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Il nucleo originario dell’opera dovette essere costituito dalle carte “liviane”, cioè dagli appunti a cui
Machiavelli affidava le riflessioni politiche suggeritegli dalla lettura dei primi dieci libri della
“Storia” di Livio, in cui si tratta principalmente degli inizi della Roma repubblicana. Ne risultano i
“Discorsi”, che sono dedicati ai due amici Zenobi Buomdelmonti e Cosimo Rucellai, esponenti del
cenacolo degli intellettuali che si riuniva negli Orti Oricellai. L’opera è divisa in tre libri:
I libro: tratte delle iniziative di politica interna di Roma, intraprese per deliberazione
pubblica;
II libro: tratta della politica estera e dell’espansione dell’impero;
III libro: tratta delle azioni dei singoli cittadini, che contribuiscono alla grandezza di Roma.
Machiavelli ritiene che dalla storia del passato si possano ricavare esempi validi per ogni tempo. Se
il “Principe” può essere ricondotto ad un preciso genere rinascimentale, il trattato, i “Discorsi” non
rientrano in un genere precisamente individuabile, ma si presenta come una serie di riflessioni su 63
singoli temi, senza una rigorosa architettura generale. Se il “Principe” è conciso e incalzante, i
“Discorsi” si abbandonano alla riflessione divagante.
Il rapporto tra Discorsi e Principe e l’ideologia politica dell’autore:
Le differenze riguardano anche i livelli più profondi del pensiero: se nel “Principe” Machiavelli
affronta la forma di governo monarchica ed assoluta, e celebra la “virtù” del principe, nei
“Discorsi” lascia trasparire chiaramente forti simpatie repubblicane. Una spiegazione, a queste
contraddizioni, può essere questa: l’orientamento di fondo di Machiavelli è certamente
repubblicano, ma il “Principe” è scritto sotto l’urgenza immediata di una situazione gravissima.
Machiavelli riteneva che nel momento della creazione di uno Stato nuovo fosse indispensabile la
virtù politica straordinaria di un singolo, mentre restava convinto che la repubblica fosse la forma di
governo che garantiva maggiore stabilità e durata alle istituzioni e stimolava la “virtù” dei cittadini,
in senso civile e militare. Le contraddizioni tra le due opere sono dunque più apparenti che reali, il
“Principe” ha il carattere dell’opera militante, destinata ad incidere direttamente sullo scenario
politico, mentre i “Discorsi” hanno più il carattere di riflessione teorica generale.
Il pensiero politico nel Principe e nei Discorsi
Teoria e prassi:
Machiavelli non è un teorico puro, le sue concezioni scaturiscono dal rapporto diretto con la realtà
storica, grazie anche agli incarichi nella Repubblica fiorentina. Il suo pensiero si presenta così come
una stretta fusione di teoria e prassi. Alla base di tutta la riflessione di Machiavelli vi è la coscienza
lucida e sofferta della crisi che l’Italia contemporanea sta attraversando: una crisi politica, in quanto
l’Italia non presenta dei solidi organismi statali unitari, crisi militare, in quanto si fonda ancora su
milizie mercenarie, ma anche crisi molare, perché sono scomparsi tutti quei valori che danno
fondamento saldo ad un vivere civile. Perciò gli Stati italiani sono prossimi a perdere la loro
indipendenza politica. Per Machiavelli l’unica via d’uscita è un principe dalla straordinaria “virtù”,
capace di organizzare le energie e di costruire una compagine statale abbastanza forte da contrastare
le mire espansionistiche degli stati vicini. A questo obiettivo è indirizzata tutta la teorizzazione
politica di Machiavelli, la quale perciò si riempie del calore passionale. Machiavelli elabora una
teoria che aspira ad avere una portata universale, a fondersi su leggi valide in tutti i tempi, questo
conferisce alle sue opere uno straordinario valore letterario, ma poi la sua speculazione assume
anche la fisionomia di una vera teoria scientifica.
La politica come scienza autonoma:
Machiavelli è stato indicato come il fondatore della moderna scienza politica. Innanzitutto egli
delimita nettamente il campo di tale scienza, distinguendo da altre discipline che si occupano
egualmente dell’agire umano, come la morale. La teoria politica nel Medioevo era subordinata alla
morale, si è visto come gli “specula principis” offrissero ai regnanti un modello di comportamento
ideale. Machiavelli invece rivendica vigorosamente l’autonomia del campo dell’azione politica:
essa possiede delle proprie leggi e dei metodi valutativi differenti dalla morale, inoltre rafforzare e
mantenere lo Stato garantisce il bene dei cittadini. Ogni altro criterio, se il sovrano sia stato giusti,
mite o violenti, non riguardano la valutazione politica del suo operato. È una teoria di sconvolgente
novità, Machiavelli ha il coraggio di mettere in luce ciò che avviene realmente nella politica.
Il metodo: 64
Oltre al campo autonomo su cui si applica la nuova scienza, Machiavelli ne delinea chiaramente il
metodo. Esso ha il suo principio fondamentale nell’aderenza alla “verità effettuale”. Machiavelli,
proprio perché vuole agire sulla realtà, ne deve tenere conto, quindi per ogni costruzione teoretica
parte sempre dall’indagine sulla realtà concreta, empiricamente verificabile. Proprio a partire
dall’osservazione della realtà, da dati empirici offerti dall’esperienza, è l’aspetto caratterizzante il
metodo scientifico moderno, quello che sarà poi di Galileo e delle scienze fisico-naturali.
L’esperienza per Machiavelli può essere di due tipi:
Esperienza diretta: ricavata dalla partecipazione personale alle vicende presenti;
Esperienza indiretta: ricavata dalla lettura degli autori antichi.
La concezione naturalistica dell’uomo e il principio di imitazione:
Alla base di questo modo di accostarsi alla storia vi è una concezione tipicamente naturalistica:
Machiavelli è convinto che l’uomo sia un fenomeno di natura al pari di altri e che quindi i suoi
comportamenti non varino nel tempo. Per questo ha fiducia nel fatto che, studiando il
comportamento umano attraverso le fonti storiche si possa arrivare a formulare delle vere e proprie
leggi di validità universale. Per questo la sua trattazione è costellata di esempi tratti dalla storia
antica. Perciò propone il principio tipicamente rinascimentale dell’“imitazione”. Nel Proemio egli
constata che l’imitazione degli antichi è praticata nelle arti figurative e depreca che lo stesso non
avvenga nella politica. Da questa visione naturalistica scaturisce la fiducia di Machiavelli in una
teoria razionale dell’agire umano.
Il giudizio pessimistico sulla natura umana:
Punto di partenza per la formulazione di tali leggi è una visione crudelmente pessimistica dell’uomo
come essere morale. Gli uomini per Machiavelli sono malvagi, ingrati, volubili e simulatori, la
molla che li spinge è l’interesse materiale ed egoistico. L’uomo politico deve agire su questo
terreno, non su un terreno ideale, perciò il principe non deve seguire sempre l’ideale e la virtù, deve
essere umano oppure feroce come una bestia (Machiavelli propone l’immagine del centauro, mezzo
uomo e mezzo bestia). Sono queste le affermazioni che hanno attirato su Machiavelli tanta
esecrazione, fino ai giorni nostri (la parola “machiavellico”, evoca l’idea del subdolo inganno).
L’autonomia della politica dalla morale:
In Machiavelli sa bene certi comportamenti del principe sono atti riprovevoli. Ma ha il coraggio di
andare sino in fondo nella sua distinzione del giudizio politico da quello morale. Machiavelli non è
quindi il fondatore di una nuova morale, egli individua semplicemente un ordine di giudizi
autonomi, che non si regolano sul bene e il male, ma sull’utile o il dannoso politicamente. Certi
comportamenti immorali e crudeli sono adottabili solo dal politico, solo per il bene dello Stato.
Inoltre Machiavelli fa la distinzione tra “principe”, chi opera a vantaggio dello Stato, e se usa
metodi riprovevoli, lo fa per il bene pubblico; e il “tiranno”, che è crudele senza necessità, e solo a
suo vantaggio.
Lo Stato e il bene comune:
Solo lo Stato può costituire un rimedio alla malvagità dell’uomo e al suo egoismo. La durezza e la
violenza del principe devono sempre avere per fine il bene comune. Per mantenere lo Stato sono
indispensabili certe virtù civili, l’amore di patria, l’amore per la libertà, l’onesta…, ma per radicare
tali virtù, in uomini non buoni, sono necessarie precise istituzioni: 65
La religione: obbliga i cittadini a rispettarsi gli uni con gli altri. Questa era la funzione della
religione Romana secondo Machiavelli, con i suoi insegnamenti induceva anche alla forza
virile e al coraggio. In un capitolo dei “Discorsi” rimprovera invece la religione cristiana per
la mitezza e la rassegnazione;
Le leggi: in uno Stato ben organizzato sono le buone leggi il fondamento del vivere civile;
Le milizie: sono il fondamento della forza dello stato, esse devono essere composte da
cittadini.
La forma di governo che meglio compendia in sé questa idea di Stato ordinato e sicuro è la
repubblica. Il principato è per Machiavelli una forma transitoria, indispensabile solo per determinate
contingenze.
Virtù e fortuna:
Si delineano così due concezioni di “virtù”: la virtù eccezionale del singolo, del politico-eroe, che
brilla nei momenti di eccezionale gravità, e la virtù del buon cittadino, che opera entro le stabili
istituzioni statali. Machiavelli ha comunque una visione eroica dell’agire umano. In lui viene a
confluire quella fiducia nella forza dell’uomo, che era patrimonio della civiltà comunale (si pensi a
Boccaccio). Machiavelli sa bene che l’uomo nel suo agire ha precisi limiti e deve tenere conto di
fattori che non dipendono dalla sua volontà. Questi limiti assumono il volto capriccioso della
fortuna, il combinarsi di forze puramente casuali, svincolate da ogni finalità trascendente. Dalla
tradizione umanistica Machiavelli eredita la convinzione che l’uomo può fronteggiare
vittoriosamente la fortuna.
Vi sono vari modi di contrapporsi con felice esito alla fortuna. In primo luogo essa può costituire
l’occasione del suo agire. La “virtù” del singolo e l’“occasione” si implicano a vicenda: le doti del
politico restano puramente potenziali se egli non trova l’occasione per affermarle. L’occasione può
anche essere una condizione negativa (cattivi