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Illusioni = felici errori. Non è un caso che abbia scelto Ariosto: è il campione della poesia eroico
cavalleresca umanistico rinascimentale ed è soprattutto colui che ha dedicato buona parte dei versi
ad illusioni e fantasie (Castello di Atlante, la maga Alcina), viaggi miracolosi (Astolfo sulla luna) e
cronologicamente vicino a Colombo e quindi alle scoperte. Contrasto tra età del passato, quasi
sempre umanistica (escludendo Dante, da Petrarca in giù sono tutti umanisti, escludendo Alfieri).
Nuova speranza d’Italia (Ariosto): per epoca rinascimentale, la lettura dell’Ariosto può essere di
utilità per i moderni. Parola “mente”: contenuta in una versione precedente a quella definitiva
nell’infinito. La vita era avventura garantita da queste fantasie.
L’unica certezza è il dolore e Leopardi accusa le modernità succedutesi dal 1500 proprio per aver
messo in bando le illusioni e la speranza a loro collegata.
La forza della poesia di Tasso non fu capace di creare l’illusione consolatoria con cui andare avanti,
né sciogliere il gelo con cui avessero cinto l’odio e l’immondo esecrabile livore sia dei tiranni che dei
cittadini (riferimento al potere politico e alle istituzione letterarie). Il nulla è l’unica parvenza reale. Il
mondo è sembrato solo un luogo di desolazione, abbandono, un luogo in cui non possono dimorare
né la felicità né i valori. La morte chiama a sé il male connaturato all’uomo. Petrarca è poeta laureato,
ma è il cantore del dolore, qui invece Tasso è solo poeta del dolore. Con la morte tace la voce poetica
di Tasso, Leopardi lo vuole chiamare in vita in quanto voce poetica e non vita umana. Non c’è una
dimensione progressiva della vita umana, ma tutto il contrario. Nel mondo moderno ad ognuno
importa solo di sé stessi. L’indifferenza tocca in sorte ai grandi ingegni (passaggio di caduta delle
illusioni perché la genialità dei talenti viene scambiata per follia, come nel caso di Tasso). Computare
(meschino calcolo degli interessi privati o scienze economiche che nell’Ottocento iniziavano a
prender piede). Soltanto un uomo pari all’antica grandezza italiana di Angelo Mai, piemontese,
coraggioso, virile portò guerra contro la tirannia politica. Su modello alfieriano Leopardi invita a
portare guerra alla tirannia, a reagire quando c’è qualcosa che non va, con azioni fatte contro dei
valori, in obbrobrio alla virtù o alla vita umana (col modello di Alfieri, anche da solo, Leopardi vuole
dimostra che uno può portare fuori un’intera nazione dallo stato di inattività). Se non ci sono i
sapienti che regolano e guidano la massa, tutti sono uguali.
Negli ultimi 6 versi si rivolge nuovamente ad Angelo Mai: lo esorta a continuare ad indagare le verità
nascoste, di risvegliare i morti visto che sono i vivi che dormono. Gli autori citati sono tutti trapassati
ma la loro voce poetica è più viva degli ignari che potrebbero ascoltare realmente.
Vita agogni/si vergogni (isoprosodici, contengono lo stesso numero di sillabe + epifora).
La struttura strofico metrica della canzone è più euritmica della precedente dato che all’interno delle
stanza i ritmi si alternano più adeguatamente e le rime hanno perfetta ricorrenza con il distico finale
che rimano fra loro. Leopardi sta consustanziando il proprio percorso letterario e metrico, e lo fa
nella canzone più letteraria che ha composto e in essa si sente l’influenza tassonomica (regole non
solo metriche) o di chi ha fatto del metro e del verso un’arte (Petrarca). 29/04/2019
La canzone Alla primavera o Delle favole antiche
- Nodo centrale della produzione leopardiana, snodo non solo della produzione poetica, ma
rappresenta un momento in cui la produzione poetica del passato, mentre viene saldata alla
produzione contemporanea, se ne stacca definitivamente dando avvio ai caratteri denotativi della
poesia contemporanea. All’altezza del 1822, ma alcuni elementi ci portano ad anticipare di qualche
anno l’ideazione della canzone. Il titolo può essere passibile di un fraintendimento. Saremmo indotti
a ritenere che Leopardi volesse comporre una celebrazione della poesia dell’antichità, della
mitopoiesi. Sostanzialmente Leopardi cerca di procedere in una sorta di sovrapposizione tra due
mondi distinti e lontani: l’uno è il campo dell’immaginazione poetica, l’altro il risorgimento del cuore
che si ha durante la primavera. Affermare che questa sia una canzone di risorgimento e rinascita
probabilmente se è vero in realtà non lo è: gli interrogativi presenti, i riferimenti linguistici utilizzati,
gli ultimi versi, sono un spia che affermano che il risorgimento non è più possibile nell’epoca
moderna. Questo comporta una sorta di passaggio di consegne tra due epoche simili e distanti tra
loro: l’antichità e la modernità. Il riferimento all’istinto e al principio fondamentale della stagione
primaverile è uno dei punti di contatto che ha con la filosofia di Vico. La primavera è per Leopardi
non solamente il principio che fa risorgere e rinnova la forza nel cuore dell’uomo, ma anche il
principio di una sostanziale sovrapposizione tra la primavera del cuore umano, che si prova in
maniera più forte in età giovanile e la stagione della fanciullezza dell’umanità (stagione dell’antichità,
gli antichi rappresentano i fanciulli dell’umanità). Da un lato abbiamo una canzone che sostiene la
forza dell’immaginazione, la bontà, la capacità mitopoietica creata dagli antichi e dall’altra gli
interrogativi che non trovano un cosostanziamento nella modernità poetica. Se la canzone è passibile
di uno sdoppiamento tra la fanciullezza dell’antichità e l’età biologica dei fanciulli, dall’altra abbiamo
un concetto di carattere filosofico. Leopardi cerca di dare una piena forma ad un’elaborazione
filosofica che risale agli anni giovanili (1812). Vi sono alcune opere che vengono recuperata nella
canzone e sono tutte opere di carattere filosofico naturalistico (Vico). Compendio 1812, storia
dell’astronomia del 13, Compendio degli errori popolari degli antichi 1815: opere che materializzano
l’ideologia mitopoietica nella canzone (Leopardi ha impostato una sua filosofia. Leopardi si avvicina
in età giovanile alla conoscenza filosofica della natura e dall’altro c’è uno studio ai testi dell’antichità
(favole antiche). Si viene a creare un’ultrafilosofia: più disputa filosofica che creazione meramente
poetica in Leopardi. L’ultrafilosofia è un’idea che Leopardi ha che è il risultato della conoscenza delle
opere non solo di carattere scientifico ma del pensiero settecentesco. Egli ritiene che si debba fare
un uso non eccessivo della ragione: la ragione è elemento fondamentale per l’uomo e che lo
scientismo dietro l’uso spinto della ragione deve essere allontanato. Utilizzare la ragione vuol dire
immediatamente risolvere in una forma negativa gli interrogativi alla fine del percorso filosofico di
Leopardi e alla fine di questa canzone. Nel 1813 il protagonista è Galileo e il suo Sidereus Nuncius.
Galileo è il simbolo della ragione scientifica ed è colui che ha affermato la possibilità per l’uomo di
cedere all’evidenza e alla convinzione che l’osservazione sia un elemento di verità e la verità sta per
Galileo nell’evidenza (uso della vista). Per Leopardi il metodo scientifico empirico di Galileo ha avuto
un’origine dell’osservazione della natura. Egli ritiene che Galileo si sia servito di una capacità e forza
immaginativa esattamente come farebbe un poeta: ha immaginato tramite la vista una realtà che
visivamente non è quella che si vede, ma è riuscito ad immaginarla con una forza che normalmente
hanno i poeti. L’osservazione delle stelle non conduce solo alla contemplazione della natura, ma ad
una sorta di estasi (condizioni mitopoietiche per eccellenza, condizioni che troviamo nella canzone e
confermate nel metodo della contemplazione, dell’estasi e della produzione poetica che avevano gli
antichi). Nel 1815 Leopardi si da alla composizione di saggi sopra gli errori degli antichi, rappresenta
il modello per cui scende di livello e inizia a sfatare tutti i miti serviti nelle varie stagioni umane a
spiegare soprattutto dei fenomeni naturali che la scienza non poteva spiegare. Ci sono elementi utili
alla poesia, all’altezza del 1820 comprende che la poesia moderna manca di naturalezza, si parla di
ineffabilità, il poeta moderno non riesce ad esprimere ciò che non sente proprio, non trova immagini
per poterlo comunicare, manca alla poesia la naturalezza delle immagini alla base della produzione
poetica. Leopardi, a differenza di quello che altri hanno pensato, non imita il bello, ma il vero, non
cercava il consenso, ma la verità. La poesia non imita il bello, ma imita il vero, è molto più vicina e
simile al razionalismo scientifico. Il razionalismo scientifico del senso precedente, il dubbio è l’inizio
della conoscenza, poeticamente si esprime con interrogativi e ciò giustifica la loro presenza nella
canzone. Gli interrogativi sono affermazioni. Se si segue la linea dello scientismo si vedrà che sono
interrogativi veri e propri che hanno una risposta negativa. Il dubbio si accompagna alla nozione della
possibilità, è possibile che esista una realtà diversa da quella affermata. Relativismo ragionato:
davanti ad una realtà Leopardi non è né scettico, né è un filosofo asseverativo, esattamente come
l’evidenza ci induce a pensare. Accoglie l’evidenza, ma accoglie anche il dubbio di un’eventualità che
non sia come l’evidenza mostra. La possibilità esiste in maniera indipendente e nessuna verità o
falsità. Al relativismo spinto (esiste l’infinita onnipotenza e infinita impossibilità) non arriva solo per
via filosofica, è frutto di un’evidenza che coglie nell’esperienza della sua vita (1821, momento
particolare). Leopardi ritiene che all’altezza di questo ragionamento l’esistenza sia legata
all’esperienza del dolore e dell’infelicità, ma essendo filosoficamente possibile il contrario crede che
possa esistere un’esperienza di felicità e gioia. Questa possibilità sta in due momenti: la fanciullezza
della maturità e delle stagioni (la primavera). Si verifica tutto questo all’interno della natura. Una
giusta considerazione della natura sta in essa come in un vuoto, la natura è un’assenza che reclama
una qualche vita all’interno della poesia. Ci sono