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Il poemetto La religione del mio tempo é diviso in sei capitoli e scritto in terzine rimate, risente del clima
politico creatosi dopo la repressione ungherese del 1956.
"In realt° nel mio libro una 'crisi' c'è: ed è detta, espressa, esplicita. [...] C'erano nel mio libro delle critiche
dirette al Partito comunista: critiche, natuaralmente, nella lingua della poesia: ma comunque facilmente
decifrabili e traducibili in termini logici. C'erano critiche al partito, quello concreto e operante, quello che è hic
et nunc. Non certo alla ideologia marxista e al Comunismo! [...] L'ideologia de La religione del mio tempo, si
deduce da La religione del mio tempo: non ne è preesistente in uno schema politico, più o meno rigido. Le
opinioni politiche del mio libro non sono solo opinioni politiche, ma sono, insieme, poetiche; hanno cioè
subito quella trasformazione radicale di qualità che è il processo stilistico". (7)
Il poemetto si apre con due ragazzi che si allontanano tra i palazzoni di Donna Olimpia, mentre nel quinto
lemma vi e' una rievocazione di una nottata in auto con Federico Fellini verso il litorale romane. Pasolini
rifiuta in blocco la nascente società neocapitalista e quella ipocrita e volgare dei clericali. Una Chiesa e uno
Stato non hanno nulla a che fare con il sogno di resistenza religiosa che il ragazzo Pasolini aveva
idealizzato. V'è in questi versi il netto rifiuto dello sviluppo scambiato per progresso.Una religiosità che porta
il poeta, ora a esiti poetici altamente drammatici, ora a una spietata nostalgia, con quello che Fortini ha
definito un "raro ateismo".
"La religione del mio tempo segna un momento di riflusso: l'effusione autobiografica, l'intenerimento sul
proprio 'dolce' e 'infantile pianto', lo struggente vagheggiamento dell'antica 'religione' dell'Usignolo della
Chiesa Cattolica reincarnata nel mito di un popolo 'allegro' e miserabile, 'ingenuo' e 'corrotto', 'stracciato' ed
'elegante' , goduto-sofferto al di là di ogni conflitto e confronto, al di là della società e della storia. Più
precisamente Pasolini ripropone la sua ricorrente cotrapposizione tra quel 'popolo' e la città-società che lo
confina alla sua periferia, dentro le borgate, nei termini di un contrasto tra 'religione' di 'cristi' sottoproletari e
'irreligiosità' del neocapitalismo, tra il 'sacrilego, ma religioso amore' e la Chiesa degenere e 'spietata', tra
eresia evangelico-viscerale e 'Autorità', tra 'peccatori innocenti' e 'turpi alunni' di Gesù, tra l'aristocratica
sordidezza dei sottoproletari e la 'volgare fiumana dei pii possessori di lotti'. Che non arriva a ricostituire qui
un vero e nuovo dramma (e neppure a sviluppare quell'operazione sperimentale), ma al contrario si divarica
sempre più in due direzioni opposte: l'invettiva oratoria, esclamativa ed enfatica, contro la Chiesa e lo Stato
borghese da un lato, e l'idoleggiamento o rimpianto del mito friulano-materno e delle sue reincarnazioni,
dall'altro con tutte le conseguenze relative al livello del linguaggio e dello stile. Solo in seguito Pasolini
maturerà ed esplicherà con echi e significati più vasti, quel motivo di una mitologia preindustriale come
momento di demistificazione e di rottura nei confronti del neocapitalismo". (8)
Il senso di crisi e le controversie letterarie e politiche di Pasolini si ritrovano nei dodici epigrammi di Umiliato
e offeso e nei sedici Nuovi epigrammi che, insieme all'orazione poetica di In morte del realismo,
compongono la seconda parte del libro. L'epigramma A un Papa apparso per la prima volta su "Officina" del
marzo-aprile 1959 causa la rottura con l'editore della rivista Bompiani, e acutizza la progressiva e
inarrestabile crisi dell'esperimento officinesco.
La raccolta si chiude con le Poesie incivili in cui Pasolini è in bilico tra il desiderio di fuga e la giustificazione
della sconfitta privata. Tra i versi più belli e'Frammento alla morte dedicata a Fortini: "Una nera rabbia di
poesia nel petto / Una pazza vecchiaia di giovinetto".
"Poesie come La rabbia e Il glicine, rappresentano seriamente la chiusura di una lunga fase dell'esperienza
pasoliniana, senza riuscire peraltro a prospettare l'indicazione di una nuova e più feconda strada.
[...] Il motivo anche qui dominante è quello della crisi, della disperazione. Ma, più esattamente, esso assume
ora il volto della rabbia. [...] Nella Rabbia è la rosa solitaria dello stento giardino del poeta a suscitare in lui
un'ondata irrefrenabile di commozione e dolce-amara tristezza.." (4)
Ne La religione del mio tempo il nucleo centrale de Le ceneri di Gramsci, la poetica del 'dramma irrisolto', lo
scontro tra 'l'essere con Gramsci' e 'le buie viscere', non viene risolto ma divaricato, attraverso la polemica in
versi, la mitizazzione del popolo, ma anche la confessione autobiografica e il ritorno ad un mondo originario.
In questo continuo riferirsi a un "inaridito io" in un mondo del tutto estraneo (A me), e all'opposto a una serie
di personaggi pubblici è sintomatico di questa contraddizione. Ma la crisi che attraversa La religione del mio