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ROMANZO EPICA
cronotipo presente: non concluso, mutevole, in divenire cronotipo passato, immutabile, assolutamente distante
personaggio: incompiuto, rischia, vive imprevisti personaggio: caratterizzato e fissato definitivamente
visione del mondo relativa, da discutere, modificare, contestare visione del mondo, valori assoluti, senza alternative
basato sull’esperienza individuale ispirata all’esperienza nazionale
53 L’epopea come genere letterario determinato è caratterizzata da tre aspetti costitutivi (vedi primo elenco puntato).
Tre peculiarità di fondo differenziano in linea di principio il romanzo da tutti gli altri generi letterari (v. s. e. p.)
Basi del dibattito, risalente agli anni ‘30, in Aa. Vv. Problemi di teoria del romanzo, trad. it. Einaudi, Torino, 1976
impostazione soggettiva, approfondimento psicologico rigorosamente oggettiva
narratore entra nel campo della narrazione narratore staccato e lontano dalla narrazione
genere dialogico: le voci, pure quella del narratore, genere dialogico voci diverse con valore prestabilito,
mostrano diverse visioni del mondo, interagenti che le subordina a una sola visione della realtà
plurilinguismo (lingue, stili, parole di provenienza diversa) monolinguismo: soluzioni linguistiche abbastanza unitarie
aperto e disponibile a più soluzioni strutturali e formali forma chiusa
genere basso, rappresenta la realtà umile, sorrida genere alto, rappresenta contenuti subilimi
genere comico, parodico, rovescia assoluta serietà di propositi e intenzioni
forme letterarie aristocratiche e subilimi
Bachtin caratterizza il romanzo come rovesciamento delle posizioni dell’epica,
che coincidono con la proposta dei valori gerarchici e ufficiali.
Presenta una componente irriverente e anticonformista, di contestazione e opposizione verso i generi
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alti. La forza su cui si basa, anche simbolicamente ed emblematicamente, è il riso ,
fondamento dei procedimenti che usa – comicità, satira, parodia – che rappresenta la mutevolezza dei
punti di vista e delle prospettive che, diversamente dell’epos, rendono possibile, al genere romanzesco,
una visione della realtà aperta, relativa e frammentaria, a più voci e a più piani.
Le immagini del fuoco (simbolo di distruzione e di vita) e del riso mostrano lo spirito più autentico,
liberatorio e dissacratore, della visione del mondo carnevalesca.
Non si tratta di una trasposizione di valori sul piano concettuale, ma idee concreto-sensibili,
ritual-spettacolari vissute e interpretate nella forma della vita stessa,
formatesi e conservatesi nel corso di millenni in seno alle più larghe masse popolari dell’umanità
europea. Hanno potuto esercitare una enorme influenza formale, formatrice di generi nella letteratura.
Essa è scomposta e deformata, anche se, nel romanzo, domina la logica artistica dell’analisi, dello
smembramento, dell’uccisione (della distorsione e della frantumazione)
Mutano i modi di concepire il tempo e lo spazio (cronotipo) e le variazioni prospettiche si moltiplicano.
Nel romanzo, che non accetta una visione univoca e pianificata del mondo,
ogni cosa può rovesciarsi nel suo contrario e gli estremi possono unirsi e confondersi:
l’ambiguità e la confusione tipiche del romanzo riflettono
l’incertezza e la precarietà della vita (mentre, nel poema epico non esistono che certezze,
e ogni aspetto della realtà è collocato in una precisa e ben delimitata posizione gerarchica.
54 L’oggetto può essere irriverentemente aggirato da tutte le parti; anzi, la schiena e il posteriore dell’oggetto
(nonché il suo interno non soggetto a mostra) acquistano in questo piano un significato particolare.
L’oggetto è spezzato e denudato (gli tolgono l’addobbo gerarchico):
ridicolo è un oggetto nudo, ridicola è la sua veste vuota, tolta e separata dal corpo.
Variazioni prospettiche: alto, basso, davanti, dietro, prima, poi, primo, ultimo, passato, presente, breve (istantaneo), lungo .
.
Bertoit Brecht (1898-1956) teme una normativa che, in Unione Sovietica, durante il periodo staliniano,
porta alla banalizzazione e alla riduzione dei testi a strumenti di propaganda (il realismo socialista
propugnato da A. Zdanow) e pensa che la sensazione di totalità ricevuta dal lettore,
nel suo caso dallo spettatore, con lo scioglimento finale della tensione emotiva,
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sia una formula a effetto gastronomico , una degustazione, non a effetto epico di stranimento emotivo
dai fatti che si vedono rappresentati: nell’Opera da tre soldi gli attori non devono dare l’impressione di
immedesimarsi nei personaggi, ma mostrare, con la mimica espressiva e gestuale,
l’assurdo di certe leggi sociali cui sottostiamo, per provocare una sua reazione intellettuale.
Anche Walter Benjamin (1892-1940, di origine ebraica, fugge a Parigi durante le persecuzioni naziste),
amico e studioso di Brecht, con altri due teorici dell’Istituto per le ricerche sociali di Francoforte,
Max Horkheimer (1895-1973) e Theodor W. Adorno (1903-1969), ritiene che il realismo inteso come
rispecchiamento non possa più fungere da disamina critica di un capitalismo avanzato in cui la ragione
è asservita al dominio politico (nazista o fascista), ma pure al conformismo della società di massa.
La tradizione ottocentesca ora deve considerare la fine dell’ottimismo progressista dello storicismo,
e prendere atto che la conclamata razionalità della storia è tale solo nella prospettiva del vincitore.
In una società che abolisce i residui di apparente autonomia del soggetto e trasforma gli uomini in
merce, l’arte, che perde l’aura sacrale delle origini, riprodotta in infinite copie,
potrebbe ancora avere una funzione se continuasse a coltivare il suo valore di contraddizione.
Ma, per farlo, deve ammettere che una tradizione ottimistica e fiduciosa di una dialettica storica
positiva deve considerare una valutazione opposta, che privilegia gli aspetti utopistici,
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irrealistici e negativi del fare poesia. Adorno porta questa logica alle estreme conseguenze:
la vera arte deve sottrarsi alla sua condizione di merce, essere d’avanguardia,
recuperare il valore di inutilità pratica che la metta al di sopra dei valori mercantili
cui si è consegnata assumendo valore di scambio
(perciò la rivalutazione del decadentismo, come fuga dalla realtà e rifiuto dei condizionamenti sociali).
55 Galvano della Volpe (1895-1968) soprattutto nella Critica del gusto (1960) approfondisce la concezione dell’estetica
marxista capace di integrare le più recenti acquisizioni delle discipline linguistiche e semiologiche.
[La semiologia (dal francese sémiologie, "studio del segno") è una disciplina che studia i segni.
A differenza della semiotica, si occupa prevalentemente di linguaggi verbali, o comunque attribuisce al linguaggio verbale
un'importanza centrale]. Il suo materialismo si fonda non più sul piano dei contenuti, ma nei caratteri specifici e intrinseci
al fatto letterario, nella convinzione, contraria a quella di Croce e Lukàcs, che questo sia, come la scienza,
un procedimento razionale e intellettuale, fondato non solo sull’intuizione e sulle immagini, ma anche sul significato
acquisito grazie a una pregnanza semantica contestuale interna stilistica (13). Il suo senso è polisenso o polisèmo, cioè
ricco di tanti significati aggiunti, enucleabili dai valori semantici attribuibili ai singoli elementi verbali.
Nella scienza vocaboli ed espressioni hanno un significato univoco in rapporto a un sistema conoscitivo esterno al testo.
56 Walter Benjamin, Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, La dialettica dell’Illuminismo, 1947,
traduzione italiana 1974. Theodor W. Adorno, Note sulla letteratura, 1958, traduzione italiana 1979
Un’arte che, contrariamente alle prime formulazioni del marxismo, non conosce, non comprende,
non educa, ma diventa negativa esprimendo dolore e lacerazione:
Guernica (Ricasso), con il paesaggio sconvolto e le figure umane irrealisticamente deformate,
o il teatro dell’assurdo (Beckett) con personaggi scarnificati e ridotti all’essenziale,
svelano la drammatica condizione dell’intellettuale contemporaneo, che scopre la fine dei valori.
In Italia l’arrivo di questa teoria produce un vistoso cambiamento metodologico.
I mutamenti che si verificano all’interno delle posizioni marxiste conducono alla revisione delle
posizioni gramsciane: in Scrittori e popolo (1965) e nella Sintesi di storia della letteratura italiana
(Einaudi, 1972) – affidata a più studiosi, è concepita secondo un sistema modulare,
con taglio di tipo problematico e aperto - Alberto Asor Rosa denuncia il carattere provinciale e piccolo
borghese di una letteratura nazionale incapace di sciogliersi dai lacci del moderatismo ottocentesco
(ancora evidenti nel neorealismo) e di diventare moderatamente europea.
L’allievo di Sapegno ribadisce l’importanza del consenso, degli intellettuali,
come mediatori e organizzatori dei processi culturali in cui si colloca anche la letteratura
(ogni capitolo del suo profilo storico inizia con un paragrafo su questo problema),
ma rovescia i criteri di valutazione gramsciana legati al concetto di letteratura nazionale-popolare
(populista), che accusa di essere attardata e provinciale, diversamente dagli esemplari
- per quanto riguarda la critica dell’ideologia borghese – i grandi autori della crisi,
con le loro drammatiche esperienze della malattia, dell’assurdo, del negativo -
secondo una dialettica, conflittuale e problematica, che resta interna al mondo borghese,
ma ne fa emergere le contraddizioni. Alle sue soluzioni populiste contrappone Verga, Svevo e Montale,
che non cedono alle facili illusioni progressiste.
Superando le discriminazioni crociane e postcrociane, rivaluta Pinocchio e Cuore,
opere essenziali per comprendere le scelte pedagogiche del periodo post – unitario.
Opere riconosciute importanti tardivamente indicano un grado di originalità precorritrice,
che anticipa gli sviluppi del processo letterario [rif. p. 30]
Nell’ideologia di questa nuova sinistra si riconoscono pure:
Franco Fortini (1917-1994, Verifica dei poteri, 1965), Romano Luperini e Arcangelo Leone de Castris
che, dopo aver aderito alle tesi di Lukàcs, rivaluta il Decadentismo italiano: Svevo, Pirandello,
D’Annunzio (1975): non quello dell’ultimo autore, ma quello degli altri due,
per il grado di maturità con cui, una volta avvertita, interrogano la crisi contemporanea
che investe il ruolo degli intellettuali, non più considerato culturalmente superiore ad altri.
Dagli anni settanta-ottanta la critica marxista trova una sua funzione anche scissa dalle componenti
di fondo che ne determinano la nascita, perché in una società postindustriale,
che integra il potenziale rivoluzionario del suo proletariato