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LORENZO DE’ MEDICI E L’UMANESIMO TOSCANO
3.Gli intellettuali fiorentini e il potere. La poesia in latino
Sono molte le poesie e raccolte di poesia latina dedicate ai Medici:
- Xandra di Landino (Piero)
- Paradysus e Due libri di elegie di Verino (Lorenzo)
- Carmen bucolico e Elegie di Naldo Naldi (Lorenzo)
4.Lorenzo e la poesia volgare.Luce e Bernardo Pulci.LA RACCOLTA ARAGONESE
L’intenzione di Lorenzo era quella di creare uno iato culturale tra la nuova leadership e i generi e
stili, comunali e mercanteschi, usurati e necessariamente di retroguardia.
Basti pensare alla vocazione di Lorenzo giovanile, intensamente parodica e incoraggiata dai Pulci.
La tranquilla mappa della poesia volgare fiorentina viene poi addirittura sconvolta col perentorio
richiamo alle nobili origini perseguito da Lorenzo
Questo è lo scopo preciso della
RACCOLTA ARAGONESE
Grande antologia della poesia toscana dalle origini a Lorenzo stesso. Allestita e voluta dal
Magnifico tra il 1476 e il 1477 e inviata al giovane Federico D’Aragona con una epistola prefatoria
assegnata al Poliziano.
L’antologia di poeti toscani, ai quali sono aggregati anche i siciliani e Guinizzelli, portava alla ribalta
come nuovi modelli di riferimento poeti ed opere ormai dimenticati o malamente deturpati
dall’incultura protoquattrocentesca:
Dante con la Vita nova
PetrarcaCanzoniere
Guinizzelli
Guittone
Cavalcanti
Cino da Pistoia
Cino Rinuccini
I due Bonaccorso da Montemagno
Bonagiunta Orbicciani
Iacopo da Lentini
Pier delle Vigne
5.CRISTOFORO LANDINO e il culto di Dante
È con l’azione incrociata di Landino e di Lorenzo che il volgare supera l’umanistico iato tra lingua
strumentale di comunicazione e lingua filosofica e letteraria, il latino appunto. Il difetto insomma,
tanto per Landino quanto per Lorenzo non sta nel mezzo linguistico ma negli scrittori, nel
contenuto e nella forma.
Secondo Landino i modelli da recuperare, esposti nella prolusione al Petrarca, sono:
- Boccaccio
- Dante
- Petrarca
- E pochi moderni: Bruni, Alberti, Palmieri, Buonaccorso da Montemagno
Ma il recupero di Dante, modello insuperabile di poesia filosofica, avviene in sintonia con la piena
affermazione del neoplatonismo ficiniano.
La poesia gioca un cardinale ruolo salvifico, mezzo privilegiato per recuperare le perdute ali
platoniche inoltre la decriptazione dell’allegoria pervade l’interpretazione: la poesia si fa enigma,
geroglifico che nasconde e protegge i sacri misteri dalla profanazione del volgo.
6.MARSILIO FICINO
All’abbandono della filosofia scolastica e al recupero della dottrina platonica e
neoplatonica, contribuì in modo determinante proprio Ficino( Figline 1433-Careggi
1499). Recatosi a Firenze acquisì ben presto una forte erudizione letteraria, anche se
furono la scoperta e l’approfondimento della filosofi platonica a segnare la sua vita di
studioso. Negli ultimi anni vestì anche l’abito sacerdotale, testimonianza concreta
della sua volontà di sintesi tra filosofia e religione.
Sentì profondamente il dovere intellettuale ed etico di armonizzare ragione e fede,
sapienza umana e divina, in una forma di religiosità (l’anelito) priva di ottusità
dogmatiche e di ipocrisie che ponesse fra l’altro, la figura dell’uomo al centro
dell’universo. ↓
È questa la docta religio di Ficino: una religione a sfondo razionale basata sulla
filosofia platonica e neoplatonica: se l’uomo partecipa all’essenza divina, con le
proprie forze deve ascendere sino a ritrovare in essa la sua origine.
Importantissimo è anche il tema dell’amore, da cui si sprigiona l’azione creatrice di
Dio, che per primo ha amato l’uomo ed è da questi riamato
La principale opera del Ficino è la THEOLOGIA PLATONICA, pubblicata nel 1482, e
dedicata a Lorenzo, identificando in lui, nel proemio la raggiunta unità platonica del re
filosofo. A Ficino si deve tra l’altro la prima traduzione completa di tutte le opere di
Platone.
7.GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA
Fu un intellettuale acquisito più tardi (Modena 1463-Firenze 1494) che almeno dal 1489 appannò il
prestigio di Ficino anche se in molte delle sue opere troviamo concezioni in gran parte ficiniane,
eccetto che nel DE ENTE UNO, dedicato nel ’91 a Poliziano, ove egli sostiene la tesi aristotelica
dell’identificazione dell’Uno nell’Ente.
Pico formula uno dei più lucidi giudizi critici sulla poesia apparentemente erotica di Lorenzo negli
anni ’80; di un signore per sua intima natura prima poeta e poi, uomo politico.
È la Cabala la vera novità importata in modo sistematico a Firenze da Pico che è per lui la corazza
“enigmatica” che preserva, ingloba e unisce le verità per <<trovare il metodo per ridurre ad unità
tutte le fedi, tutte le dottrine, tutti i linguaggi del signore>>
In sostanza una chiave di interpretazione delle Scritture e dei rapporti DIO-uomo che ricorda le
medievali letture anagogiche c’è la reductio ad unum di Greci, Latini, Cristiani, Arabi e ed Ebrei. E
il verbo privilegiato con cui si è espressa e continua ad esprimersi la verità è ancora e sempre la
poesia.
Del 1486 sono le Conclusiones, le celebri Novecento tesi pubblicate a Roma per i tipi di Eucharius
Silber e sottoposte poi per volontà di Innocenzo VIII a esame (13 di queste furono condannate
eretiche).
La sua opera più citata è però il “De dignitate hominis” che è stata reputata il <<manifesto del
rinascimento>> perché afferma la centralità dell’uomo nel cosmo. L’uomo è quasi un dio in terra, è
l’essere più elevato del creato, in quanto dotato non solo di sensus e ratio ma di intellectus con il
quale riesce a ricongiungersi con l’unità di Dio.
8.L’opera letteraria di LORENZO DE’ MEDICI
Delineando il profilo psicologico di Lorenzo, Machiavelli osserva: <<si vedeva in lui essere due
persone diverse quasi con impossibile coniuzione congiunte>>. La contraddizione, reale o
apparente, tra il sottile e scaltro uomo politico e il poeta cultore d’arte si riflette nell’opera letteraria
di Lorenzo, che presenta una sconcertante varietà di tendenze, di toni e di soluzioni formali,
talvolta tra loro diametralmente opposti.
In primo luogo troviamo un riflesso diretto dell’atmosfera culturale dominante nella Firenze del
tempo. Lorenzo era stato discepolo del filosofo platonico Ficino, animatore dell’Accademia
platonica (in contrasto con quella dell’Arigipuolo) ad una visione platonizzante sono ispirate
appunto le:
- Selve d’amore: qui Lorenzo canta l’innalzamento del suo amore dalle passioni carnali ad
una contemplazione pura e disinteressata della bellezza
A questo filone tematico si collega l’interesse per la lirica italiana del Due e Trecento che
esaltava appunto l’amore come elevazione spirituale. Nascono di qui
- Le Rime: folte di echi dallo stil novo e da Petrarca ed il:
- Comento ad alcuni sonetti d’amore: una raccolta di una quarantina di sonetti, muniti di un
commento in prosa che si rifà evidentemente al modello della Vita nuova di Dante
Ma alle tendenze idealizzanti di queste opere si contrappone il corposo realismo di altre che si
rifanno invece alla tradizione comica e burlesca. Su queste scelte pesò l’influenza esercitata dal
Pulci, che mirava proprio a fare della letteratura burlesca l’espressione per eccellenza
dell’ambiente mediceo. Di qui nascono vari poemetti:
La caccia col falcone che ritrae una scena di caccia popolata da personaggi della corte
La nencia da Barberino che riproduce le lodi cantate dal contadino Vallera alla pastorella di
cui è innamorato, con l’intento parodico e finemente divertito di mettere in caricatura la
convenzionale figura del pastore innamorato, tipica della poesia pastorale
È un genere tra l’altro in cui si cimenta Lorenzo stesso con il Corinto, un poemetto bucolico di
imitazione virgiliana, che riproduce i lamenti del pastore Corinto per il suo amore infelice. Insieme
con la presenza di una campagna stilizzata, secondo le linee dell’idillio classico, compare qui la
concezione edonistica tipica dell’Umanesimo, che ritorna in toni meno elegantemente pensosi e
più giocosi nelle:
- Canzoni da a ballo
- Canti carnacialeschi
Con queste opere di carattere edonistico e paganeggiante, fanno singolare contrasto anche altri
componimenti di carattere religioso:
I capitoli, parafrasi di testi biblici
Le laude;Sacra rappresentazione dei Santi Giovanni e Paolo
LUIGI PULCI
Nasce a Firenze nel 1432. Nel 1461 lo troviamo già frequentante di casa Medici. Fu
proprio su richiesta di Lucrezia Tornabuoni che iniziò a comporre il suo poema il
Morgante. Successivamente diventa l’animatore di quella cerchia di amici e poeti che
ruotano attorno alla figura di Lorenzo e si fa promotore e produttore di una poesia di
gruppo giocosa e in stile burlesco.
Il 1473 è considerato l’anno della svolta: Pulci passa a servizio del condottiero
Sanseverino poiché la situazione a corte da Lorenzo si era fatta difficile dopo che nelle
grazie del principe erano entrati il Poliziano e Ficino. Il clima era cambiato e verteva
tutto sullo studio dei classici e sulla filosofia platonica unita alla religione cristiana,
poco posto era rimasto per la poesia comico-popolaresca.
Muore nell’ottobre del 1484.
IL MORGANTE
Poema cavalleresco il 28 cantari in ottave. Il testo ha una struttura solo parzialmente
unitaria e risulta dall’affiancamento di 2 poemi piuttosto diversi:
1. 23 cantari pubblicato nel 1478 a Firenze
2. In 5 cantari stampato nel 1483 sempre a Firenze.
Il Morgante prende il titolo da quello che senza dubbio è il personaggio più
caratteristico: un gigante pagano a suo tempo sconfitto da Orlando e convertito al
cristianesimo. Divenuto fedele scudiero di Orlando, il gigante gira con un batacchio di
campana e va incontro a molte avventure tutte all’insegna del divertimento parodico.
Il titolo si è tuttavia imposto nel tempo e non per volontà della’utore.
La fonte seguita dal Pulci è:
- Per la prima parte il cantare intitolato Orlando
- Per la seconda il cantare intitolato Spagna
Il Morgante è stato definito a ragione il poema della dismisura:
Dismisura della materia e della sua inorganicità
Dismisura dello stesso protagonista che muore in modo sproporzionato punto da
un insetto
Dismisura in che caratterizza l’episodio più celebre: l’incontro tra Morgante e
Marg