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LE CORTESIE, L’AUDACI IMPRESE IO CANTO.
C: LE DONNE, I CAVALLIER, L’ARME, GLI AMORI
LE CORTESIE, L’AUDACI IMPRESE IO CANTO.
Rispetto alla redazione di A, la versione del ’32 procede verso una tonalità espressiva più
sintetica ma la sostanza non cambia. Ariosto procede ad equilibrare maggiormente la sua
versificazione. Il primo verso viene bilanciato in maniera più simmetrica: c’è una struttura a
chiasmo fra 4 elementi distinti in due ambiti: quello del femminile (le donne, gli amori) e
quello del maschile nella parte centrale (i cavalieri e le armi). Un’articolazione molto più
netta ma anche molto equilibrata perché le due metà sono speculari: c’è una forte cesura
al centro e il bilanciamento è in assoluto equilibrio.
Questa doppia coppia che richiama le due tradizioni (quella carolingia e quella bretone) la
ritroviamo, in forma variata, anche nel secondo verso che, invece, viene mantenuto
costante rispetto alla prima redazione. Anche nel secondo verso abbiamo da una parte le
cortesie (il mondo della corte) e, dall’altra, le audaci imprese: qui la variazione è giocata
anche sull’inserimento di un aggettivo (uno dei due termini è aggettivato). Le imprese (le
gesta) vengono definite audaci e viene poi mantenuta la posizione forte finale del verbo
tecnico dell’epica.
Maria Concetta Carugno Pag. 20
Amore e guerra sono fortemente collegati fin dai primi due versi, legati anche a livello
fonico (armi e amori).
Questa nuova struttura data ai primi due versi porta con sé il richiamo a Dante: il Dante del
XIV del Purgatorio nelle parole di Guido del Duca che esalta il passato nel momento in cui si
rievoca con nostalgia il tramonto della cavalleria (siamo nella cornice degli invidiosi).
Questo richiamo dantesco è coerente con quanto troviamo nel Furioso: Guido del Duca è il
personaggio che esprime la nostalgia di un mondo ideale.
- Se proseguiamo la lettura del proemio oltre questi due versi, nei versi 3-4 troviamo una
doppia anastrofe (inversione). Anche qui Ariosto mette al centro la cornice, il panorama, il
momento storico in cui avvengono le vicende ma lo fa costruendo una struttura sintattica
non lineare: l’ordo naturalis della frase avrebbe dovuto essere “nel tempo in cui i Mori
passarono il mare d’Africa”. Qui, invece, Ariosto inverte l’ordine.
La seconda quartina si avvia in ordo naturalis, riprendendo una maggiore fluidità del
dettato. In questi passaggi troviamo la sottolineatura di un altro furore rispetto a quello di
Orlando: c’è l’aspetto dei furori tipici dei barbari. In questi passaggi che riguardano i
saraceni noi troviamo elementi che erano stati utilizzati nella tradizione precedente per
definire lo straniero, il barbaro. L’ira e il furore sono elementi che si trovano, per esempio,
nella canzone all’Italia di Petrarca che si definivano le ire furori dello straniero a cui
bisognava opporsi. L’abilità di Ariosto è quella di mescolare anche fonti diverse (Virgilio,
Dante, Petrarca).
Ariosto in questa ottava dà una maggiore profondità alle vicende storiche narrate, dà
qualche dettaglio in più sui nemici rispetto a quanto aveva fatto Boiardo; non solo una
cornice (il tempo di re Carlo imperatore) e anche qualche dettaglio su quale sia lo
schieramento opposto.
A questo furore bellicoso che troviamo in questa prima ottava, si aggiunge il furore
amoroso nella seconda. Anche qui viene rivendicata la novità: “Dirò d’Orlando in un
medesmo tratto cosa non detta in prosa mai né in rima”. Ariosto rivendica la trattazione di
un tema che non è mai stato toccato prima: “Orlando che per amor venne in furore e
matto” (anche qui il richiamo alla tradizione dell’Hercules furens).
Dalla metà della seconda ottava, l’enunciato dell’autore abbandona momentaneamente la
trattazione, gli argomenti di cui si occupa per ripiegarsi, invece, sull’autobiografia e si
passa, in questi versi, all’invocazione (“Se da colei…”): è un’invocazione mascherata, c’è
una richiesta implicita. Si rivolge alla donna amata chiedendo, tra le righe, di concedergli il
tempo necessario per concludere la sua opera, il suo racconto. Questo è l’elemento che si
riprende da Boccaccio il quale nel Filostrato aveva sostituito Apollo e le muse con la donna
amata. Ariosto procede a sovrapporre se stesso al personaggio eponimo: chiede di non
diventare come Orlando.
La donna amata è l’unico amore di Ariosto, quello di Alessandra Benucci che era una donna
già sposata quando lui la incontra; era moglie del ferrarese Tito Strozzi. Ariosto si dichiarò a
lei nel 1513; lei rimase vedova pochi anni dopo ma il matrimonio tra i due avvenne
segretamente solo nella seconda metà degli anni ’20 per evitare che lei perdesse l’eredità
Maria Concetta Carugno Pag. 21
del marito e che lui perdesse i benefici ecclesiastici che gli permettevano di vivere
dignitosamente. Un amore duraturo a cui Ariosto sarà sempre fedele ma un po’
contrastato dalle circostanze.
Troviamo anche la prima attestazione dell’ironia di Ariosto che si identifica con il suo eroe:
chiede di non essere portato alla pazzia più completa, dice che già in quel momento quasi è
stato fatto come Orlando in preda al furore amoroso.
Ritroveremo questa sovrapposizione tra autore e protagonista nel proemio del canto XXXV
dove Ariosto chiederà: “Chi salirà per me, madonna, in cielo a riportarne il mio perduto
ingegno?”.
- Nella terza ottava troviamo la dedica. In questa ottava, Ariosto dedica il suo poema alla
“generosa erculea prole”. Il termine “erculea” ci ricorda ancora l’Hercules furens che è uno
dei testi da cui prende ispirazione. Ma questa prole è erculea anche perché il dedicatario,
Ippolito d’Este, era figlio di Ercole d’Este. Quindi, c’è una sorta di sovrapposizione. Ippolito
viene sovrapposto ad un altro personaggio all’interno del racconto: se nella seconda
ottava, abbiamo visto una sovrapposizione tra Orlando e Ariosto, in questa terza ottava,
invece, abbiamo una sovrapposizione tra il dedicatario Ippolito d’Este e Ruggiero poiché
Ruggiero rientra nella genealogia estense.
Fin da questa terza ottava ha inizio il filone encomiastico dell’opera, quello della
celebrazione della dinastia estense ed è un encomio non aggiunto in modo posticcio alla
narrazione ma che dialoga profondamente con la narrazione proprio per questo legame
dinastico. Uno dei protagonisti del testo, Ruggiero, destinato a sposare Bradamante, è
destinato a dare inizio alla dinastia estense alla quale appartiene il dedicatario dell’opera.
Ciò che Ariosto sta scrivendo serve a ripagare il debito di riconoscenza che Ariosto ha nei
confronti della famiglia estense e paga questo debito di riconoscenza con il racconto di
gesta mirabili che appartengono alla famiglia estense.
Già in questo proemio vediamo i 3 FILONI principali dell’Orlando Furioso:
- LA GUERRA TRA CRISTIANI E SARACENI (le vicende dell’VIII sec., quelle che ruotano
intorno alla figura di Carlo Magno e ai suoi paladini);
- LA VICENDA DI ORLANDO. Orlando innamorato di Angelica e che, proprio per questo
amore diventa pazzo. Perde il senno e poi dovrà recuperarlo prima di tornare a
combattere.
- LE VICENDE DI RUGGIERO, un cavaliere pagano che poi si converte, sposa Bradamante e dà
inizio alla dinastia estense. Questo è il filone di natura encomiastica.
RUGGIERO è un personaggio fondamentale perché questa sua evoluzione (è una sorta di romanzo
di formazione quello che c’è all’interno del Furioso) è indispensabile anche per segnare la vittoria
dei cristiani sui saraceni: sarà proprio per mano di Ruggiero, nell’ultimo canto, dopo il matrimonio
con Bradamante, che verrà sconfitto l’ultimo dei nemici, Rodomonte, riprendendo il modello
dell’Eneide di Virgilio. Come nell’Eneide, Enea sconfigge Turno (il duello con cui si conclude
l’Eneide), allo stesso modo, nell’Orlando Furioso, Ruggiero sconfigge Rodomonte.
Maria Concetta Carugno Pag. 22
Il proemio è importantissimo non solo per la sua regolarità, per la ripresa di un modello
precedente, ma anche perché dà il via a quelle che sono tutte le trame fondamentali. Dentro la
grande materia dell’Orlando Furioso si è cercato di trovare una struttura, un’architettura che
potesse far comprendere qual è il messaggio che Ariosto vuole comunicarci. Anche ragionando
sulla base delle 4 giunte fatte alla terza redazione, si nota che gli inserimenti che vengono fatti
arrivano a porre alcuni episodi in una posizione che sembra strategica: l’episodio della follia si
pone esattamente a metà (canto XXIII); è l’episodio che viene richiamato già nel titolo e, quindi,
per sua natura, per la valenza simbolica che ricopre, sicuramente questo episodio ha
un’importanza fondamentale.
In posizione speculare rispetto a questo confine, a questo elemento mediano, ci sono altri 2
episodi con una fortissima valenza simbolica e che si posizionano a metà delle due metà dei canti e
sono il canto XII (dove viene descritto il palazzo incantato di Atlante) e i canti XXXIV e XXXV (dove
c’è l’episodio di Astolfo che va sulla luna a recuperare il senno di Orlando).
Questi canti, insieme al primo, dividono la materia del Furioso in 4 campate, come se fossero 4
archi che suddividono questa architettura molto complessa dell’Orlando furioso. Ci sono delle
connessioni tra i vari canti: ad esempio, nel palazzo dell’illusione del canto XII tutti i cavalieri
entrano cercando qualcosa così come, sulla luna, ci sono tutti gli oggetti perduti. Da una parte ci
sono cercatori illusi e poi delusi e, dall’altra, ci sono le cose smarrite, le vanità che gli uomini
inseguono.
I CANTO
SCHEMA DEL CANTO:
a) fuga di Angelica [10]
b) incontro tra Angelica e Rinaldo (che stava inseguendo Baiardo) e nuova fuga di Angelica [11-13]
c) incontro con Ferraù che era alla ricerca dell’elmo e scontro tra i due cavalieri, nuova fuga di
Angelica [14-17]
d) sospensione dello scontro e divisione dei due al bivio [18-23]
e) Ferraù torna al punto di partenza e dialoga con fantasma di Argalia [24-31]
f) Rinaldo torna alla ricerca di Baiardo [32]
g) Angelica incontra Sacripante – dialogo tra i due [33-59]
h) apparizione di un misterioso cavaliere che sfida Sacripante [60-71]
i) apparizione di Baiardo [72-76]
j) nuova apparizione di Rinaldo e richiesta di Angelica di difesa [77-81]
Il punto di partenza è il I CANTO ch