo vennero fatte proprie anche
dai fiorentini, a Firenze cominciò una grande stagione di filologia, per stabilire su solide basi
testuali quale fosse la tradizione letteraria fiorentina e toscana su cui basare la lingua italiana.
Nacque così la filologia italiana basata sul recupero dei manoscritti della poesia e della prosa delle
origini soprattutto di Dante e Petrarca.
Nel 1585 nacque inoltre l’Accademia della Crusca la quale avviò un grande lavoro di spoglio
degli autori che approdò alla prima edizione del Vocabolario (1612): fondazione di un canone
linguistico e letterario, di una norma sovratemporale destinata a durare nei secoli successivi.
Un notevole interesse venne rivolto ai problemi della poetica. In primo luogo al problema
dell’imitazione sul quale si fondava l’opposizione di fondo tra classicismo-ciceronianismo e difesa
della libertà di composizione e in secondo luogo il problema della definizione dei generi affrontato
nell’Arte poetica di Antonio Minturno.
In quest’ambito si accende la discussione sul genere romanzesco ed epico-cavalleresco, nella quale
si registra l’importante opera critica di Giambattista Giraldi Cinzio intitolata Discorso intorno al
comporre dei romanzi che rappresenta un decisivo riconoscimento dell’eccellenza dell’Ariosto.
1.4. La poesia.
Nel Cinquecento cambiano completamente gli orizzonti della produzione e