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LE OPERE POLITICHE
La prima opera politica di Alfieri è il breve trattato Della tirannide, steso nel 1777. Nell’opera Alfieri si preoccupa di
definire la tirannide, identificandola con ogni tipo di monarchia che ponga il sovrano al di sopra delle leggi, e conduce
una critica contro il dispotismo illuminato. Le tirannidi moderate, addolcendo la modalità di potere, tendono ad
addormentare i popoli, quindi sono preferibili quelle estreme e oppressive perché con i loro intollerabili abusi
suscitano la ribellione dell’uomo.
Lo scrittore passa poi a esaminare le basi su cui si fonda il potere monarchico e le individua nella nobiltà (strumento
nelle mani del despota) nella casta militare (mediante cui i sudditi sono oppressi e soffocata è ogni tipo di ribellione) e
nella casta sacerdotale (che educa a servire con cieca obbedienza).
Nel discorso alfieriano si delineano due figure gigantesche, il tiranno e il liber’uomo, in fondo molto simili tra loro, in
quanto entrambi tesi all’affermazione assoluta della loro individualità superiore, al di là e contro ogni limite. Per
questo oltre che nei confronti dell’uomo libero si può cogliere una segreta ammirazione da parte di Alfieri anche nei
confronti del tiranno che, sia pure nella sua negatività, viene a incarnare l’affermazione di una volontà possente,
assoluta, illimitata, che non conosce vincoli.
Della tirannide rappresenta il momento più radicale e rivoluzionario della riflessione politica alfieriana. Lo scrittore
abbandonerebbe volentieri la penna per la spada, cioè per l’azione diretta, ma è consapevole del fatto che i tempi
negano ogni possibilità di azione, quindi guarda allo scrivere come a una soluzione di ripiego, come a un surrogato
dell’agire. Alfieri successivamente però, nei tre libri Del principe e delle lettere, cambia idea e proclama la superiorità
assoluta dello scrivere su ogni altra forma di attività. Lo scrivere sostituisce totalmente il fare. Il poeta così si sottrae a
ogni funzione sociale e si dedica esclusivamente alla poesia, che è la suprema realizzazione dell’essenza umana. La
poesia è superiore all’azione perché “il dire altamente alte cose, è un farle in gran parte”. Maggiore grandezza si
richiede a inventare e a descrivere una cosa che non a eseguirla, Omero è più grande di Achille, perché nessuno
avrebbe ricordato Achille senza Omero.
Il misogallo
In un primo tempo Alfieri aveva guardato con favore alla rivoluzione francese ma poi...
Questa forte tendenza contraria si manifesta nel Misogallo, che significa: misèin in greco significa odiare, e i Galli
stanno a indicare i francesi. Essa quindi esprime un odio profondo contro la Francia, che in realtà è odio contro la
rivoluzione, contro i principi illuministici e lo spirito borghese che essa sta diffondendo in Europa e che Alfieri tanto
disprezza. Alfieri difende i privilegi della casta nobiliare, soprattutto il diritto di proprietà, respinge con sdegno ogni
turbamento dell’ordine sociale e dei rapporti economici e di potere, riserva solo ai nobili il pieno godimento dei diritti
politici e l’esercizio del potere; giunge persino a rivalutare la tirannide monarchica come male minore rispetto a quella
borghese e plebea. Quest’odio contro la tirannide francese fa venir fuori il suo senso patriottico e lo porta ad auspicare
che il popolo italiano possa assumere una coscienza nazionale, difendere la propria individualità e la propria libertà.
Ciò lo induce ad esprimere la speranza che un giorno l’Italia risorga libera e unita. E qui Alfieri è altamente profetico.
LE TRAGEDIE
Alfieri sceglie il genere tragico innanzitutto perché rispecchia il suo mondo interiore, poi perché tradizionalmente la
tragedia rappresentava figure umane eroiche ed eccezionali, perciò appariva il genere poetico più adatto per esprimere
il titanismo alfieriano. Ma lo stesso cimentarsi col genere tragico costituiva agli occhi di Alfieri un segno di grandezza.
La tragedia non aveva ancora trovato nella cultura italiano un poeta tragico e inoltre era considerato il genere più
sublime e più difficile. Tutti questi motivi costituirono una sfida per Alfieri che accettò in pieno.
La struttura della tragedia alfieriana
Alfieri anche qui si colloca in aperta polemica contro la tragedia francese che costituiva ancora il modello più
prestigioso a livello europeo. Ai tragici francesi rimprovera la prolissità che rallenta le azioni, il patetismo
sentimentale, gli artificiosi espedienti romanzeschi dell’intreccio. A questo modello contrappone uno stile
diametralmente opposto: passionale, dinamico, incalzante, senza mai essere interrotto da indugi o rallentamenti,
bandito ogni elemento superfluo, rapido, conciso, essenziale, duro, aspro, antimusicale (una tragedia non è un poema
epico, non può cantare)
Alfieri comunque rispetta le tre unità aristoteliche di tempo, spazio e d’azione, le sue tragedie si svolgono di norma su
un arco temporale che non supera le 24 ore, hanno una scena fissa e un’azione unitaria, costruita intorno a un unico
nucleo drammatico, con pochissimi personaggi per evitare qualsiasi deviazione o distrazione dalla storia principale.
Tutto questo è in armonia con lo stile incalzante e rapido di Alfieri.
Rappresentazione: Alfieri non fece recitare le sue tragedie nei teatri pubblici e le destinò a rappresentazioni private, tra
gruppi di amici aristocratici. Questo perché egli disprezzava il teatro contemporaneo, ritenuto frivolo e volgare,
disprezzava gli attori dell’epoca giudicati indegni di sostenere le parti dei suoi eroi, e infine disprezzava il pubblico
comune, insensibile e mediocre. D’altronde egli scriveva tragedie proprio al fine di escludere il pubblico borghese che
tanto amava Goldoni.
Le prime tragedie: tensione eroica e pessimismo
Nelle prime tragedie risalenti al 1775-1777, si proietta il sogno di grandezza sovrumana, lo slancio tirannico di
affermazione dell’io al di là di ogni limite e ostacolo, che trae alimento soprattutto dalla lettura di Plutarco e per
l’ammirazione per i suoi eroi dalla statura eccezionale. Contemporaneamente a questo slancio di grandezza troviamo
l’opposizione con una realtà ostile che soffoca questo slancio e si manifesta in una concezione pessimistica e scettica
dell’uomo ritenuto impotente. La tensione eroica e il pessimismo che la corrode costituiranno le due direttrici su cui si
muoverà tutta la produzione tragica alfieriana.
La crisi dell’individualismo eroico
Al centro delle prime tragedie abbiamo eroi sovrumani, chiusi nella loro individualistica solitudine, ma essi cedono il
Saul
posto a personaggi intimamente deboli, coscienti dell’inevitabile sconfitta, come il protagonista del .
Il vecchio re d’Israele, alla vigilia dello scontro decisivo con i nemici Filistei, sente tutto il peso dell’umana
insufficienza e debolezza, che si proietta nell’oscura maledizione divina che egli sente gravare su di sé e prende forma
negli incubi, nelle angosce, nelle ossessioni che lo tormentano, e che lo privano della volontà e delle forze, e lo
conduce a veri e propri deliri di follia. Disperato, Saul cerca di reagire a questo senso di sconfitta con un estremo gesto
di ribellione a Dio, ma subito assume coscienza della vanità del tentativo e va incontro deliberatamente alla morte,
vista come unica forma di liberazione dal suo tormento.
Saul rappresenta una figura di eroe del tutto nuova rispetto alla tradizione tragica antica e moderna: non è l’eroe
sovrumano pieno di forza e volontà, ma un eroe intimamente lacerato e perplesso. Saul è intimamente diviso perché è
un eroe maledetto su cui grava il peso di un’oscura colpa, che lo isola dagli uomini comuni, che genera in lui conflitti e
tormenti angosciosi e lo vota a una sconfitta totale. La novità del Saul consiste nel fatto che la volontà titanica presente
in lui non si scontra più con delle condizioni sociali per esempio, ma con un limite invalicabile, la superiore volontà di
Dio. L’affermazione della propria grandezza si trasforma in una sfida a Dio, una sfida destinata alla sconfitta. Lo
scontro dell’eroe con la dimensione trascendente costituisce la novità clamorosa del Saul rispetto alle precedenti
tragedie, in cui dominano solo conflitti tra individui e volontà. Ma il vero conflitto di Saul non è però uno scontro con
la potenza trascendente di Dio, ma è tutto dentro di lui, quello che Saul chiama Dio non è che una funzione del suo
animo, una parte di lui, della sua anima lacerata, la proiezione del fondo oscuro della sua psiche che vive in un
insuperabile senso di colpa. Questa interiorizzazione del conflitto si manifesta anche nel rapporto con David, che,
accanto allo scontro con Dio, costituisce l’altro tema fondamentale che percorre tutta la tragedia. Anche qui il conflitto
è tutto dentro Saul, perché il vecchio re non viene in urto col David reale, che gli è devoto e fedele, ma con un David
immaginario, un fantasma creato dalle sue ossessioni, che lo assilla angosciosamente. Anche questo David è una
proiezione della zona oscura dell’anima di Saul. Ma in realtà questo David non è che Saul stesso; in esso il re vecchio
e stanco proietta l’immagine di sé giovane, forte e sicuro. Per questo Saul ha un atteggiamento ambivalente verso
David, fatto di amore e odio: lo ama in quanto vede nel giovane guerriero se stesso, ma lo odia perché rappresenta ciò
che non è più, e quindi erige questa parte perduta di sé come potenza esterna ostile che lo minaccia, che gli vuole
sottrarre il potere. Lottando contro Dio e contro David, Saul lotta contro una parte di sé, alienata e contrapposta al suo
io. La rivalità con David non è dunque il consueto conflitto tra tiranno ed eroe di libertà, ma è uno scontro tutto con se
stesso. La tragedia si presenta quindi, nelle sue linee essenziali, come un grande monologo, Saul non parla mai
veramente con gli altri, parla solo con se stesso. Col Saul Alfieri giunge alla consapevolezza della reale miseria della
condizione umana e dei suoi limiti.
La Mirra il nuovo orientamento della poetica tragica di Alfieri trova qui la sua massima espressione. L’argomento è
tratto dal mito classico, ma la vicenda si svolge in un interno familiare. L’eroina nutre una passione incestuosa per il
proprio padre. Il conflitto tragico è dato dalla lotta di Mirra contro questa passione colpevole, una lotta vana e
disperata, perché la passione la corrode a poco a poco portandola alla morte. La novità straordinaria della tragedia è
che al centro non presenta più il titano, ma un’umanità più semplice, in cui si mescolano no