Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
INNO ALLA MORTE
1925, sezione “Fine di Crono” vedremo come l’Inno alla morte inizi con l’invocazione di amore. Un
amore che in questo caso è assimilato direttamente all immagine del sole nella sua accezione
mitica apollinea: Apollo, Dio del sole, che col cocchio dorato attraversava il cielo durante il giorno.
Ungaretti, a distanza di due anni da Sirene, non solo ricorre al binomio eros e tanatos, ma usa
anche termini che già aveva usato nel componimento del 23, quasi a rilevarne la essenzialità del
senso:con quella parola rimanda a un concetto che già aveva espresso precedentemente. Come
per esempio il verbo “turbare”della prima strofa, verbo che era già stato usato in Sirene, ma come
effetto dell’azione d’amore e che in questo caso invece viene applicato alla luce: la luce secondo
Agostino è quella che mette in evidenza la realtà, dall’altra parte (Cezanne) è quella che fa
cambiare gli aspetti della realtà in quanto lui non dipinge quello che è, ma quello che vede, quello
che la sua coscienza interiore intuisce in un certo modo e lo percepisce in modo sempre diverso a
seconda di come è la luce, del suo rapporto con le cose circostanti, nel gioco di ombre e luci che
variano a seconda dei rapporti stabiliti tra ciascun elemento di quelle cose.Quì avviene la stessa
cosa: la luce suscita e cambia le cose: la luce che deriva da amore, dal sole, che entra nel bosco
nella profondità dell’abisso e come la tortora silenziosa, si turba: si muove questa scia di luce
sull’erba svagata: svagare è vagare e disattendere e mutare. In questo caso l’uso del verbo
turbare non ha poi nessuna differenza dal modo in cui era usato in Sirene, in quanto mette in
evidenza la facoltà del desiderio di smuovere da quella che è l’indifferenza e relazionarsi con una
realtà sempre diversa. L’amore in quanto immagine del tempo, del sole e della forza viene a
essere assunto ancora una volta in antitesi con la coppia tematica dominante (eros e tan.) come
emblema della giovinezza, una giovinezza che contrasta con “mi pesano gli anni venturi” quindi
amore inteso come emblema di una giovinezza che contrasta con quella vecchiaia che è principio
e immagine della imminenza della morte. Diffuso nel giorno rupestre: la luce del sole si diffonde.
L’inno alla morte inizia con l’immagine del sole e della luce che illumina; il giorno rupestre vuol dire
in una espressione sola che è l’alba all’interno di un paesaggio rupestre, montagnoso, a cui fanno
riferimento anche tutti gli altri elementi che sono messi tra parentesi. È un immagine stranamente
dantesca (insolito perché solitamente fa più riferimento a Petrarca) un paesaggio montagnoso
descritto nei suoi precipizi e burroni, ambiente selvaggio. Rapporto sin estetico che lega tortora e
luce, il movimento che perfino la sensibilità uditiva: muoversi della luce e rumore che si sente
intorno . Nek verbo turbare c’è anche il tubare della tortora. Ultima volta che guarda il fascio
perché è l’ultima volta che vedrà quella precisa scia di luce in quanto è in continuo cambiamento.
E’ quindi la percezione non solo del mutare delle cose e della loro inafferrabilità, ma soprattutto la
percezione della loro perdita e quindi la mia vita non è altro che una perdita di qualcosa. È per
questo che pesano gli anni venturi, il futuro, in quanto sarà un accumularsi di perdite. Amore
emblema contro la vecchiaia, salute contro l’infermità, la luce che diventa lucente ed è l immagine
stessa della vita.
03-10-12
SIRENE: Amore: riflessione sul tempo che sta alla base del ST, che prende in considerazione vari
aspetti elementi dell’esistenza che vengono determinati dal tempo. La funzione del desiderio e le
conseguenze dell’azione del desiderio e da che cosa nasce e come questo si determina viene a
interessare la riflessione di Agostino sul tempo nelle confessioni, cioè quali dei tre momenti in cui
dividiamo il tempo (passato-presente-futuro) esiste veramente? Relativo a questo c’è tutta la teoria
su immaginario e reale. Agostino dice che il passato di per sé non esiste e non è altro che il ricordo
che io ho di qualcosa che nel momento in cui viene ricordato è già stato e dunque non ha più
consistenza: il futuro non esiste in quanto non è altro che la proiezione del mio immaginario e/o del
mio desiderio in un tempo che è continuamente procrastinato. Ciò che effettivamente esiste è un
momento che si brucia nel momento stesso, nella reminiscenza del passato e nella sua proiezione
nel futuro. La riflessione teorica psicoanalitica freudiana, dall’altra parte, ma anche già a partire
dalla riflessione filosofica shopenoueriana già anticipata in poesia dal discorso teorico leopardiano,
(il mondo come realtà e rappresentazione di Shop. Mette in evidenza come la funzione del
desiderio sia stimolata dalla mancanza di qualcosa - derivanti dal momento della nascita stessa-
che provoca il desiderio e dalla percezione di quell’assenza ne deriva l’esigenza di colmarla
proiettando l’esaudimento del desiderio nel futuro. Il presente non è altro che il deperimento,
l’esaurimento del presente nella sua proiezione verso il futuro: nell’inno la morte assume una
valenza positiva nel testo ungarettiano e come fine/termine dell’opera. Cos’è la vita se non una
successione di apparenze mutevoli? “è l’ultima volta che VEDO”: variano sempre per opera del
tempo e per il nostro mutare, ma se non ci fosse quel mutare, quel desiderio e mancanza, non ci
sarebbe nemmeno la vita che vale quella mancanza.
INNO: acqua è LETE, fa dimenticare.
“amore mio giovane emblema tornato a dorare la terra”= illuminare con l’oro, la luce della terra e
dice tornatO perché lo identifica col sole e quindi con la divinità che rappresentava il sole, quindi
Apollo. La figura del sole viene per traslazione del campo semantico, sottolineata dal suo
accostamento col verbo tornare, crea una relazione tra la figura del sole e la figura del temo: quindi
tra la figura dell’amore e la figura del tempo stesso.
(PG316)CORI PER LA TERRA PROMESSA, 9°CORO: risponde al rapporto della trasfigurazione
dello scorrere del tempo con il movimento perpetuo del Sole. Il riferimento in questa poesia è al
giorno del compleanno del poeta che mette in evidenza il tempo che passa: tutti gli anni la mimosa
torna a fiorire. Nell’ultimo periodo della sua vita, dopo la morte della moglie, U si era trasferito da
via Remuria a Roma, all’Eur dalla figlia. L’immagine della mimosa fiorita ogni anno e che ritorna a
fiorire è manifestata già nella sua duplice diversità si presente e di passato:la mimosa che il
soggetto poetico vedeva dalla finestra della casa dove aveva abitato e la mimosa che vede ora
fiorire dalla finestra della casa dove abita e dunque nel confronto tra presente e passato. Immagine
della realtà e della memoria: confronto che se nel caso specifico è fatto tra l’albero che s inquadra
nella finestra del presente e quello del passato, potrebbe essere fatto anche tra la mimosa come
appare ora e che ricordiamo fiorita l’anno scorso. Il tempo NON scorre: Gozzano diceva “tutto
ritorna” così come afferma il primo principio della termodinamica e quello che chiamiamo tempo
non scorre, ma passa attraverso noi che ne constatiamo il passaggio attraverso la modificazione
delle cose e apparenze che sono intorno a noi: cose apparentemente sempre presenti o che
ritornano e di cui vediamo il cambiamento col confronto dell’immagine del passato. “mentre arrivo
vicino al gran silenzio…”: nel momento in cui si approssima la morte (dietro questo discorso
filosofico c’è sempre un discorso di tipo linguistico relativo alla parola: è lei che muta e offre diversi
aspetti della realtà la quale nasce e defluisce nel silenzio) se di tutte le cose ritorna comunque
l’apparenza (perfino ciò che è morto ch torna nel sogno o nell’immaginazione:pg 293 Terra
Promessa: il privilegio della notte e della momentanea sospensione di tutte le apparenze reali nella
oscurità della notte che il tempo può proiettarsi momentaneamente all’indietro e far nascere,
rinnovare, la speranza di rendere alla luce quei gesti tanto amati da essere creduti immortali. Nella
notte, oscurità e momentanea sospensione dell’urgenza della realtà, ciò che è morto, passato – fa
riferimento al figlio- l’immagine dei suoi gesti riappare, è riportata alla luce e si mantiene nella forza
della memoria, del ricordo. La poesia s’intitola il segreto del poeta: perché è quell’inesauribile
segreto che deriva dalla notte e che può essere detto solo parzialmente)che è cmq un apparenza
sempre diversa, se però tutto torna vorrà dire che niente muore ma che tutto esiste e resiste o
saprò finalmente che la morte non ha regno che sopra l’apparenza? Quando sarò morto riuscirò a
sapere che tutto continua a vivere e che quindi la morte non esiste o che c’è solo la morte che
regna sul nulla?
Ogni parola nasce e finisce nel silenzio:è l’esperienza della morte.
INNO ALLA MORTE: “Abbandonata la mazza fedele..morte arido fiume”, tornando ai Fiumi : tutti i
fiumi e tutti i periodi storici della sua vita si ritrovino/riconoscano nell’acqua dell’Isonzo “questi sono
i miei fumi contati nell’Isonzo” ed è la mia nostalgia per ciò che non c’è più; nell’oscurità della notte
e nella constatazione di tutto ciò che manca, che è stato perduto e sembra quasi racchiudersi nella
corolla di questo fiore cui è paragonata la vita, ciò che è presente diventa l’immagine stessa della
perdita, di ciò che è stato e che seguita a mantenersi attraverso la memoria. È la memoria dunque
che prevale in questa immagine di un fiume o tutti i fiumi che fanno riferimento a diverse epoche
della vita. Nella poesia del 1916 il rapporto tra identità e armonia universale, tra vita e infinito, tra
memoria e innocenza, viene fatto attraverso l’immagine d un fiume, l’Isonzo in cui si condensano
tutti i fiumi della sua vita, attraverso l’elemento della memoria che viene invece negata laddove si
prospetta un altro fiume arido “ma queste occulte mani”. Nell’Inno invece c’è un acqua buia,ed il
fiume è arido perché è il fiume che toglie la memoria della morte e la memoria svanisce. Nell’altra
poesia parla della nostalgia degli altri suoi fiumi e delle epoche d