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PARAFRASI CANTO SECONDO

Lettori, che in una piccola barca (cioè dotati di una intelligenza e di una cultura inadeguate all'altezza di contenuto della terza cantica), desiderosi di ascoltare (il mio canto), avete seguito la nave del mio ingegno che cantando si apre un varco, ritornate ai luoghi dai quali siete partiti: non arrischiatevi ad entrare in mare aperto, perché forse, non avendo la forza necessaria per seguirmi, vi trovereste smarriti.

L'acqua che mi accingo a solcare non è mai stata percorsa da nessuno: Minerva (dea della sapienza) col suo fiato gonfia le vele della mia nave, e Apollo (dio della poesia) è il mio nocchiero (guida) e le nove Muse (protettrici delle scienze e della tecnica artistica) mi mostrano la direzione indicandomi l'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore.

(Invece) voi pochi che fin da giovani rivolgeste la mente alla scienza delle cose divine, della quale sulla terra ci si può nutrire ma senza potersi mai saziare (come,

inaccessibilità della conoscenza (voi sì potete spingere per il mare profondo il naviglio della vostra intelligenza). Il poeta invita i lettori a seguire la scia sollevata dalla sua nave di parole, prima che l'acqua torni ad appianarsi. Fa un parallelo con gli Argonauti che, nel loro viaggio verso la Colchide, non si meravigliarono quando videro Giasone trasformarsi in contadino. Il poeta suggerisce che i lettori non si meraviglieranno di fronte alle meraviglie che egli esporrà. Nel primo canto, il poeta invoca Apollo e le Muse, esprimendo orgoglio per la complessità dell'argomento trattato e al contempo umiltà per le proprie limitate capacità. Nell'inizio del secondo canto, il poeta ribadisce con fermezza il carattere trascendentale dell'argomento e dell'ispirazione, sottolineando anche l'inaccessibilità sublime della conoscenza.solitudine nella quale si trova il Poeta, che apre per primo il solco in mare aperto (e il latinismo dell'espressione "alto saler" ribadisce il carattere aristocratico della poesia della terza cantica). A questo "senza dubbio orgoglio dei propri 'ingegno' di poeta, ma anche esaltazione di credente che ha la messianica certezza di essere il vate designato da Dio a illuminare i piccoli mortali. L'arduo cimento a cui egli ora si accinge richiama l'immagine dei navigare che, già apparsa all'inizio del Purgatorio (I, 1-3), qui attinge la sua più alta forza espressiva, dando drammatica consistenza all'ideale ardimento per cui il Poeta si lancia con la fantasia là dove si sente vertiginosamente solo tra gli uomini..." (Grabher). Questa rotta ideale verso il cielo potrà essere seguita solo da un picco, lo stuolo di accompagnatori, perché essa presuppone il possesso della scienza teologica, del pan delliangeli (l'espressione è biblica: cfr. Salmo LXXVIII, 25; Sapienza XVI, 20), alla quale bisogna drizzare per tempo la mente. Infatti "tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere... Veramente da questa nobilissima perfezione molti sono privati per diverse cagioni... Oh beati quelli pochi che siedono a quella mensa dove il pane degli angeli si mangia! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo!" (Convivio I, I, 1-7). Per la seconda volta (cfr. anche canto I, versi 5-9), quindi, Dante richiama l'attenzione dei lettori sul fatto che la poesia del Paradiso è una poesia per "iniziati", per i pochi, cioè, che per dottrina e spiritualità sapranno vedere in essa l'espressione dell'ineffabile. A concludere questo nuovo proemio, che non a torto il Sane definisce "trionfale", si presenta a Dante, spontaneo, non come fredda reminiscenza erudita, ma come rinnovellamento quasi necessario di un

"fatto eroico rivìssuto dal Poeta con intirno fervore e con accesa passione" (Sanesi), il famoso mito degli Argonauti. Essi, per conquistare il favoloso vello d'oro, si diressero dalla Grecia verso la CoIchide. Qui giunti, videro il loro capo. Giasone, trasformarsi, per portare a buon termine l'impresa, in contadino, arando un campo con buoi spiranti fiamme e seminandovi poi denti di serpente, dai quali nascevano uomini armati (Ovidio - Metamorfosí VII, 100 sgg.). Il desiderio innato è incessante dell'Empireo, il cielo che riceve la sua forma da Dio, ci portava (in alto) veloci quasi come vedete (girare veloce) il cielo stellato (nel suo moto intorno alla terra). Beatrice fissava lo sguardo in alto, ed io fissavo il mio in lei; e forse nel tempo in cui una freccia è posta sulla corda dell'arco e vola dopo essersi staccata dall'osso della balestra, mi vidi giunto dove una cosa meravigliosa attrasse a se i miei occhi; e perciò"

Beatrice, alla quale nessun mio pensiero poteva rimanere nascosto, voltasi verso di me, con espressione tanto lieta quanto bella, mi disse: "Innalza con riconoscenza la tua mente a Dio, che ci ha fatto giungere al cielo della Luna".

Mi sembrava che fossimo avvolti da una nube luminosa, densa, compatta e liscia, simile a diamante colpito dalla luce del sole. Quella gemma incorruttibile ci accolse dentro di se, come l'acqua riceve, senza che la sua superficie si rompa, un raggio di luce.

Dante e Beatrice giungono nel primo dei nove cieli fisici che costituiscono con il decimo, l'Empireo, cielo solo spirituale, la cosmologia paradisiaca. Ogni cielo, formato da uno strato di materia diafana, contiene un pianeta o, come l'ottavo, stelle fisse, che si presentano come materia lucida, spessa, solida e pulita (cfr. verso 32). Allorché Dante afferma di passare da un cielo all'altro, egli intende riferirsi al passaggio da un pianeta all'altro, in un ritmo.

ascensionale continuo che scandirà il suo progressivo avvicinarsi a Dio. Sarà proprio la luminosità dei cieli, oltre che il sorriso e la bellezza sempre più splendenti di Beatrice e delle anime beate, a segnare questa spirituale progressione che, di luce in luce, porterà Dante al lume informa di rívera fluvido di fulgore (Paradiso canto XXX, versi 61-62), il quale aprirà al Poeta la visione totale dell'Empireo.

Poiché io ero un corpo, e poiché sulla terra non è pensabile che una materia estesa possa compenetrarsi con un'altra (senza spezzarne la compattezza), il che avviene di necessità se un corpo penetra in un altro, (questo prodigio) dovrebbe maggiormente accendere in noi il desiderio di contemplare (in cielo) l'essenza di Cristo, nella quale si vede come la natura umana si sia compenetrata con la natura divina.

In cielo vedremo quei misteri che ora accettiamo per fede, ma saranno noti per la loro

Evidenza immediata, non perché dimostrati razionalmente, come i principi fondamentali che l'uomo crede (per intuizione, senza poterli dimostrare). Io risposi: "Madonna, con la maggior devozione possibile, ringrazio Dio che mi ha allontanato dal mondo mortale. Ma ditemi: che cosa sono le macchie scure della superficie lunare, le quali laggiù sulla terra fanno credere agli uomini che si tratti di Caino?

Con un'arida formula di passaggio, che sembra allontanare la prima parte del canto, sorretta da un fortissimo slancio spirituale, dalla seconda, che si offre, all'inizio, come momento di pausa narrativo-didascalica (ma ditemi: che sono...), è introdotta una lunga disquisizione sulla causa delle macchie lunari. Il Poeta presenta dapprima l'opinione comunemente diffusa tra il popolo, che vede in quelle macchie la figura di Caino, il quale, dopo l'uccisione di Abele, sarebbe stato trascinato da un vento impetuoso sulla Luna, e condannato a

di aprire la porta del sapere, come potrebbe l'uomo comprendere i misteri dell'universo? La ragione umana ha i suoi limiti, eppure è attraverso di essa che l'uomo cerca di spiegare ciò che lo circonda. Ma la verità va oltre la ragione, va oltre ciò che possiamo percepire con i nostri sensi. È solo attraverso la fede che possiamo avvicinarci alla conoscenza divina, alla verità ultima. Ecco perché Beatrice non si preoccupa di confutare la posizione di Dante, perché sa che la ragione da sola non può portarci alla verità. È solo attraverso la fede che possiamo sperare di comprendere i misteri dell'universo e di trovare la nostra vera felicità."

di aprire (la porta alle verità soprasensibili), ormai non dovrebbero davvero più pungerti gli strali della meraviglia, dal momento che vedi come la ragione seguendo i sensi può compiere solo un breve cammino. Ma dimmi quello che pensi per conto tuo di queste macchie”. Ed io: “Ciò che a noi (sulla terra) appare variamente luminoso nelle sfere celesti, credo dipenda dalla diversa rarità o densità della materia di questi corpi“ Ed ella: “Senza dubbio riconoscerai che la tua opinione è profondamente erronea, se ascolterai attentamente la dimostrazione che farò contro di essa. L’ottavo cielo (quello delle stelle fisse) vi presenta molti astri, che per la qualità e quantità della loro luce mostrano aspetti diversi. Se soltanto la rarefazione e la densità della materia causassero tale diversità, in tutte le stelle vi sarebbe una sola virtù, distribuita in quantità

maggiore o minore o uguale. Ora virtù diverse devono necessariamente derivare da principi formali diversi, e questi principi, eccetto uno, verrebbero ad essere distrutti secondo il tuo ragionamento. Beatrice dimostra la non validità della posizione averroistica con un ragionamento proprio del metodo scolastico: alla confutazione della teoria erronea (versi 64-105) seguirà l'esposizione della tesi valida (versi 112-148), nella quale, sulla scorta di San Tommaso e di altre scuole dell'epoca, respinge la spiegazione di Averroè per accettare quella offerta da un altro pensatore arabo, Avicenna. Per dimostrare che solo una diversa natura specifica può spiegare la presenza del chiaro e dello scuro nei corpi celesti, Beatrice porta l'esempio delle stelle fisse del cielo ottavo, che si presentano differenti le une dalle altre per quantità e qualità di luce. Ora, se si ammette, come vuole Averroè, che i corpi celesti hanno una stessanatura specifica, e che le diversità che si
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Publisher
A.A. 2008-2009
69 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher maozinha di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura Italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze letterarie Prof.