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Intenzioni dell'autore
Pirandello vuole mettere in vista le contraddizioni intime dell'animo umano: una donna innocente viene scacciata di casa, con l'accusa infamante di tradire il sacro vincolo familiare, scatenando una serie di piccole o grandi tragedie che sconfinano con la distruzione fisica (la morte del padre di Marta), spirituale (la pazzia di Matteo Falcone) e sociale (la posizione di Gregorio Alvignani che non vuole e non sa prendersi le proprie responsabilità).
Da questa situazione si salvano soltanto coloro che restano ancorati non a un comune modo di sentire, che spesso si rivela primitivo e falso, ma a valori che vanno al di là della quotidiana realtà, come l'amore, la famiglia, la religione, che non devono essere visti e sentiti in modo egoistico e individualistico, secondo interessi particolaristici e materiali, ma essere collocati nell'ambito di una realtà della quale tutti possano far parte con eguale dignità e nella
quale non esistano segreti che possano essere visti da ciascuno a proprio modo. Il desiderio finale di Rocco Pentagora di fronte all'agonia della madre, che aveva vissuto lo stesso dramma di Marta, tende proprio a riappianare una realtà che è stata sconvolta dall'individualismo e da un rispetto dei valori solo apparentemente realizzato ma fondamentalmente assente; mentre prima Rocco si è comportato in quel modo perché così fan tutti o così tutti avrebbero fatto, alla fine si comporta nel modo che egli sente più veritiero, perché fondato finalmente sull'amore, superando convenzioni esteriori. L'individuo per potersi salvare finalmente dal disfacimento e dal dramma deve isolarsi da un contesto sociale fondato sull'interesse e su falsi ideali e riconquistare individualmente i veri valori, di cui ho detto sopra. Descrizione dei personaggi Gregorio Alvignani È certamente una figura di secondo piano, con unafisionomia non sempre nettamente delineata in quanto oscilla abbastanza facilmente da una funzionalità positiva a una funzionalità negativa. È un personaggio che non risulta sempre lineare e coerente nei suoi pregi e difetti, mostrando sia una funzionalità positiva che una negativa. Come funzionalità positiva rappresenta il sentimento dell'amore al di fuori delle convenzioni sociali; spesso appare sincero e può rappresentare per Marta un elemento che può permetterle di innalzarsi non solo sul piano spirituale ma anche sociale. Il suo amore si contrappone da un lato a quello di Rocco e dall'altro a quello di Matteo Falcone, che rappresentano gli altri due gradini della scala sociale e spirituale, rispettivamente quella mediana e quella della bassa mostruosità. Come funzionalità negativa abbiamo sia l'affermazione indiscutibile del maschio nella società caratterizzata dal predominio maschilista, al qualenulla può essere negato perché maschio, favorito dal destino, bello, intelligente, colto; sia il modello culturale della falsità delle classi elevate, che con la facondia e la cultura affascinano e obbligano gli inferiori ad ubbidire ciecamente. Anche Marta obbedisce: "Sentiva ch'era di quell'uomo elegante, ardito, che le camminava a fianco, ch'era venuto a prendersela improvvisamente; e lo seguiva, come se avesse davvero un diritto naturale su di lei, e lei aveva il dovere di seguirlo... Aveva perduto affatto la coscienza di sé, d'ogni cosa; e andava innanzi senza volontà, né speranza di poter più sciogliersi da quell'uomo che la avviluppava con la parola commossa" (152). Matteo Falcone Una funzione particolare assume questo personaggio nel romanzo, fino a ritagliarsi un proprio spazio compiuto e delimitato senza vivere di luce riflessa all'ombra della protagonista: quella di mettere in evidenza che chiunque.si poteva innamorare di una donna esposta in pubblico, sia pure per motivi di lavoro, non protetta dalla sacralità del vincolo matrimoniale.
La presenza di Marta scatena nell'animo di Falcone reazioni e sentimenti impensabili, che il personaggio stesso aveva cacciato via da sé per sempre, a causa della propria deformità fisica, subita come ingiusta condanna della natura, anche se ormai accolta fatalisticamente, aggravata dalla presenza folle della madre e della zia, mostruosi avanzi di una umanità indefinibile, donne naufragate nel momento in cui hanno perso la condizione per la quale sono nate, quella di figlie o di mogli.
La deformità di Falcone e la sua condizione familiare vengono descritte dall'autore in modo che risalti l'aspetto grottesco e disumanizzante dei tre personaggi, l'uno oggetto di timore inconfessato di fronte alla sua mostruosità, le altre due oggetto di riso e divertimento per le vicine. Il dramma di Matteo Falcone
è già insito nella sua descrizione (p. 122):"Era veramente d'una bruttezza mostruosa, e aveva di essa coscienza, peggio anzi: un tragico invasamento. Sempre cupo, raffagottato, non levava mai gli occhi in faccia a nessuno, forse per non iscorgervi il ribrezzo che la sua figura destava; rispondeva con brevi grugniti, a testa bassa e insaccato nelle spalle. I lineamenti del suo volto parevano scontorti dalla rabbiosa contrazione che gli dava la fissazione della propria mostruosità. Per colmo di sfortuna aveva anche i piedi sbiechi, deformi entro le scarpe adattate al meglio per farle andare."
I tre elementi sottolineati in grassetto sono usati secondo il canone della poetica realista, ma non verista, in quanto manca la caratteristica dell'oggettività, e rappresentano, inoltre, già netto il dramma del mostruoso Falcone: non potendo alzare gli occhi in faccia alle persone mai avrebbe potuto stringere rapporti umani e men che mai rapporti amorosi.
Tutto sarebbe rimasto chiuso nella sua anima, scontorta non solo per il suo corpo altrettanto scontorto ma anche per la mancanza di rapporti umani con altre persone. Gli unici rapporti di Falcone sono da un lato con gli alunni e il personale del Collegio e dall'altra con le due vecchie della sua casa: la madre e la zia, entrambe vedove, entrambe prive di quell'amore "coniugale", per il quale sono diventate pazze dopo la morte dei rispettivi mariti, con le quali si è stabilito un rapporto di amore/odio, di amore in quanto dello stesso sangue, di odio perché in esse vede se stesso e la propria impotenza di fronte alla bellezza della vita; con tutti gli altri si è creato quasi un muro, fatto di naturale incomprensione e di paura. Quando esplode il dramma della follia, ci troviamo davanti a un epilogo che noi conosciamo già: nella deformità di Falcone e nella sua conseguente disperata solitudine ritroviamo l'impossibilità di giungere.all'amore con una donna e a maggior ragione l'irrealizzabilità di essere amato da Marta, molto bella e di sani costumi, non incline a quelle torture spirituali che avrebbero potuto spingerla a farsi amare da un mostro. Per questo la sua reazione alle parole di Marta non è umoristica ma tutt'al più veristica. - Di dove viene? - fece ancora una volta il Falcone, fuori di sé dalla gelosia, tentando di ghermire un braccio di Marta. - Mi lasci, villano! o grido! - Gridi, lo faccia venir giù! Sono così, ma ho polsi, perdio, da storcergli il collo come a un galletto! È quel biondo mingherlino dell'altra volta? - Sì, mio marito! - fece Marta. - Vada a trovarlo! - Suo marito? Come! Quello è suo marito? - esclamò il Falcone, interdetto, stordito. Lo scrittore ci fa vedere oggettivamente il personaggio agire, anche se per un attimo ha sperato, oppresso da un destino al quale non può sottrarsi, fulminato dallanotizia che Marta tornava da una visita a "suo marito":- È suo marito? Senta... senta... Mi perdoni...- Vuol mettermi alla disperazione? - gli gridò Marta voltandosi e fermandosi un istante.- Non si disperi... Sono io il disperato! Mi perdoni, abbia pietà di me... merito compassione, non disprezzo... Non sono io il mostro, il mondo è un mostro, un mostro pazzo che ha fatto lei tanto bella e me così... Mi lasci gridar vendetta! Ripari lei, in odio a questo mondo pazzo! Faccia lei la mia vendetta! È una vendetta... è una vendetta..."Subito dopo vediamo il Falcone che inveisce "contro la gente che tentava di afferrarlo, vociando; urla, divincolandosi" mentre la strada si anima di persone che accorrono sia per curiosare che per "eliminare" quello che ritengono un pericolo per la loro sicurezza e la loro tranquillità. Il giorno dopo tutta la città e in particolare il Collegio (nel quale lavorano sia ilFalcone che Marta) sono a conoscenza dell'alienazione mentale del "mostro innamorato", senza sospettarne la vera causa, che resta un segreto per tutti, meno che Marta, che vede aggiungersi un altro motivo d'angoscia alla sua già difficile condizione: quello di perdere il posto se la accusassero di essere la reale causa dell'alienazione mentale di Falcone, come solo un rivale in amore come il Mormoni poteva capire:
Entrando, il giorno dopo, trepidante, nella sala d'aspetto del Collegio, Marta vi trovò la vecchia, linda Direttrice che conversava col Mormoni e col Nusco.
"Ha saputo, signora?"
"Che cosa?" - balbettò Marta.
"Il povero professor Falcone!"
"Falcone... La signora lo sa: era da aspettarselo!" - esclamò Pompeo Mormoni, trinciando in aria uno dei soliti gesti.
A questo punto il Falcone esce di scena dal romanzo, perché ha esaurito la sua funzione, quella da un lato di rappresentare visivamente per la "massa"
La mostruosità della condizione sociale di Marta scacciata di casa per adulterio ed all'altro di dimostrare come la discesa di Marta al fondo della perdizione avesse toccatto il punto più basso. La presenza del personaggio Falcone mette in evidenza le due metà di Marta, quella buona e quella mostruosa; la metà buona che tante sofferenze aveva patito, inflitte dalla sordità della gente e del marito, attento più al rispetto esteriore di norme inaccettabili che ai moti veri dell'anima, più all'apparenza che alla sostanza, convive con la metà mostruosa, una "mostruosità che spinge Marta ad accettare l'amore adultero di Gregorio Alvignani non come affermazione liberatoria e cosciente di sé come donna e come essere umano, ma come atto dovuto: Sentiva che era di quell'uomo elegante, ardito, che le camminava a fianco, ch'era venuto a prenderla improvvisamente; e lo seguiva, come se avesse davvero undiritto