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SONETTO XX
È costruito a partire da un’occasione, cioè l’apparizione di Alessandra Benucci sulla riva del Po, in
un momento in cui il tempo è avverso e la descrizione di questo prodigioso rasserenarsi del cielo
mentre il cielo prima sembrava promettere addirittura la tempesta.
Un elemento stilistico rilevante di questo sonetto è la rielaborazione significativa del vocabolario
petrarchesco che si trova in questo testo: quasi tutti i vocaboli che ci sono in questo
componimento provengono dal Canzoniere di Petrarca ma vengono decontestualizzati e molto
spesso semanticamente stravolti: un utilizzo di materiale che proviene dalla tradizione che, però,
viene visto in una maniera nuova e originale.
Vediamo anche il richiamo al mito, a due personaggi mitici: a Fetonte e a Leandro.
v.3: “e murmurar le fronde”: è risemantizzato rispetto a Petrarca e serve ad indicare il rumore
della tempesta che sta per arrivare.
Altro termine che proviene dal Canzoniere è il “fiume altier” che è il Po.
“Il sole era nascosto da un velo tenebroso, dalle nubi che minacciavano la tempesta, che si
stendevano fino all’estremo limite dell’orizzonte e si udivano andare tuoni che scorrevano nel
cielo e si udiva mormorare le fronde. Io, dubbioso se attendermi la pioggia o una tempesta gelida,
stavo per andare oltre le onde torbide del Po (del fiume nobile) che nasconde il sepolcro di
Fetonte (secondo il mito, le spoglie di Fetonte erano finite nel Po)”.
“Del figlio audace del signor di Delo”: perifrasi per indicare Fetonte.
Le due quartine descrivono il prologo della vicenda che è introdotta da “Quando” della prima
terzina. “Quando vidi apparire, sull’altra sponda, lo splendore dei vostri begli occhi e udii parole
che, quel giorno, avrebbero potuto rendermi simile a Leandro (secondo il mito, Leandro
attraversava a nuoto il mare per raggiungere l’amata Ero). E, all’improvviso, le nuvole intorno
scomparvero e si scoprì il sole: si placarono i venti e anche il fiume tornò ad essere tranquillo”.
LE SATIRE
Sono 7 satire scritte in forma di epistole metriche, in terzine dantesche, che vengono indirizzate
ognuna a un concreto interlocutore. In questi testi, l’autore, a partire da precise circostanze
biografiche relative agli anni della composizione, sviluppa poi le sue personali riflessioni.
Come ha scritto uno dei più importanti studiosi di Ariosto, Cesare Segre, “Con Ariosto, la satira,
smette di essere una predica in versi o un’invettiva e assume un andamento più affabile in cui le
confessioni e gli argomenti tratti dalla vita concreta dell’autore veicolano con garbo i suggerimenti
morali, scansando i pericoli dell’enfasi”. Con questo suo giudizi, Segre è riuscito a mettere a fuoco
la caratteristica più importante delle satire: non un’invettiva, una critica pungente nei confronti
della contemporaneità, dei costumi ma, attraverso la trattazione di argomenti autobiografici
(anche confessioni che riguardano la sua esistenza), Ariosto suggerisce con garbo, con l’ironia, con
leggerezza, con il sorriso le sue riflessioni morali. Scansa i pericoli dell’eccesso e, invece, si pone in
Maria Concetta Carugno Pag. 45
una posizione di dialogo con il lettore: lo fa sorridere e lo fa riflettere in maniera efficace su alcuni
degli argomenti che gli stanno a cuore.
In quest’opera, Ariosto contamina i modelli delle Satire e delle Epistole di Orazio. Quindi, anche
qui c’è un importante riferimento alla classicità, alla tradizione latina. In quasi tutte le satire
troviamo un evidente impianto apologetico: la volontà di difendersi da critiche, da accuse e la
formula epistolare è confermata dalla presenza o di una risposta o di una richiesta che all’interno
del testo viene formulata. La sesta satira non è una risposta di Ariosto ma una richiesta: la richiesta
a Bembo di trovare un precettore di greco per il figlio.
Elevata progettualità letteraria delle Satire: la presenza di tessere provenienti dalla tradizione
poetica precedente, la volontà di imitare i classici, la selezione linguistica e stilistica (presenza del
lessico dantesco), l’impegno profuso da Ariosto nell’architettura complessiva del testo. Le 7 satire
non vengono posizionate una accanto all’altro in senso cronologico ma vengono disposte per
costruire un discorso complessivo. Tutti questi elementi sono rilevanti per comprendere il valore
dell’opera. Per Ariosto le Satire non sono un passatempo erudito, un gioco ma vuole costruire un
testo che contenga una saggia meditazione sulla realtà umana e storica. Questi testi hanno un
forte valore, messaggio.
SATIRA I (pag.182)
Scritta a partire dall’autunno del 1517. In riferimento alle circostanze biografiche ci aiuta a capire il
punto di inizio mentre il testo venne, quasi sicuramente, rielaborato anche in anni successivi. È la
satira che Ludovico invia al fratello Alessandro e all’amico Ludovico da Bagno. Siamo ben informati
sul momento che dà l’occasione da cui deriva questa satira perché l’argomento è strettamente
legato a ciò che successe nell’autunno del 1517 quando Ludovico rifiutò di seguire il cardinale
Ippolito in Ungheria dove doveva andare per prendere possesso della sua carica vescovile.
In questa satira Ariosto scrive ai due per chiedere se ancora si parla del suo rifiuto presso la sede di
Ippolito e per ribadire le ragioni che lo hanno indotto a decidere di dare questo dispiacere al suo
signore. La satira può essere suddivisa secondo questo schema:
- Una prima parte che contiene la richiesta, è la parte più interlocutoria con i due destinatari;
- Un blocco di versi in cui si esplicita il primo motivo del rifiuto, quello che riguarda la salute;
- Una parte centrale che è una riflessione sulla situazione difficile tra poesia e potere. E’ un
argomento presente anche nel Furioso, nei canti lunari;
- Un secondo blocco che riguarda il secondo motivo del rifiuto, le motivazioni familiari: la
necessità che la famiglia di Ariosto aveva che lui fosse presente come responsabile, come
capofamiglia;
- Un apologo: è un breve racconto, una favola che non sempre è presente all’interno delle
satire ma in buona parte delle Satire c’è. È una favola che ha un evidente intento
moraleggiante. Un racconto in cui i protagonisti sono spesso animali, piante (riprende la
tradizione delle favole di Esopo) che raccontano piccole vicende collegate alla vicenda
biografica di Ariosto da un significato morale;
- La conclusione.
Maria Concetta Carugno Pag. 46
La posizione proemiale di esordio di questa satira ne fa un testo particolare rispetto agli altri.
Questa posizione all’interno del corpus delle 7 satire segna anche l’attenzione particolare che
Ariosto pone su argomenti che gli stanno a cuore. In particolare, questa satira, partendo da
un’occasione autobiografica, da un preciso riferimento storico, allarga l’attenzione ad una
riflessione più ampia, più generalizzata, quasi universale che riguarda il rapporto tra POESIA e
POTERE, tra il poeta e la corte del suo signore.
Già l’apertura della Satira ha un attacco che ricorda la scrittura tipica delle epistole familiari (“Io
desidero intendere da voi…”), il riferimento ai due destinatari (il fratello e il compare, compare
perché era padrino del figlio di Ariosto) ai quali si chiede se alla corte di Ippolito c’è ancora un
ricordo di Ludovico stesso. Già la prima terzina evidenzia il distacco di Ariosto dalla corte, un
distacco non solo fisico ma anche morale. Ariosto chiede se Ippolito lo accusa e, come
conseguenza di queste accuse, se qualcuno si sollevi per Ariosto, lo difenda e dica il motivo per il
quale Ariosto, nonostante tutti gli altri siano partiti, abbia deciso di rimanere.
Da questa terzina capiamo quello che sarà l’impianto apologetico di tutta la satira, l’impianto
difensivo: tutta la satira è costruita per dire i motivi che hanno portato Ariosto a decidere di non
seguire Ippolito. Ippolito era stato costretto ad andare in Ungheria dove aveva dovuto prendere
possesso della sede vescovile e, quindi, tutti i cortigiani al suo servizio erano stati costretti a
seguirlo. Di fronte a questa proposta, però, Ariosto oppose un netto rifiuto e decise di rimanere a
Ferrara dove passò al servizio del fratello di Ippolito.
“Oppure, desidero sapere, se tutti esperti nell’adulazione (l’attività che più, tra i cortigiani, si
studia e si coltiva) aiutino Ippolito a biasimarmi oltre ogni ragione”.
10. Ariosto inserisce una riflessione più ampia che prende il via dal termine “adulazione” che ha
inserito al verso 7. “Sarebbe pazzo chi volesse contraddire al suo signore anche se egli dicesse che
ha visto il cielo stellato in pieno giorno o il sole a mezzanotte”. Questi due elementi di impossibilità
dicono dell’attività dei cortigiani che non possono contraddire il signore, sarebbe pazzo chi volesse
opporsi alle dichiarazioni del proprio signore. Il richiamo qui è alla definizione di FOLLIA, quella che
si trova in più punti del Furioso.
“Sia che il signore voglia elogiare qualcuno, sia che voglia fare un torto a qualcuno, subito si sente
un concerto di voci unanimi di quelli che il signore ha intorno. E anche colui che è troppo umile per
avere il coraggio di aprire la bocca, con il viso applaude, si mostra d’accordo e sembra che voglia
dire: “Anche io sono d’accordo”. Questo è il quadro che Ariosto dipinge di una corte di adulatori,
di coloro che vanno dietro l’opinione del signore.
“Ma se volete biasimarmi per altro, almeno dovete dare lode al fatto che, volendo io rimanere qui
a Ferrara, lo dissi apertamente senza inganno, senza trovare scuse”. Ariosto qui intende
rivendicare la sua lealtà, di essersi comportato in modo onesto.
22. “Dissi, a suo tempo, molti motivi. Tutti questi motivi erano veri (si riferivano ad elementi
concreti) dei quali ognuno, da solo, sarebbe stato sufficiente a giustificarmi”.
Maria Concetta Carugno Pag. 47
Dal verso 25, comincia il blocco di versi che si occupa di spiegare la prima delle motivazioni del
rifiuto di Ariosto.
25. Il primo motivo per cui non ha seguito il cardinale Ippolito è la conservazione della sua vita
perché la vita è l’elemento che più deve essere tutelato. Non c’è nulla o quasi che possa essere
anteposto alla conservazione della vita. Quali sono i fattori che, eventualmente, potrebbero
rendere la vita di Ariosto più breve? Li elenca nelle terzine successive.
“Il male che io sento (allo stomaco) per il quale ogni alterazione, anche minima, o